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Beati Braulio Maria (Paolo) Corres Díaz de Cerio e 14 compagni Martiri Spagnoli Fatebenefratelli

30 luglio

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† Calafell, Spagna, 30 luglio 1936

Durante la guerra civile spagnola, fu effettuata una delle più grandi persecuzioni religiose della storia della Chiesa; la guerra fra i rivoltosi rossi al governo e la destra del Generale Franco, procurò centinaia di migliaia di morti, e giacché si vedeva nella Chiesa un nemico dei marxisti rivoluzionari, si passò ad uccidere indiscriminatamente chiunque fosse un religioso o un sacerdote, uomo o donna, parroco o contemplativo. Fra Braulio e fra Federico e gli altri confratelli martiri, appartengono tutti all’Ordine di s. Giovanni di Dio cioè dei Fatebenefratelli, tutti dediti alla cura degli ammalati e dei feriti negli ospedali, rimasti al loro posto nonostante la bufera che si avvicinava e che non avrebbe rispettato nemmeno il bene che professavano. Sono stati beatificati da papa Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1992.

Martirologio Romano: In località Calafell vicino a Tarragona sulla costa spagnola, beati martiri Braulio Maria (Paolo) Corres Díaz de Cerio, sacerdote, e quattordici compagni dell’Ordine di San Giovanni di Dio, che, catturati durante la persecuzione contro i religiosi, meritarono la beatissima corona del martirio perdonando i loro nemici.


Il 14 maggio 1991 Giovanni Paolo II ha riconosciuto il martirio di 76 religiosi dell'Ordine Ospedaliere di San Giovanni di Dio o Fatebenefratelli, uccisi in odio alla fede all'inizio della guerra civile spagnuola (1936-1939). Di essa si ebbero i prodromi quando fu proclamata la repubblica (14 aprile 1931) senza nessuna opposizione da parte della Chiesa. Ciò nonostante vennero bruciate 200 chiese, espulsi alcuni vescovi, sottomesse allo stato tutte le confessioni religiose, laicizzata la nuova costituzione, approvata la legge contro gli Ordini e le Congregazioni religiose. Il 16 febbraio 1936 fu sciolto il parlamento, si tennero nuove elezioni e il Fronte Popolare trionfò.
Presidente della Repubblica fu nominato l'anticlericale Manuel Azana (+1940). Sotto la spinta di Associazioni, Federazioni e Leghe di estremisti si ebbero fino al 18 luglio 1936 13 scioperi generali e 218 parziali e, in vari convegni, fu proibita qualsiasi forma di culto esterno. Il 6 giugno dello stesso anno alle cellule comuniste fu imposto l'ordine di eliminare i generali dell'esercito. Il 16 giugno il deputato monarchico Calvo Sotelo, alle Cortes riunite, rivelò che erano stati incendiati 284 edifici, distrutte 171 chiese e assassinate numerose persone. Il 13 luglio egli stesso fu ucciso. Il 18 dello stesso mese, per riparare a tanto sfacelo, alcuni generali, tra cui Francisco Franco Bahamonde ( 1892-1975), diedero il via all'insurrezione militare che si estese dal Marocco alla Spagna occidentale con l'appoggio dei monarchici, dei cattolici, delle Falange fascista di Primo de Rivera, del Portogallo, della Germania e dell'Italia. La guerra fu convertita dai marxisti in una satanica persecuzione religiosa. Provocherà, difatti, oltre la distruzione di centinaia e centinaia di chiese, la morte di 4033 sacerdoti del clero secolare, di 2333 religiosi, di 267 religiose, di 12 vescovi e di un amministratore apostolico.
Pio XI, da Castelgandolfo, il 14 settembre 1936 ne denunciò vigorosamente i soprusi di fronte a un folto gruppo di profughi spagnuoli. Tra l'altro disse: "Tutto venne assalito, manomesso, distrutto nei più villani e barbari modi, nello sfrenamento tumultuoso, non più visto, di forze selvagge e crudeli tanto da crederle impossibili, non diciamo con l'umana dignità, ma con la stessa natura umana, anche la più miserabile e più in basso caduta".
Tra i 76 Fatebenefratelli martiri figurano anche 15 religiosi che appartenevano al Sanatorio Marittimo di Calateli (Tarragona), destinato a 60 fanciulli rachitici e scrofolosi, che i Fratelli mantenevano andando ogni giorno alla questua. Quattro giorni dopo l'insurrezione, nella tarda serata, i miliziani trasportarono tutti i mobili della chiesa di Calateli sulla piazza e diedero loro fuoco. Malgrado i tristi segni premonitori, i Fatebenefratelli avevano sperato che la loro comunità sarebbe stata preservata dalla devastazione se non altro per la carità da essa esercitata verso i poveri infelici. Il loro superiore generale, il 4 aprile 1936, aveva difatti disposto con lettera ai Provinciali di Spagna: "I nostri religiosi non abbandonino l'assistenza degli infermi fino a quando le autorità non se ne assumono l'incarico. Vestano da secolari, se così viene consigliato dalla prudenza, ma stiano al capezzale degli infermi fino a quando forza maggiore non imponga di abbandonarli. Questo, in alcuni casi, dato lo stato di anarchia dominante, sarà eroico, ma così c'impone un sacro dovere".
Un delegato del governo regionale della Catalogna rassicurò i Fratelli che non sarebbe accaduto loro nulla di male. Il Sanatorio, però, fu occupato, perquisito e spogliato di tutte le sacre immagini. I miliziani impedirono ai religiosi di fare recitare ai bambini le solite preghiere. Facendosene beffe, dissero ai piccoli infelici che, quando i Fratelli se ne sarebbero andati, avrebbero dato ad essi da mangiare pollo tutti i giorni, che tutte le domeniche nella chiesa li avrebbero rallegrati con rappresentazioni cinematografiche e che, la mattina, sarebbero stati svegliati al grido di "Dio non esiste". Conducendoli disordinatamente a spasso per gli orti e per le vigne, insegnavano loro ad alzare il pugno chiuso al canto di inni rivoluzionari.
In una ispezione fatta al noviziato la sera del 24 luglio, i miliziani ingiunsero agli aspiranti alla vita religiosa di uscire dalle loro celle con le mani alzate, e promisero loro che, prima avrebbero rotto e bruciato tutto ciò che si trovava in chiesa, e poi che li avrebbero fucilati. L'anarchico, che montava la guardia all'ingresso del noviziato, li apostrofò: "Parassiti!, che mangiate senza lavorare. Ah, banditi! Ora sì che siete sistemati!". Il 30 luglio, giorno del martirio, i sei professi e i 19 novizi dei Fatebenefratelli del Sanatorio dopo pranzo furono ammassati in portineria, spogliati degli oggetti religiosi che possedevano e forniti di 10 pesetas. Per assistere e curare i bambini di cui i "rossi" erano incapaci, in seguito al suggerimento dei superiori, rimasero 4 religiosi e 4 novizi.
In mattinata, prestissimo, i Fratelli, presentendo che sarebbero stati fucilati, benché i miliziani avessero dato loro a intendere che avrebbero loro permesso di partire in treno per Barcellona, nella cappella del noviziato avevano preso parte alla Messa e si erano comunicati sotto forma di Viatico dopo che il B. Braulio Maria Corres, maestro dei novizi, nato nel 1897 a Torralba del Rio (Navarra), aveva rivolto loro una fervorosa esortazione a subire il martirio. "O amatissimi fratelli! Quale fortuna la nostra, se il Signore ci concedesse tanta felicità! E chi vorrà rifiutarla, se in questi momenti pare che ci conducano come in trionfo a un epilogo così glorioso? Animo e avanti, fino al martirio, se sarà necessario".
I Fratelli si divisero in due gruppi: quello che stava alle dipendenze del B. Fra Giuliano Carrasquer, Priore, nato nel 1881 a Sueca (Valenza), si diresse alla stazione di San Vicente, un paese a 4 chilometri di distanza; quello che stava alle dipendenze del P. Maestro si diresse alla stazione di Calateli. Entrambi i gruppi erano seguiti da miliziani armati.
A Calafell, non essendoci treni in partenza fino alle 15, i religiosi ebbero modo di recitare passeggiando, il rosario e il Vespro della B. Vergine. Poi, mentre stavano per recarsi alla stazione, furono affrontati da due miliziani che chiesero loro conto del B. Fra Costanza Roca, nato nel 1895 a San Sadurnì de Noya (Barcellona). Il ricercato si fece avanti dicendo: "Sono io. Desiderano qualche cosa da me?". I miliziani esclamarono: "Buona pezza è costui: non per niente voleva fuggire". Gli ordinarono di mettersi in cammino davanti a loro. Giunti a un ponte che si ergeva sopra una rotaia lo fucilarono alle spalle. Il martire cadde a terra. Essendo rimasto soltanto ferito, fino a sera gemette in attesa che qualcuno gli portasse un sorso d'acqua. Fu soccorso proprio da alcuni fanciulli del Sanatorio che passavano da quelle parti, e lo udirono perdonare i suoi nemici e pregare per la loro conversione. I miliziani, appena seppero che era rimasto vivo, si recarono sul posto e lo finirono.
Verso le ore 16 giunse a Calafell un camion con uomini armati i quali imposero ai religiosi di non muoversi dalla stazione. Poco tempo dopo dissero loro: "Dato che non avete salvacondotto perché vi si possa dare il biglietto per recarvi a Barcellona, è necessario che veniate a San Vicente, dove lo riceverete". Colà giunti, furono caricati con gli altri confratelli sopra un camion e portati via. Giunti sulla piazza di Vendrell, paese a pochi chilometri da Calateli, furono fatti scendere tra gente scalmanata.
Il B. Fra Benedetto Labre Manoso, nato nel 1879 a Lomoviejo (Valladolid), appena si accorse che la chiesa era stata profanata, gridò: "Viva Gesù Sacramentato!". La folla urlò: "Chi è questa canaglia?". Fra Benedetto le andò incontro con il cappello in mano e a capo chino, ma il popolaccio infuriato gli vomitò contro una montagna di insulti. Diverse persone gli puntarono sul petto fucili e pistole urlando: "Lasciatelo qui costui, sulla strada".
I miliziani fecero salire i Fatebenefratelli sopra una camionetta dando loro ad intendere che li avrebbero condotti a Barcellona. A un certo momento la camionetta rallentò la corsa. Fu allora che il P. Braulio esclamò: "Figli miei, preparatevi! Ora ci uccidono". E diede loro l'assoluzione. Arrivati a Calateli, i miliziani imboccarono la strada provinciale. Subito andò loro incontro un'automobile con uomini armati. Costoro fecero fermare la camionetta, costrinsero i religiosi a scendere a terra con la minaccia: "Adesso, grandissimi bricconi, le pagherete tutte!". Separarono quindi dal gruppo un argentino e quattro novizietti dicendo: "Voi, creature, non temete nulla. Sappiamo bene che siete schiavi di queste canaglie. Venite, perché noi vi porteremo a casa dei vostri genitori".
Poco distante, a un declivio, vicino a una piccola fabbrica di mattoni, i miliziani ordinarono ai Fratelli di scendere uno per volta nel fossato di uno degli scavi. Di mano in mano che scendevano, venivano fucilati sotto lo sguardo atterrito dei novizi risparmiati. Erano circa le diciassette. Il primo a scendere sorridente fu il Priore, Fra Giuliano. Nel momento in cui stavano per essere immolati, il P. Braulio stese le braccia nel gesto di tenere allineati i suoi compagni, ed esclamò: "Padre, perdona loro. Non sanno quello che fanno!". Il B. Fra Tommaso Urdànoz, nato nel 1903 a Echarri (Pamplona), gridò: "Viva Cristo Re!"; il B. Fra Eusebio Forcades, nato nel 1875 a Reus (Tarragona), incrociò le mani sul petto; altri fecero professione della loro fede. L'ultimo a cadere ucciso fu Fra Giuseppe Benedetto Labre. I miliziani, alla sua vista, gridarono: "Dalli a costui! Dalli a costui che ha gridato Viva Gesù Sacramentato!" L'ultima vittima della comunità di Calateli fu il B. Fra Mattia Morin, nato nel 1913 a Salvatierra di Tormes, in diocesi e provincia di Salamanca.
Nel luglio del 1937 venne chiamato alle armi ed assegnato come portaferiti alla sanità nella 30a Brigata dell'esercito repubblicano, che operava sul fronte di Guadarrama. Non potendo egli sopportare l'atmosfera di irreligiosità dominante in quell'ambiente, dopo pochi giorni tentò di passare nella zona nazionale scavalcando la trincea con l'armadietto sanitario di cui era dotato. Fu scoperto, arrestato, processato, condannato a morte e fucilato a El Cerro di Salamanca. Non volle che gli fossero bendati gli occhi. Morì al grido di: Viva Cristo Re!
La gloriosa schiera dei 76 Fatebenefratelli spagnuoli vittime dell'odio comunista fu beatificata da Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1992.


Autore:
Guido Pettinati

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Aggiunto/modificato il 2011-12-20

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