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Beato Clemente Vismara Sacerdote del P.I.M.E.

15 giugno

Agrate Brianza, Monza e Brianza, 6 settembre 1897 - Mong Ping, Myanmar, 15 giugno 1988

Nato il 6 settembre 1897 ad Agrate Brianza, in diocesi di Milano e provincia di Monza e Brianza, Clemente Vismara entrò a sedici anni nel Seminario di Seveso. Fu chiamato alle armi durante la prima guerra mondiale, dove si meritò tre medaglie e il grado di sergente maggiore, ma rimase disgustato dalla violenza cui assistette. Dopo la lettura di «Operarii autem pauci» di padre Paolo Manna (beatificato nel 2001), si sentì orientato al sacerdozio missionario. Passò quindi al Seminario Teologico Lombardo per le Missioni Estere, che poi divenne il Pontificio Istituto Missioni Estere (in sigla, PIME); fu ordinato sacerdote il 26 maggio 1923. Partì per la Birmania, l’odierno Myanmar, il 2 agosto dello stesso anno. In oltre settant’anni di missione, servì popolazioni tribali tormentate da guerre, dittatura, carestie, malattie, miseria. Raccolse e tenne con sé orfani, vedove, lebbrosi e scartati dalla società. Tornò in Italia e ad Agrate solo per dieci mesi, nel 1957. Cordiale e ottimista, costantemente fiducioso nella Provvidenza divina, morì a 91 anni, il 15 giugno 1988. È stato beatificato il 26 giugno 2011 in piazza del Duomo a Milano, sotto il pontificato di papa Benedetto XVI. I suoi resti mortali sono venerati a Mong Ping, ai piedi della copia della grotta di Lourdes fatta costruire da lui stesso nel 1962. La sua memoria liturgica, per la diocesi di Milano e per il PIME, cade il 15 giugno, giorno esatto della sua nascita al Cielo.



I primi anni
Clemente Vismara nasce il 6 settembre 1897 ad Agrate Brianza, in diocesi di Milano e, oggi, in provincia di Monza e Brianza. Prima di lui i suoi genitori, Attilio Egidio Vismara e Stella Annunziata Porta, hanno avuto Egidio, Carlo, Francesco e Maria. Viene battezzato il giorno dopo la nascita, nella chiesa parrocchiale di Agrate, dedicata a Sant’Eusebio.
Il 22 settembre 1902, mamma Stella dà alla luce l’ultimo figlio, Luigi, poi muore per le conseguenze del parto. Anche il neonato non sopravvive più di diciotto giorni. Clemente, che va ancora all’asilo, non riesce ancora a rendersi conto dell’accaduto. È più consapevole tre anni più tardi, quando anche papà Attilio, l’8 gennaio 1905, viene a mancare.
I fratelli Vismara vengono sistemati in collegi o dai parenti. Accade così anche a Clemente, che entra al Collegio Villoresi di Monza grazie ai suoi zii materni, don Francesco e don Emilio Porta. Frequenta le scuole lì dalla quinta elementare al primo anno di liceo. Riceve anche la Prima Comunione e la Cresima, rispettivamente il 25 e il 29 maggio 1908.

Vocazione al sacerdozio
Sorge in lui il desiderio di diventare sacerdote: «Ricordavo che mia madre, prima di morire, mentre io ero ancora piccolo, aveva detto: - Chissà che Clemente non diventi prete! - Ma la vocazione al sacerdozio l’aveva la mia mamma, non io!», ammise tempo dopo.
In ogni caso, il 24 ottobre 1913, il ragazzo entra nel Seminario Arcivescovile di Milano, precisamente nell’allora sede di Seveso: termina il liceo e inizia i corsi teologici. Anche lì la sua fama di “discolo” lo segue: spesso, per scacciare la noia, urla e canta a squarciagola, infrangendo il silenzio del Seminario.

Durante la prima guerra mondiale
La prima guerra mondiale, però, coinvolge anche i seminaristi, chiamati alla leva obbligatoria. Tocca anche a Clemente, che il 21 settembre 1916 viene arruolato nell’80° Reggimento di fanteria, “Brigata Roma”, come soldato semplice. È tra i fanti della prima linea in battaglie importanti, come quelle sul Monte Maio e sull’Adamello.
Il 6 novembre 1919 viene congedato: ha il grado di sergente maggiore e ottiene tre medaglie d’argento e una croce al merito. L’esperienza bellica lo ha però segnato profondamente, tanto che, a distanza di anni, preferisce non parlarne.

La chiamata missionaria
Di una cosa è certo: «Fu proprio al fronte, in mezzo a tanta sofferenza e brutture, che maturai la decisione di essere missionario». Decisione suscitata, negli anni precedenti, dalla lettura di un testo fondamentale per la scelta missionaria di moltissimi seminaristi diocesani e non solo: «Operarii autem pauci», di padre Paolo Manna.
Era un libro quasi proibito, che i formatori facevano leggere solo a chi fosse già determinato a partire per le missioni: tuttavia, circolava ugualmente anche tra i seminaristi più giovani. I superiori del Seminario acconsentono, pensando che la disciplina ecclesiastica del prete diocesano non gli sia congeniale.
Il 21 aprile 1920, Clemente arriva in via Monte Rosa 81 a Milano, alla sede del «Seminario Teologico Lombardo per le Missioni Estere»: solo sei anni più tardi, con la fusione di un’analoga realtà nata a Roma, diventerà il «Pontificio Istituto Missioni Estere» (in sigla, PIME). Termina la Teologia e il 26 maggio 1923, nel Duomo di Milano, viene ordinato sacerdote dal cardinal Eugenio Tosi, arcivescovo di Milano.

In Birmania, a Kengtung e Monglin
Riceve subito la sua destinazione: il 2 agosto 1923 parte da Venezia alla volta del Myanmar, o, come si diceva all’epoca, della Birmania. Padre Clemente affianca il confratello padre Erminio Bonetta nel viaggio che lo porta a Kengtung, prima missione del PIME sul suolo birmano.
Il 27 ottobre 1924 arriva a Monglin, sua prima parrocchia. Nel 1925 arriva il nuovo parroco, padre Luigi Cambiaso: con lui, padre Clemente visita i villaggi esterni alla missione e contribuisce alla nascita di nuove comunità cristiane.
Le condizioni di vita dei missionari e della loro gente sono di estrema povertà. Lo stesso padre Cambiaso si ammala gravemente proprio durante la costruzione della chiesa in muratura a Monglin. Padre Clemente rimane temporaneamente solo, tanto da scrivere, in uno dei suoi articoli: «Sono l’unico cristiano nel giro di 100 e più chilometri, il prete più vicino è lontano sei giorni a cavallo. Se voglio vedere un altro battezzato, debbo guardarmi nello specchio».
Padre Paolo Manna (anche lui Beato, dal 2001) visita la missione nel 1928, come superiore generale del PIME, e minaccia di chiuderla, se i missionari continuano ad ammalarsi. Al contrario, dal 1929 al 1931 la missione rifiorisce: trecento nuovi battezzati circa ogni anno, costruzione della chiesa e di case, cappelle, perfino di un ospedale.
Arrivano anche alcune Suore di Maria Bambina per occuparsi dell’orfanotrofio appena sorto. Se infatti c’è un’ “opzione preferenziale”, nell’operato missionario di padre Clemente, è proprio per gli orfani e le orfane, in un territorio dove spesso scoppiano guerriglie o le malattie imperversano.

Il metodo missionario di padre Clemente
Dopo la morte dell’altro confratello che aveva sostituito padre Cambiaso, padre Antonio Farronato, padre Clemente rimane di nuovo solo. Riesce però a fondare altre tre missioni autonome, oltre a seguire quella di Monglin: Kenglap, Mongyong e Mongpyak. Il suo metodo consiste anzitutto nel visitare il territorio, poi nella formazione di quelli che davvero desiderano diventare cristiani.
Le sue testimonianze dalla missione cominciano ad apparire su riviste come «Italia Missionaria»: con uno stile fresco e spigliato, condito da note a volte umoristiche, riesce, come già padre Manna, ad appassionare alla missione moltissimi fedeli in Italia.

Nel campo di prigionia di Kalaw
Un altro conflitto attende padre Clemente: durante la seconda guerra mondiale, infatti, viene internato nel campo di prigionia di Kalaw: i missionari inglesi sospettano di lui e degli altri missionari, in quanto appartengono a una nazione che non è loro alleata.
Nel gennaio 1942 i giapponesi invadono la Birmania e, a fine aprile, liberano i missionari italiani. Padre Clemente riesce a tornare a Monglin sul finire di agosto. Le strutture sono rimaste in piedi, ma sono perlopiù occupate dai giapponesi.

Consolatore nel dopoguerra

L’invasione termina nel 1945, ma la situazione è molto grave. Il missionario, per guadagnare da vivere a sé e ai suoi orfani, spacca la legna e organizza un orto, insieme a un piccolo allevamento di mucche. Coinvolge gli stessi ragazzi nel lavoro: sa che da loro dipende il futuro del Paese. Ai giapponesi succedono poi gli inglesi, ma la Birmania, resasi indipendente nel 1948, comincia a essere frammentata da numerosi scontri tra guerriglieri. Padre Clemente, come sempre, raccoglie gli orfani e consola le vedove.
In una delle sue testimonianze tratteggia la vita che conduce: «Qui a Monglin vivo senza casa, m’alzo senza sveglia, mi lavo senza catino, prego senza chiesa, mangio senza tovaglia, vo’ a caccia senza licenza, viaggio senza soldi, vo’ a spasso senza scarpe, sono allegro senza teatro, studio lingue senza fine, non passo giorno senza fastidi, campo senza amici, sfamo quaranta ragazzi senza scrupoli, invecchio senza accorgermi e di certo morrò senza rimorsi, perché l’uomo allegro il Ciel l’aiuta… E voi? Voi non mai, se non verrete, e presto, a tenermi compagnia!».

A Mong Ping, dove tutto manca
Dopo trentuno anni a Monglin, nel 1955 il prefetto apostolico di Kengtung, monsignor Ferdinando Guercilena, destina padre Clemente a Mong Ping. Le sue energie risultano preziose per cambiare volto a un paesino dove tutto è da costruire.
Lo descrive lui stesso: «La casa manca di tutto: nemmeno un bicchiere, un piatto, una sedia, un letto. In orfanotrofio nove ragazzi (a Monglin ne lasciai un centinaio!) La chiesa è di legno scadente. Si tratta di ricominciare da capo, ma mi occorrerebbero 10 anni di meno sul groppone. La cosa più faticosa è la freddezza della gente. Credete voi che io abbia a perdere le staffe? Mai! Sarà come Dio vuole. Fiorisci dove Dio ti ha piantato!».

Fiducioso nella Provvidenza
Negli anni successivi il missionario riesce a dotare Mong Ping di tutte le strutture necessarie. Nel 1958 avvia la scuola, che nel giro di sette anni tocca i quattrocento alunni, due terzi dei quali non cristiani. Padre Clemente accoglie davvero tutti e, a chi lo rimprovera di non tenere nessuna forma di bilancio, replica col manzoniano «La c’è la Provvidenza».
Per lui Provvidenza sono anche gli aiuti dei suoi concittadini di Agrate: è venuto a visitarli dal 30 gennaio al 22 dicembre 1957, certo che non li rivedrà mai più. Non è stata una vacanza di tutto riposo: anzitutto si è curato da varie malattie, poi ha visitato parrocchie, seminari, gruppi missionari e tenuto conferenze. Si è ritagliato anche un mese di Esercizi spirituali e un pellegrinaggio a Lourdes.

Il cielo si oscura, ma lui è sereno
In Birmania, intanto, i militari prendono il potere e instaurano una dittatura di tipo staliniano. Tutti i missionari stranieri vengono espulsi, non prima che le loro opere vengano incamerate dallo Stato. Padre Clemente sospira: «Purtroppo il cielo si fa buio, ma noi si deve lavorare come se fosse sereno».
Gli viene concesso di restare, insieme ad altri trenta missionari del PIME (perché entrati in Myanmar prima del 1948, anno dell’indipendenza). Soffre molto, anche per vari malanni, ma resiste per i suoi orfani.
Nel 1978 diventa Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto: con i soldi della pensione che gli spetta riesce a far costruire un’altra chiesa.

«Il Patriarca della Chiesa di Birmania»
Il tempo passa anche per il nostro missionario. L’insofferenza alla disciplina ha lasciato il posto a uno spirito organizzativo che, con fare paterno, trasmette anche agli altri abitanti della missione.
Arriva a compiere prima cinquanta, poi sessant’anni di sacerdozio. Lo festeggiano orfani ed ex-allievi e il nuovo vescovo di Kengtung, monsignor Abramo Than, il primo di nazionalità birmana. Finisce perfino sulla copertina del Calendario murale nazionale dei cattolici, dove viene definito «Il Patriarca della Chiesa di Birmania». Dal canto suo, padre Clemente affronta con serenità la vecchiaia e si dice contento di essere al mondo.

Un’inguaribile speranza
Il segreto della sua vita è un’inguaribile speranza, anche se gli anni della persecuzione l’hanno condotto a gridare a Dio i suoi “perché”. Si rifugia costantemente nella preghiera: le suore che collaborano con lui lo vedono spesso col Rosario in mano.
Resta fedele alla recita quotidiana del Breviario, anche se ogni tanto gli capita di addormentarsi mentre prega, ma sa che Dio ascolta anche quella preghiera. L’intervista che nel 1983 gli rivolge il confratello padre Piero Gheddo, che diventa poi il suo primo biografo, costituisce una delle sue ultime e preziose testimonianze.

La morte
Padre Clemente, infatti, all’inizio del giugno 1988 è ricoverato in ospedale a Kengtung. Contrariamente al parere dei medici, chiede di essere trasportato a Mong Ping, per morirvi. Il 15 giugno 1988 alle 20.15 chiude gli occhi per sempre, dopo aver ricevuto l’Unzione degli Infermi, che gli ha impartito monsignor Than.
Al suo funerale, il 21 giugno, partecipano moltissimi birmani, anche musulmani e buddisti. Viene quindi sepolto davanti alla copia della grotta di Lourdes, che lui stesso aveva fatto costruire nel 1962.

La causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche
In prossimità dei cinque anni dalla morte, il Consiglio Pastorale della parrocchia di Sant’Eusebio di Agrate e il Gruppo missionario della stessa parrocchia scrivono a monsignor Than e a padre Gheddo per sollecitare l’apertura della causa di beatificazione di padre Clemente. La sua buona fama, infatti, non è venuta meno nel corso del tempo, sia in Italia sia in Birmania, dove molti, già quando lui era in vita, ricevevano al Battesimo il nome di Clemente o Clementina.
Il nulla osta per l’avvio della causa porta la data dell’8 agosto 1995. A causa di varie difficoltà, di carattere economico e pratico, viene concesso che l’inchiesta diocesana si svolga a Milano. Il cardinale arcivescovo Carlo Maria Martini presiede personalmente sia la prima sessione dell’inchiesta nella parrocchia di Sant’Eusebio, il 18 ottobre 1996, sia l’ultima delle centotrentadue sessioni, il 17 ottobre 1998.
Gli incaricati dell’arcivescovo, intanto, hanno proceduto a interrogare altri testimoni in Birmania, Thailandia, Brasile e altre zone d’Italia. Gli atti dell’inchiesta diocesana vengono convalidati il 7 maggio 1999.
La “Positio super virtutibus” viene data alle stampe nel luglio 2001 e viene esaminata dai Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi il 5 giugno 2007, mentre i cardinali e i vescovi della medesima Congregazione danno il loro parere positivo l’8 gennaio 2008. Il 15 marzo 2008 papa Benedetto XVI autorizza quindi la promulgazione del decreto con cui padre Clemente viene dichiarato Venerabile.

Il miracolo per la beatificazione
Intanto era stato istruito il processo relativo a un asserito miracolo, selezionato tra i sei presentati per ottenere la beatificazione del missionario. Si tratta del fatto accaduto a Joseph Tayasoe, un bambino di dieci anni, senza padre, che viveva nell’orfanotrofio della missione di Mong Yaung.
Si era arrampicato su un albero per cogliere della frutta da mangiare con i suoi compagni, ma era caduto da un’altezza di quattro metri e mezzo. La superiora delle suore dell’orfanotrofio, suor Teresa Pan, era accorsa e si era resa conto che il bambino non rispondeva e aveva una lunga ferita sulla parte posteriore della testa.
Fu subito portato in ospedale, ma il medico, dottor Sai Kham Aung, non poté dare buone speranze, anzi, consigliò alla suora di pregare. Suor Teresa si sentì subito mossa a recitare la preghiera della novena a padre Clemente; tornata all’orfanotrofio, invitò anche gli altri bambini a pregare per lui.
Dopo quattro giorni, Joseph si svegliò, chiamando la mamma, che era rimasta accanto a lui, e chiedendo da mangiare. In breve tempo poté tornare a scuola, senza manifestare alcun segno conseguente alla caduta che, altrimenti, sarebbe risultata fatale.
Durante l’inchiesta sul miracolo, svolta a Kengtung dal 3 al 9 luglio 2004, emerse che mancava la documentazione medica, a causa delle condizioni ambientali del villaggio in cui era accaduto il fatto. Tuttavia, l’ultima dei testimoni interrogati poté fornire un’informazione che comprovava l’avvenuto trauma cranico.

L’approvazione del miracolo e la beatificazione
Il 3 febbraio 2006 arrivò il decreto di convalida dell’inchiesta sul miracolo, sul quale si espresse positivamente, il 25 maggio 2010, la Commissione medica della Congregazione delle Cause dei Santi. I Consultori teologi, il 15 gennaio 2011, confermarono il nesso tra la preghiera rivolta a Dio tramite padre Clemente e la guarigione del bambino. I cardinali e i vescovi della Congregazione, nella loro plenaria del 22 marzo 2011, convalidarono il giudizio dei teologi.
Infine, il 2 aprile 2011, papa Benedetto XVI autorizzava la promulgazione del decreto con cui la guarigione di Joseph Tayasoe era da ritenere inspiegabile, completa, duratura e ottenuta per intercessione di padre Clemente Vismara.
Il 26 giugno 2011, in piazza del Duomo a Milano, fu quindi celebrata la Messa con il rito di beatificazione, presieduto dal cardinal monsignor Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come delegato del Santo Padre. L’Eucaristia, invece, fu presieduta dal cardinal Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano.
Insieme a padre Clemente, la cui memoria liturgica venne fissata al suo “dies natalis”, il 15 giugno, vennero beatificati suor Enrichetta Alfieri, delle Suore di Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, e don Serafino Morazzone, parroco di Chiuso.

Autore: Emilia Flocchini

 


 

Nato ad Agrate Brianza nel 1897, eroe della prima guerra passa tre anni in trincea come fante e termina la guerra come sergente maggiore con tre medaglie al valor militare. Capisce che “la vita ha valore solo se la si dona agli altri” (scriveva) e diventa sacerdote e missionario del Pime nel 1923 e subito parte per la lontana Birmania dov’è destinato a Kengtung, territorio forestale e montuoso abitato da tribali e quasi inesplorato, ancora sotto il dominio di un re locale (saboà) patrocinato dagli inglesi. Parte con due confratelli dall’ultima città col governatore inglese, Toungoo, e arrivano a Kengtung in 14 giorni a cavallo. Tre mesi di sosta per imparare qualcosa delle lingue locali e poi il superiore della missione in sei giorni a cavallo lo porta alla sua ultima destinazione, Monglin ai confini tra Laos, Cina e Thailandia.
Era l’ottobre 1924 e in 32 anni (con un’altra guerra mondiale in mezzo, prigioniero dei giapponesi), fonda tre missioni da zero che oggi sono parrocchie: Monglin, Mong Phyak e Kenglap. In una delle sue prime lettere scriveva ad Agrate: “Qui sono a 120 chilometri da Kengtung e se voglio vedere un altro cristiano debbo guardarmi allo specchio”. Ha con sé tre orfani che gli tengono compagnia, vivono in un capannone di fango e paglia, il suo apostolato è di girare i villaggi dei tribali a cavallo, piantare la sua tenda e farsi conoscere: porta medicine, strappa i denti che fanno male, si adatta a vivere con loro, al clima, ai pericoli, al cibo, mangiano topi e scimmie, riso e salsa piccante. E poi, fin dall’inizio porta a Monglin orfani o bambini abbandonati per educarli. In seguito fonda un orfanotrofio e viveva con 200-250 orfani e orfane. Oggi è invocato come “protettore dei bambini” e fa molte grazie che riguardano i piccoli.
Una vita poverissima e Clemente scrive: “Qui è peggio che quando ero in trincea sull’Adamello e il Monte Maio, ma questa guerra l’ho voluta io e debbo combatterla fino in fondo con l’aiuto di Dio. Sono sempre nelle mani di Dio”. Giorgio Torelli ha scritto: “Qualunque storia sul cielo e sulla terra sappiano raccontarvi, date retta a uno che ha veduto e toccato con mano: grande come questa vicenda ce n’é poche o forse nessuna”.
A poco a poco nasce una cristianità, vengono le suore italiane di Maria Bambina ad aiutarlo, fonda scuole e cappelle, officine e risaie, canali d’irrigazione, insegna la falegnameria e la meccanica, costruisce case in muratura e porta nuove coltivazioni, il frumento, il baco da seta, la verdura (carote, cipolle, insalata – il padre mangia l’erba dicevano all’inizio), ecc. Soprattutto il Beato Clemente ha portato il Vangelo, ha fatto nascere la Chiesa in un angolo di mondo dove non ci sono turisti ma solo contrabbandieri d’oppio, stregoni e guerriglieri di varia estrazione, e poi i membri di tribù che, attraverso la scuola e l’assistenza sanitaria si stanno elevando e oggi hanno medici e infermieri, falegnami e insegnanti, preti e suore e persino vescovi. Non pochi si chiamano Clemente e Clementina.
Ma fin qui ho raccontato solo la prima parte della sua lunga militanza clamorosa. Per conoscerla tutta vi rimando alla biografia “Prima del sole”, perchè Clemente, poeta e sognatore, si alzava prestissimo e saliva sulla vicina collina per veder nascere il sole. Scriveva: “Quando vedo nascere il sole, capisco che Dio non mi ha abbandonato”. E’ morto nel 1988 a 91 anni nella seconda cittadella cristiana costruita a Mongping, dopo 65 anni di vita missionaria, uno dei fondatori della diocesi di Kengtung in Birmania, che i vescovi birmani hanno proclamato “Patriarca della Birmania” nei suoi 60 anni di Birmania (1983).
Clemente rappresenta bene le virtù dei missionari nella storia della Chiesa e i valori da tramandare alle generzioni future. Nell’ultimo mezzo secolo la missione alle genti è cambiata radicalmente, sempre però continuando ad essere quello che Gesù vuole: “Andate in tutto il mondo, annunziate il Vangelo a tutte le creature”. Ma i metodi nuovi (responsabilità della Chiesa locale, inculturazione, dialogo interreligioso, ecc.) debbono essere vissuti nello spirito e nella continuità della Tradizione ecclesiale che risale addirittura agli Apostoli.
Clemente è uno degli ultimi anelli di questa gloriosa Tradizione. Due gli aspetti importanti della sua vita, indispensabili anche oggi: la fiducia assoluta nella Provvidenza e l’amore totale al suo popolo. Apprezzava il denaro perchè serviva a realizzare la carità e la missione, ne chiedeva a parenti e amici. Ha fondato cinque parrocchie con tutte le strutture necessarie, manteneva 200-250 orfani e orfane, molti poveri e lebbrosi, dieci o più vedove senza casa né cibo. Ma non era mai preoccupato del futuro: si fidava della Provvidenza. Il 9 maggio 1962 scriveva al nipote Innocente Vismara: "La spesa totale in un anno si aggira sui quattro milioni di lire. Non tengo conti perchè ho timore che poi Dio se l'abbia a male: vado avanti ad occhi chiusi, è meglio". Suor Battistina Sironi che è stata con Clemente negli ultimi trent'anni della sua vita a Mongping, nel febbraio 1993 a Kengtung mi diceva: "Padre Clemente non teneva nessun tipo di contabilità. Riceveva aiuti dagli amici in Italia e in America perchè scriveva molto e spendeva quel che riceveva. La borsa era vuota, ma il giorno dopo era piena. Non ha mai fatto conti né preventivi né bilanci di spesa. Quando aveva bisogno di soldi, frugava nella borsa e misteriosamente ce n'era sempre".
Il 21 settembre 1978 scriveva ad un amico italiano: "Non te la scaldare tanto per i soldi. Se me li mandano, bene, se non li mandano non me ne importa. La Provvidenza c'è e la devo ringraziare... Più si dona e più si riceve, niente paura". Ad un altro amico il 18 febbraio 1964: “Il denaro è come la paglia: vola via. Io poi sono sempre impegnato in costruzioni e sono spese da orbi. Ma la Provvidenza c'è sempre". In una occasione ringrazia un parente in Italia per le 100.000 lire che gli ha mandato e aggiunge (22 settembre 1961): "Perdiamo, perdiamo quaggiù, se vogliamo ricevere lassù quello che abbiamo perduto. La mia è un'amministrazione un po'... apostolica. Non ho tempo né testa per tenere registri, vado avanti a occhi chiusi, non tengo registrazione alcuna. Spendo, spendo e vedo che ce n'è sempre".
Clemente era innamorato del suo popolo, specie dei piccoli e degli ultimi e scriveva: “Questi orfani non sono miei, ma di Dio e Dio non lascia mai mancare il necessario”. Viveva alla lettera quanto dice Gesù nel Vangelo: “Non preoccupatevi troppo dicendo: 'Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Come ci vestiremo?'. Sono quelli che non conoscono Dio che si preoccupano di tutte queste cose... Voi invece cercate il Regno di Dio e fate la sua volontà: tutto il resto Dio ve lo darà in più" (Matt. 6, 31-34). Utopia? No, in Clemente era una realtà vissuta, che gli portava la gioia nel cuore nonostante tutti i problemi che aveva.


Autore:
Padre Piero Gheddo


Fonte:
ZENIT

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Aggiunto/modificato il 2018-06-19

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