Emer era un ragazzo sensibile e sincero. Questi sono i due aggettivi con cui lo ricordiamo e con cui tratteggiamo il suo carattere. Amava l'amicizia e sapeva donarsi. Esigente con se stesso nel volere e nell'agire, perseguiva con caparbietà le mete che si prefiggeva, senza sgomentarsi davanti agli ostacoli. Con noi amici non si tirava certo indietro nel gioco e negli scherzi, ma quando capitava che si eccedesse, rientrava rapidamente in sé e, specialmente nell'ultimo anno, colpiva per la calma imperturbabile e per il portamento quasi austero.
Molta della sua maturazione umana avvenne nel diciassettesimo anno, l'ultimo della sua vita quaggiù con noi. Allora da scherzoso divenne riflessivo e pacato, senza peraltro perdere il suo inimitabile sorriso e la dolcezza del suo tratto. Lo avevamo visto anche arrabbiarsi, a scuola, specialmente se prendeva qualche voto non troppo bello, lo avevamo visto prendere posizioni forti nei confronti delle ragazze coetanee, da lui giudicate troppo leggere, ma anche subito riprendersi, raddolcirsi, come quasi volesse chiedere scusa della sua irruenza.
Tutto questo nei mesi finali, quando altri pensieri - nessuno o pochi capivano quali - sembravano affollare la sua mente, dandogli un'aria più riflessiva, matura, profonda. Rimaneva però al contempo l'Emer sincero e affabile di sempre.
La sua struttura interiore era saldamente informata dalla concezione cristiana della vita, che aveva ricevuto in famiglia e aveva respirato fin dall'infanzia. Era nato a Carpi il 17 Aprile 1974. Figlio di un medico chirurgo, Gabriele Mezzanotte, e di Gabriella, Emer nasce nel primo anno di nozze dei genitori, e gli viene dato il nome del nonno paterno. Emer... un nome strano. Ci siamo sempre chiesti che cosa significasse. Ora ci dicono che in greco vuol dire "giorno", e ripensando alla simbologia del giorno come luce, ci appare oggi quasi come una premonizione. Dopo due anni nasce Daniele, seguito a ruota da Francesco, che chiude la fila dei fratelli.
I ricordi dell'infanzia di Emer non si distinguono da quelli degli altri bambini. Il carattere che emerge indica una personalità dolce e affettuosa, non ribelle, docile ai genitori. Quando nel 1980 (Emer ha 6 anni) la mamma deve subire un delicato intervento chirurgico, egli si chiude in un isolamento dolente, e quando ella ritorna a casa, manifesta la sua grande gioia diventando premuroso e servizievole in tutto.
Frequenta le scuole materne "Papa Giovanni XXIII" e riceve dalle buone suore, al termine, una immagine della Vergine, nel cui retro è aggiunta a mano una scritta di invocazione alla protezione materna di Maria. Le suore non fecero altrettanto con Daniele e Francesco, che frequentarono lo stesso asilo.
Alle elementari Emer frequenta con profitto. In questi anni il suo carattere si vivacizza; pur rimanendo nel consueto rispetto dell'obbedienza ai genitori - che rimarrà una costante per tutta la vita - i suoi tratti si fanno più esuberanti e il suo carattere più vivace.
A 10 anni, in quinta elementare, un avvenimento inaspettato scuote la famiglia: il padre decide di lasciare l'ospedale e di partire volontario per il Pakistan con la Croce Rossa per una missione di 4 mesi. È un momento critico nella guerra tra l'Unione Sovietica e l'Afganistan, e occorrono soccorsi nelle pericolose zone di confine, laddove ferve una sanguinosa guerra. La guerra, la lontananza e i rischi legati alla missione fanno sì che lo stato d'animo di coloro che rimangono a casa, la moglie e i tre bambini piccoli, non sia dei più tranquilli. Emer sente la cosa. Di questo periodo è un tema, fatto in classe, che stupisce la maestra, e che le fa dire alla madre "questo ragazzo diventerà sacerdote". Quali siano stati i contenuti di tale tema, non è possibile sapere; certo è che la maestra, signora Luciana Bertoni, esprimendosi in tal maniera, ne deve avere intuita una certa propensione religiosa.
Ad ogni buon conto, questo richiamo alla vita religiosa e sacerdotale rimane caso isolato per tutta la sua vita, ad esclusione degli ultimi mesi.
L'avventura in Pakistan del padre si conclude dopo solo un mese; è una bomba scoppiata nell'accampamento, dalla quale esce illeso, che gli fa riprendere la via di casa.
Appena rientrato, tutta la famiglia si avvicina al movimento Neocatecumenale, i due genitori entrano a farne parte quasi immediatamente.
Nel 1985 Emer inizia le scuole medie inferiori alle "Carducci". Il profitto è sempre buono, ci tiene a far bella figura con gli insegnanti, e si applica allo studio. Rispetto alle elementari si nota una maturità nell'atteggiamento: è un ragazzino composto, scevro da ogni eccesso, che prende le cose con serietà. La maturità si denota anche dal fatto che al termine della seconda media decide che la sua scuola futura sarà senza dubbio il liceo classico.
Il suo impegno religioso è piuttosto vivo in questo periodo. In seconda e in terza media partecipa alle funzioni del mese di Maggio in parrocchia (Sacra Famiglia). Gli adulti che organizzano il rosario considerano poco il ragazzino, mentre egli avrebbe svolto volentieri un ruolo attivo.
Terminate le medie, Emer si iscrive al liceo-ginnasio all'Istituto S. Carlo di Modena. Egli prende con serietà i suoi studi. Desidera sempre far bella figura, e si arrabbia se qualche voto è al di sotto delle sue aspettative. Il non saper accettare con pazienza i propri limiti è un lato del suo carattere contro il quale dovrà sempre lottare, e sul quale riporterà alla fine una sofferta ma definitiva vittoria.
Al ginnasio spesso frequenta la Messa feriale vespertina.
Le attività principali di Emer sono la scuola e gli scout, mentre come attività sportiva si dedica al nuoto, alla "Città dei Ragazzi".
Negli scout Emer era entrato nel 1983, a 9 anni, iniziando un cammino che seguirà sempre per tutta la sua vita. Negli scout egli sarà sempre un fedelissimo, vivendo con entusiasmo ogni attività e "passaggio" dell'esperienza scautistica. Dai 9 ai 17 anni parteciperà a tutte le vicende dei gruppi di appartenenza, il "Modena 3" di S. Pietro prima e il "Modena 6" di S. Rita durante il "noviziato" poi. Non è questa solo l'occasione per conoscere nuovi amici, ma anche per crescere nell'esperienza umana, all'ombra di questo campanile che tanto gli ha dato. Solo verso la fine, proprio poco prima di terminare il "noviziato" e dopo l'esperienza di Casa S. Sergio, egli avverte un vuoto: forse sente il bisogno di qualche cosa di più. Lo confiderà all'amico Filippo. La sua anima esige un approfondimento maggiore, ma ciò non toglie che a livello di amicizie, di incontri personali, di gazzarre e di gioia di comunicare, l'ambiente scout rimarrà il suo mondo fino alla fine.
Gli amici cominciano a vedere Emer che si reca di sera in Duomo, lo vedono con il breviario in mano. È più meditabondo, schivo, ma al contempo si fa più dolce e affettuoso.
È di questo tempo la conoscenza con la comunità monastica dei "Figli di Dio", nella cui casa madre (Casa S. Sergio) di Settignano (Firenze) viene portato da Filippo nel giugno del 1991. Qui Emer conosce il Padre fondatore, don Divo Barsotti, don Serafino e gli altri giovani monaci di Casa S. Sergio. Ne rimane colpito e affascinato. Nell'occasione di questa visita a Settignano (che rimarrà l'unica) Emer entra nell'aspirantato della Comunità, e inizia un cammino di formazione spirituale più specifica a Modena, dove la Comunità è presente con diversi consacrati.
Emer rimarrà sempre segnato dalla sua permanenza a casa S. Sergio. Colpito dalla figura del Padre, seguito con particolare affetto e amicizia da don Serafino, egli si apre a una conoscenza nuova del mistero di Dio. La madre stessa ha lasciato detto che "Emer è trasformato dopo Settignano: al suo ritorno si è dimostrato immediatamente più disponibile e servizievole: va a prendere l'acqua in garage senza che glielo debba chiedere due volte, custodisce il cane... È mite, servizievole, molto sereno".
Al tempo stesso Emer diviene esigente, assai chiaro nella sua visione spirituale, quasi severo. Prova disagio con molte ragazze della sua età perché non le trova serie, patisce nel vedere che molti suoi coetanei sono così insensibili a Dio e non vivono sempre in conformità al Suo volere; patisce anche nel vedere alcuni di loro così ribelli verso i genitori, cosa che non riesce proprio a comprendere. Emer e Filippo si appoggiano a vicenda; animati dalle stesse convinzioni, sostengono battaglie e "crociate", il più delle volte in tono scherzoso e volutamente esagerato, ma sempre con un fondo di verità. Sorgono discussioni, anche in classe, sull'impostazione della vita, sul rapporto tra ragazzo e ragazza, sulla Chiesa... Emer vi partecipa con ardore, manifestando fede e convinzioni sempre più precise e forti. Sì, perché Dio è Dio, ed Emer sente l'assolutezza che il cristiano deve vivere se vuole essere coerente e conforme al credo che professa. Ebbene, coerente e conforme egli lo sarà fino alla fine, anche quando gli verrà chiesto il bene suo più prezioso.
Aumenta la sua preghiera, la sua penitenza (un particolare significativo: nel suo Manuale della "Comunità dei figli di Dio" l'unica delle circolari del Padre da lui segnata a penna porta il titolo "Come vivere la penitenza"), mentre si fa un po' in disparte nei suoi rapporti con gli amici.
Emer è ormai cambiato. Si allontana pian piano dal mondo, sceglie solo le cose buone e serie, sta in casa al sabato sera e non pensa alle festicciole; se in televisione appare una donnina poco vestita, abbassa lo sguardo per non vedere, riprende i suoi se non vanno alla Messa dei Neocatecumenali. Questo particolare dell"'abbassare lo sguardo" ci commuove... Come questo piccolo gesto ci parla della sua purezza!
Per i due fratelli diventa un punto di riferimento, soprattutto nell'insegnare loro i valori della costanza e della fedeltà. Come in tutte le famiglie in cui vi sono fratelli vicini di età, Daniele e Francesco usavano la sua roba, il suo giradischi… e lui lasciava fare. La madre ci dice che a volte, entrando di sorpresa nella mansarda di casa dove studiava, lo trovava assorto e pensieroso. Alla domanda se aveva qualche pensiero che lo preoccupava o qualche delusione amorosa, egli rispondeva, sorridendo, che non era nulla…
In prima liceo Emer va a Messa tutti i giorni, tutte le sere o quasi va in Duomo con Filippo per i Vespri. Le venute del Padre e di don Serafino a Modena nell'autunno del 1991 lo accendono di entusiasmo .
Si inizierà con don Serafino un dialogo che lo porterà presto ad affrontare il tema della chiamata di Dio. Si sentì mai Emer in questo periodo chiamato dal Signore alla vita religiosa e sacerdotale? Un sì esplicito non fu da lui espresso, anche se la propensione si faceva sempre più chiara; espressioni da lui usate con le persone care e con il sacerdote con cui si confidava fanno ritenere che egli avesse già preso in seria considerazione l'idea di una donazione totale di sé a Dio, del quale da tempo ormai era avvinto e affascinato.
Lo testimoniano tra l'altro due telefonate, risalenti entrambe ai primissimi tempi della sua malattia, quando iniziò la chemioterapia. Le vogliamo riportare, secondo le testimonianze che abbiamo ricevuto.La prima è di Paolo Giglioli, medico, amico di famiglia e padrino alla cresima di Emer. La telefonata risale al 21 febbraio '92. Ecco quanto riporta Paolo:
Paolo: Ciao Emer, come stai? Sei solo in casa?
Emer: Sì, sono rimasto a casa solo io perché ho mal di testa. Papà e mamma sono fuori.
- Non importa, volevo parlare con te, in qualità di tuo padrino. Ho saputo da tuo padre che non stai bene e che non è sinusite. Sai dirmi altre notizie?
- Mah, per adesso si sospetta un angioma, ma non si sa ancora; mi hanno fatto la TAC e la RMN, ma non sappiamo ancora i risultati.
- Ascolta Emer, ti devo dire una cosa molto importante per la tua vita. Forse questo sarà il periodo più difficile della tua vita, però sono sicuro che sei pronto per affrontarlo, altrimenti il Signore non lo permetterebbe.
- Il papà mi ha detto che perderò i capelli...
- Certamente, ma non ti preoccupare, perché i capelli, finita la terapia, ricrescono. Ascolta: come sei messo nel cammino di fede?
- Quest'estate sono andato a Firenze in una comunità di monaci e mi sono trovato molto bene. Ho intenzione di ritornarci.
- In che senso vuoi tornarci? Vuoi farti monaco?
- Mah, per adesso non lo so ancora, ma comunque vorrei entrare per trovare la mia strada, perché mi sono trovato molto bene.
- Vedo che hai fatto passi da gigante in questi anni. Sinceramente non mi aspettano una crescita così veloce (...) Ascolta, può darsi che il Signore voglia fare qualcosa di più con te. Tu come la vedi?
- Quello che fa, lo sa solo Lui. Io comunque lo sento vicino. Anche dopo l'incidente, non mi ha abbandonato.
- Io ero preoccupato di non scandalizzarti, ma vedo che ormai hai un'esperienza di fede diretta. Ricordati che in chiave di fede nulla è a caso; anche questa prova che ora devi affrontare ha un significato. Sai, lunedì mentre ero in macchina vicino a Bologna, mentre guidavo, stavo parlando con il Signore e discutevo con Lui su problemi di denaro; gli dicevo che non riuscivo nonostante tutto a non preoccuparmi. Mi sono così distratto e all'improvviso ho sentito un gran botto e mi sono trovato sulla corsia di emergenza con la macchina distrutta. Ero andato a finire addosso a un rimorchio di un Tir. Quando ho capito che cosa mi era capitato mi sono reso conto di chi e il padrone della vita e della morte.
- Sarà meglio che, quando guidi, non chieda al Signore tutte quelle cose, altrimenti la prossima volta potrebbe finire diversamente!
- Hai ragione, ma la lezione mi è servita. Comunque, tornando alla tua malattia, credo che stavolta sarai solo nella prova anche se tanti ti saranno vicini. Stai per iniziare un periodo di precarietà che solo il Signore sa dove ti porterà. Hai paura?
- Basta che il Signore sia con me. Mi fido di Lui.
- Grazie Emer per la tua fede. Salutami i tuoi e spero di rivederti presto.
- Ciao Pollon.... adesso vado a sdraiarmi perché mi scoppia la testa.
La seconda telefonata è con don Serafino di Casa S. Sergio, risalente al tempo delle cure chemioterapiche di Milano:
Don Serafino: - "Emer, stiamo tanto pregando per la tua guarigione. Se guarisci, ricordati che ti aspettiamo qui!" E la risposta, dopo un attimo di silenzio: "Eh, ci ho pensato... Se il Signore vuole!"
Nell'agosto 1991 Emer, in sella a un vecchio motorino del nonno, viene travolto da un motociclista che procede ad alta velocità. E' un brutto incidente: fa un volo sull'asfalto di quasi 20 metri, riportando al termine una grave ferita al piede ed escoriazioni varie. "Credevo di morire", dirà più tardi ai genitori, ma aggiungerà anche che in quegli attimi l'unico pensiero che gli attraversa la mente è quello del dispiacere che avrebbe dato ai suoi. Oltre a questo, il giovane investitore, anziché soccorrere Emer a terra sanguinante, inveisce contro di lui con male parole. Comunque sia, Emer deve stare in ospedale per 10 giorni, seguito dal dott. Longo, durante i quali sopporta molto bene il dolore; poi gli ci vogliono 5 mesi di convalescenza per riprendersi completamente.
In questi mesi egli riflette a lungo sul dono della vita e della salute.
Appena terminata la convalescenza del piede, Emer comincia ad avvertire un dolore alla testa, localizzato nella zona della fronte, anteriormente. Siamo all'inizio dell'anno 1992, l'ultimo della sua vita, verso la fine del mese di gennaio. Da principio si pensa ad una sinusite, e si apprestano le cure del caso. Ma visto che né aerosol né altre medicine ottengono effetto, si provvede ad una visita più accurata.
Durante le prime due settimane di febbraio, quando soffriva mal di testa ma nessuno ancora sospettava la natura del male, Emer va coi genitori e i fratelli per tre volte ad ascoltare le catechesi di una équipe Neocatecumenale. Durante le catechesi Emer deve tenere lo sguardo rivolto verso il basso, sia per il dolore alla fronte, sia per la continua lacrimazione dall'occhio sinistro. Al ritorno a casa il padre in macchina gli chiede se gli è piaciuto; la risposta è che ciò che aveva udito lo sapeva già, aggiungendo poi due lapidarie parole: "Dio c'è".
Il 15 febbraio Emer esegue una TAC che evidenzia la presenza di una neoformazione solida a carattere infiltrante che occupa completamente la fossa nasale sinistra, infiltrando il seno mascellare, e si estende attraverso il setto alla fossa nasale destra. La neoformazione penetra nell'orbita sinistra comprimendo il globo oculare, che lievemente protende dall'orbita, con una lacrimazione continua. Emer esegue l'esame con calma; l'idea di una malattia così grave non lo sfiora. Tuttavia il senso di completa chiusura del naso a sinistra e parziale a destra determina un fastidio rilevante e lo costringe a respirare con la bocca. È presente anche mal di testa localizzato al centro della fronte, che recede con la somministrazione di analgesici per bocca. Non sapendo con precisione di che cosa si tratti, non si azzardano ipotesi, anche se il sospetto che ci sia qualcosa di grave comincia a serpeggiare tra coloro che lo seguono.
Il 19 dello stesso mese, Emer esegue la RMN, che conferma e precisa meglio l'estensione della neoplasia. Intervengono inaspettatamente alcuni medici del policlinico di Modena, colleghi padre, e lo mettono in contatto col prof. Brusati, direttore della chirurgia maxillo-facciale di Parma, giudicato uno dei migliori in Italia.
Il 24 febbraio Emer viene ricoverato per la prima volta a Parma, per due giorni: si vuole sapere con precisione cosa abbia Emer, e si fanno tutte le analisi del caso. Viene sottoposto ad angiografia carotidea mediante catetere per via trans-femorale e successivamente alla biopsia della neoplasia attraverso il naso in anestesia locale. Stupisce il comportamento di Emer mentre il radiologo incanula l'arteria all'inguine: resta immobile, non una parola o un lamento. È in camera con due ragazzini più giovani. È tranquillo e conversa con il più vicino; l'altro è malformato e con handicap mentale, sempre assistito dalla mamma. Viene un anestesista, e prospetta alla madre gravi difficoltà ad intubare il bimbo. La madre si spaventa molto; Emer interviene rassicurandola: "Signora, non abbia paura, hanno fatto così anche con me...vedrà che andrà tutto bene".
Durante la stessa degenza Emer dice alla madre: "Pensa, mamma, posso andare in bagno da solo". Sulle prime la madre giudica banale questa frase, poi sentendo alcuni discorsi tra Emer e il fratello Francesco, avverte che il figlio ha interiorizzato a sofferenza del dolore fisico, trasformandola in qualche modo in amore verso chi soffre.
Prima della dimissione viene comunicata al padre la notizia terrificante: si tratta di un tumore ad alta malignità; è una forma rara, estremamente aggressiva, che non perdona.
È una mazzata che spacca il cuore: anche se la diagnosi non è ancora definitiva (verrà precisata in modo certo a Milano il 4 marzo, Mercoledì delle ceneri), è chiaro che ci si trova di fronte [d un male di cui non si osa quasi nemmeno pronunciare il nome. Che fare? Dirlo o non dirlo al figlio? Emer intuisce qualcosa, ma rimane sereno, senza turbarsi. Il compito di comunicare al figlio l'entità del male sarà assolto dal padre pian piano, dopo poco tempo.
Si decide di ricorrere all'Istituto nazionale dei tumori di Milano. Gabriele e Lamberto, un vigile urbano amico di famiglia, iniziano così la faticosa spola tra Modena e Milano portando ripetutamente Emer a Milano per accertamenti e visite.
Approfittando degli spazi liberi che la giornata gli lascia, Emer si reca nel frattempo a Modena per diverse volte da Padre Francesco Massari, cappuccino. Padre Francesco è un vecchio amico di famiglia: per Emer è facile aprirsi e confidarsi con lui. Prima della chemioterapia viene concordemente decisa la somministrazione dell'olio degli infermi, che Emer richiede e riceve con fede.
A Milano si specifica e precisa la terrificante diagnosi: "schwannoma maligno con focolaio di differenziazione rabdomioblastica". Ciò che colpisce è, oltre alla rarità del tumore, l'altissima malignità che emerge dallo studio dei preparati istopatologici. Umanamente parlando, non c'è nessuna speranza.
L'ambiente di questo Istituto nazionale dei tumori è tragico: tutti bambini e ragazzi malati di tumore, senza capelli. Alcuni sembrano vecchi. Facce cupe e angosciate dei genitori. Emer vede, osserva, ma non dice niente. Fa i suoi accertamenti, alcuni dei quali provocano un forte malessere con vomito. Il 5 marzo il dott. Gasparini propone un immediato inizio della chemioterapia: non c'è più tempo da perdere. Vuole parlare con Emer, dirgli che si tratta di un tumore maligno, ma che si può curare, e vuole proporgli di raccogliere lo sperma da mettere in banca perché la cura lo renderà sterile. Racconta il padre: risponde negativamente, lascerà che sia il padre a dirgli quello che ritiene opportuno. Parlo con Emer: "Emer, fidati di papà: se il dottor Gasparini ti chiederà se vuoi fare delle domande, tu digli di no". Porto Emer nello studio. "Ci sono delle domande che mi vuoi fare?" interroga il dottore. "No", è la risposta. "Non c'è proprio niente che mi vuoi chiedere a proposito della malattia?" La risposta è ancora una volta negativa, e il colloquio finisce così. Emer si è fidato completamente dei suoi genitori.
I giorni degli accertamenti a Milano sono molto pesanti per Emer, sia fisicamente che psicologicamente. Una sera, a Modena, seduto sul divano, afferma: "Quando sarà finita voglio andare 15 giorni a Settignano, la c'è veramente una grande pace".
Il dolore alla testa è continuo, accentuato anche dai continui viaggi in macchina. Il vomito è presente spesso, tuttavia Emer dimostra una carattere molto forte.
Durante questo periodo una frase inattesa e piuttosto forte di Emer scuote fortemente i genitori, i quali certamente non capiscono sul momento il senso che si cela dietro queste parole. Emer è sdraiato sul letto di casa; il papà e la mamma sono poco lontani e parlano con tono preoccupato della loro situazione; all'improvviso Emer interviene, con naturalezza e con tono di voce pacato: "Guardate che io vi sto pagando tutti". I genitori ammutoliscono e lo guardano meravigliati, investiti come da una grande tristezza.. Ma Emer non aggiunge altro, e china la testa sulla spalla per riposare.
I viaggi a Milano sono molto stancanti. Una sera, appena nati, papà e mamma, stremati anch'essi dalla tensione e come intontiti dall'improvvisa prova che si è abbattuta sulla loro casa, si avvicinano a Emer, in silenzio, come per sostenerlo e incoraggiarlo con la loro muta amorosa presenza. Emer soffre di dolore alla fronte, come se avesse un chiodo conficcato in profondità sopra la radice del naso, tra i due occhi. Il dolore è tale che egli non può nemmeno sollevare lo sguardo. Sta per cedere, per mettersi a piangere. La mamma comincia a gemere: "Emer, non fare cosi... farei qualsiasi cosa per farti star bene, ma non posso fare niente!" D'istinto il papà si alza dalla sedia, va verso di lui e d'impulso gli mette la mano sulla testa: è un gesto d'affetto e impotenza al tempo stesso. 'Ti prego papà, tira via la mano, mi stare male" egli dice, cercando di allontanarla. "No, Emer, resisti", e cosi dicendo gli mette le mani una sulla fronte e una sul capo. La reazione è impressionante: Emer diventa pallidissimo, esangue, il viso si ricopre di sudore (e una sudorazione molto abbondante) ed è sul punto di perdere i sensi. Il papà insiste per circa dieci minuti; quando smette, Emer è letteralmente tramortito. Lo sollevano a fatica e lo portano sul divano. Qui resta immobile e incapace di dire una parola per 40 minuti, dopodiché la mamma e Daniele lo caricano sulle spalle e lo portano a letto. Dormirà ininterrottamente per due giorni e mezzo, salvo due ore la mattina del giorno dopo per la chemioterapia al Policlinico di Modena. Quando si alza sta abbastanza bene, e mangia per la prima volta dopo tre giorni. Pur risentendo degli effetti della chemioterapia (nausea, indebolimento), di fatto da quel momento il dolore, trafittivo e puntorio, localizzato alla fronte al di sopra della radice del naso, scompare, per ricomparire giovedì 9 Aprile.
A fine marzo, in piena Quaresima, Emer fa due cicli di chemioterapia molto pesanti. Le sofferenze questa volta sono gravi: forti dolori all'addome, forte nausea, grande prostrazione. Nonostante questo, egli vuole continuare ad andare a scuola affrontare le interrogazioni e i compiti per non compromettere l'anno. Sa sopportare con molta forza e affronta la situazione.
1 Aprile. Mentre è a scuola, Emer si accorge di essere cieco dall'occhio destro (quello che vede meglio: l'occhio sinistro vede meno ed è spinto leggermente in fuori dal tumore che ha invaso l'orbita). È molto spaventato, ma non dice niente. Ne parla con la mamma a casa, che, allarmata, prende l'appuntamento con l'oculista. Ci sono varie ipotesi, anche quella tossica dovuta alle medicine. Si cerca di rassicurarlo: "È un effetto tossico, adesso ti curiamo; la vista tornerà".
Emer supera anche questa prova e riprende a studiare.
Un pomeriggio dice ai suoi che va in mansarda a preparare italiano in vista di un'interrogazione. "Mi raccomando Emer, non ti stancare" gli osservano. Ma lui risponde: "Papà, lo faccio volentieri, a me piace studiare italiano". Resta nel suo studio tutto il pomeriggio, e l'indomani l'interrogazione va bene.
I genitori lo portano ora a scuola in macchina, ma se può torna a casa a piedi.
Una volta soltanto rincasò nel tardo pomeriggio, perché era stato al GAUCI; qui, come scout, aiutava un ragazzo con seri problemi di famiglia a studiare. Era andato ad avvertirlo che non poteva più seguirlo. Emer sa di avere un tumore, ne conosce il nome terribile, sa che la chemioterapia serve alla preparazione dell'intervento per prevenire una recidiva: in conclusione, si rende perfettamente conto della gravità della sua situazione.
Fatalmente, in seguito alla chemioterapia, i capelli cadono. Per Emer è certo un dispiacere, ma sa dominarsi. Come sempre è misurato, evita il più possibile di intristire i genitori.
Il suo quadro esteriore al momento è il seguente: l'occhio sinistro sporge dall'orbita per via del tumore, l'occhio destro è cieco, è completamente senza capelli e molto debole. Eppure continua ad andare a scuola, col suo berretto a visiera lunga. A scuola che cosa prova di fronte agli altri, ai coetanei carichi di energia, alle ragazze della classe? Egli non si nasconde, affronta ognuno a viso aperto e con tutta la serenità di cui è capace. "Mi sono sempre chiesto - dice il padre - da dove gli venisse questa forza", anche perché, mentre andava a scuola, gli esami e le cure continuavano. Un insegnante telefona a casa Mezzanotte e dice: "Emer ci dà una lezione di vita".
Dopo tre giorni Emer viene portato in clinica oculistica a Modena per un esame agli occhi. Ha appena fatto la chemioterapia e sta molto male: cammina con grande fatica, non riesce a stare in piedi per lo sforzo, ed è molto pallido. Le persone lo guardano quasi con paura. Il medico che fa l'esame lo tratta con grande distacco, con una freddezza incredibile nei confronti di un ragazzo. Emer fa tutto quello che gli viene chiesto: è proprio un ragazzo mite, buono, assolutamente indifeso. Il direttore della clinica oculistica si rifiuta di visitarlo, dice di non avere tempo. Mentre tornano verso l'ascensore, Emer dice con un filo di voce: "Sto male, ho paura di svenire..." Ma ce la fa, e raggiunge la macchina.
9 Aprile. Emer va a scuola perché c'è il compito in classe di greco. È pallido come uno straccio, debolissimo, quasi barcollante, con l'occhio cieco e con dolori emicranici. Ma va. L'insegnante, sapendo che ci vede poco, gli dà il testo scritto a caratteri più grandi. Il compito è svolto bene, e quando torna a casa comunica con gioia ai genitori che non ha avuto bisogno di chiedere aiuto se non per qualche piccola cosa. L'insegnante poi ci comunica che effettivamente il compito è più che buono. A pensarci bene, è incredibile.
Alla sera dello stesso giorno, Emer fa la RMN cerebrale di controllo: il tumore si è esteso, è penetrato nel cervello, raggiunge lo sfenoide e il chiasma dei nervi ottici. Eppure al mattino, poche ora prima, ha fatto bene il compito in classe di greco...
La risonanza provoca un forte contraccolpo: è il crollo improvviso. Emer si butta a letto e vi rimane immobile, non mangia, beve pochissimo, vomita e ha mal di testa. Con un grande sforzo poi finalmente si alza. va in bagno, con forti conati di vomito, ma cade a terra per l'eccessivo sforzo. I genitori angosciati accorrono, lo sollevano e lo riportano a letto; mentre Emer viene sdraiato, dice con un filo di voce parole nelle quali si sente per la prima volta la paura: "Papa, ma io guarirò?" Gabriele lo abbraccia forte: "Ma certo che guarirai, che cosa dici? Sono quelle medicine che ti fanno questo effetto... non avere paura". Emer non dice più niente, e rimane a letto per quattro giorni, durante i quali riceve per la seconda volta l'olio degli infermi, sempre per mano di P. Francesco Massari. Dopo il sacramento, Emer sembra migliorare un poco... almeno soffre di meno.
Ci si rende conto che bisogna operare Emer prima che sia troppo tardi. Ci sono ostacoli di ogni sorta, i medici tendono a ritardare Dopo vibranti insistenze, finalmente Emer viene ricoverato, a Parma. È martedì 14 Aprile, martedì santo.
Negli ultimi giorni prima del ricovero a Parma, Emer perde progressivamente la vista dall'unico occhio sano. Quando viene ricoverato è quasi completamente cieco, e le condizioni generali sono in progressivo peggioramento, il male di testa è praticamente incessante e ininterrotto. Emer sorprende i suoi perché il giorno che lascia Modena è in grado di scendere le scale sostenuto da Lamberto e Oriello. In macchina è tranquillo, ma vicino all'ospedale di Parma avverte una nausea invincibile, chiede di fermarsi, scende, rimane per qualche minuto in piedi, in silenzio, poi pian piano riprende forza. In ospedale si rendono subito conto delle gravissime condizioni e lo sottopongono a tutte le cure. Il reparto sembra buono e anche l'ambiente medico desta una buona impressione.
Nello stesso giorno del ricovero a Parma, il cane di Emer, Zeta, un bel pastore tedesco, ha una crisi cardiaca. Dicono che la sensibilità degli animali molto spesso è conforme a quella dei padroni; di fatto, dopo questo primo episodio che li accomuna, Zeta precede il padrone, e venti giorni dopo muore improvvisamente. A Emer non viene detto, ma egli, durante la successiva degenza a Bologna, chiede dove sia finito il cane, perché lo vuole con sé. Lo vuole con sé... La richiesta viene esaudita, perché i due lasciano il mondo quasi insieme…
Alla prima sera della degenza parmigiana, Emer chiede al papà di accompagnarlo in bagno; mentre viene accompagnato a piccoli lenti passi, Emer comunica al padre, a bassa voce, la drammatica verità che da qualche minuto è la sua nuova e definitiva realtà: "Papà, non ci vedo più". Tutto qui. Nessun commento, nessuna perdita di calma. È una semplice constatazione.
In bagno vomita per l'ennesima volta; è stremato, e con voce bassa, con un tono di mansuetudine persino inconsueto, confessa: "Non ce la faccio più a vivere cosi". Poi torna a letto, o meglio, crolla a letto. Quali saranno stati i suoi sentimenti? È più di un mese ormai che egli vive ininterrottamente questa improvvisa e drammatica situazione di prostrazione... Non ce la fa più a vivere così. Ma proprio questa frase segna il preludio di una nuova fase, di un elevato, progressivo e inaspettato innalzamento della sua anima e della sua esperienza.
15 Aprile, mercoledì santo. Emer è totalmente cieco. Si mette seduto (ha sempre la flebo 24 ore su 24), il capo è chino, tace. Con la mano sinistra fa cenno al papà di sedere accanto a lui. Gli passa il braccio sinistro sulle spalle e appoggia la testa accanto alla sua, con un gesto affettuosissimo. Poi un sussurro: "Papà, mi hanno detto che mi aprono la testa". "Emer, in questo devi essere assolutamente tranquillo, la tecnica chirurgica è perfetta e tu non sentirai alcun male. Questo, credimi, non è assolutamente un problema". Emer non dice più niente, ma resta appoggiato a lui ancora un poco, poi, stanco, chiede di aiutarlo a sdraiarsi. Il papà non resiste più, va in bagno e scoppia. "Penso che Emer - dirà poi - mi abbia sentito piangere".
16 Aprile, giovedì santo. Di notte Emer, assistito dalla mamma, chiede di esser accompagnato in bagno. Al ritorno, verso l'una di notte, si sdraia sul letto e pronuncia con pacata dolcezza: "Gesù, Gesù". È un tono mai sentito prima, una dolcezza che strugge... si ha l'impressione dell'abbandono totale. E mentre Emer piano piano si riaddormenta, la mamma Gabriella, anche per lo stress accumulato in quei giorni, viene colta da colica renale alle 2.30 di notte, e viene portata al pronto soccorso dello stesso ospedale.
Desterà impressione questa duplice ripetizione del nome di Gesù. Non tanto per l'invocazione - anche chi è lontano dalla pratica religiosa spesso cerca soccorso in Dio nei momenti dolorosi e difficili - quanto per il modo in cui lo dice, per il tono tenerissimo e affettuoso. Appena invocato il Signore, infatti, si rannicchia nel letto nella posizione che ha il bambino nel ventre materno. Non sembra una implorazione, ma una frase di amore.
Quando il papà arriva all'ospedale, alle 5 del mattino, Emer è tranquillo. Mancano poche ore all'operazione: egli sa bene che gli apriranno il cranio, ma è estremamente sereno. Alle 8 va in bagno; con molta calma si lava, anche i denti, con estrema cura. Poi si rimette a letto: è supino, con le mani incrociate sul petto, molto tranquillo. In questa posizione aspetta l'ora dell'intervento chirurgico Sembra che il dolore sia passato tutto da Emer alla mamma, che in quel momento è sempre al pronto soccorso, due piani sotto, in preda agli spasmi della colica.
Alle 8.05 vengono a prenderlo per portarlo in sala operatoria. Uscirà verso le ore 16.00. Il primario, prof. Brusati, prima dell'operazione confida a Gabriele di essere pessimista; teme, dice, di non poter fare niente. All'uscita della sala operatoria invece è soddisfatto: "È stato meglio di quanto pensavo. Abbiamo tolto tutta la massa; non è però un intervento radicale perché sono rimasti piccoli residui inasportabili: dovremo irradiarlo molto presto".
La quarta comunità Neocatecumenale di S. Paolo di Modena si mobilita per l'assistenza: da dopo l'operazione, Emer sarà assistito 24 ore su 24, fino alla fine, con turni organizzati a rotazione, in seguito anche con la collaborazione dei fratelli e sorelle della CFD di Modena e Bologna.
17 Aprile, venerdì santo, compleanno di Emer. Il raggiungimento della maggiore età è sempre un avvenimento importante nella vita di un ragazzo, è come sentirsi improvvisamente più uomo. Certamente Emer non avrebbe mai pensato di compiere 18 anni in quelle condizioni. Attorno al suo letto sono i familiari e gli amici intimi, ma lui non risponde perché l'effetto dell'anestesia si fa ancora sentire.
Così Emer passa il suo ultimo compleanno.
Il giorno dopo, per una eccessiva deliquorazione (perdita di liquido cerebrospinale dal drenaggio lombare) Emer va in coma, ma poi si riprende.
19 Aprile, Pasqua. Emer si riprende bene. Parla, e chiede addirittura di alzarsi. Cambia spesso posizione nel letto; non vede nulla ma sente tutto. Risponde ad ogni domanda, stringe la mano a chi gliela accarezza. Fa tenerezza: la vasta cicatrice sul cranio totalmente rasato, le sue rade pacate parole, gli danno un aspetto particolare: come un bambino indifeso che lotta contro un gigante.
20 Aprile. Per una eccessiva deliquorazione, dovuta probabilmente a errore di una infermiera, Emer sta per andare in coma di nuovo. Il padre se ne accorge in tempo, così il pericolo si scongiura, ed Emer si riprende nel giro di alcune ore.
24 Aprile. Un evento importante, che getta un fascio di luce su tutta la vicenda di Emer: Emer si consacra a Dio. È all'ospedale, immobile: da Casa S. Sergio gli viene chiesto se desidera affrontare e vivere il passo della consacrazione, nonostante le condizioni pessime in cui si trova. La sua risposta è non solo affermativa, ma egli fa sapere che desidera proprio compiere questa donazione totale di sé a Dio, li, all'ospedale di Parma. Nel medesimo giorno a Brescia viene data una risposta totalmente negativa sulle possibilità di recupero di Emer; lo specialista al quale il padre si era rivolto rifiuta decisamente l'ipotesi della radioterapia, tanto è irrecuperabile il caso.
Di quel giorno ricorda don Serafino: «quando entrai in quella stanza d'ospedale rimasi impietrito. Emer era irriconoscibile. Era l'immagine del dolore, dell'impotenza innocente. Mi avvicinai al letto (non vedendo, non si era accorto di nulla) e per i primi dieci minuti non seppi far altro che piangere su di lui. Poi finalmente lo salutai, ed egli mi rispose affabilmente. Celebrammo la S. Messa nella stanza, dopo aver ottenuto dagli infermieri il permesso di poter rimanere da soli per un'ora. Avevo portato tutto l'occorrente per la Messa da S. Sergio e celebrammo, solennemente, il Mistero della salvezza. L'altare non c'era o, meglio, era lì, vivente, davanti a noi. Era il Sacrificio del Cristo che si perpetuava per la salvezza del mondo, cui Emer univa oggi in modo assoluto e definitivo il suo. Seguiva perfettamente, con tutti i gesti precisi. Prima di ricevere la S. Comunione egli esprime a voce alta (l'unica volta durante tutta la sua degenza, poi parlerà sempre con voce sommessa) la sua donazione: "Oggi io, Emer, alla presenza di Dio Onnipotente, della Beata Vergine Maria e di tutti i santi, alla presenza di voi, padre, e di voi fratelli intendo, donarmi e consacrarmi totalmente e per sempre a servizio e lode del Verbo di Dio incarnato per nostro amore, nella Comunità dei figli di Dio".
"A servizio e lode del Verbo di Dio..." Sono parole altissime: dette da lui fanno fremere il cuore, ne toccano le corde più intime. Poi si adagia, pacato e sereno, in ringraziamento.
Sono presenti, oltre ai genitori e Lamberto, Adolfo Morandi, Filippo, Emmanuele e Matteo della Comunità di Modena (il quale un paio di anni dopo entrerà come monaco nella Comunità di Settignano), Chiara dei Neocatecumenali, e Giulio, compagno di classe. Tutti sono compunti, commossi. Io esco, con la scusa di ritirarmi a pregare; in realtà esco nei giardinetti dell'ospedale, e per un'ora non faccio altro che piangere fortemente, non riuscendo a sostenere il peso di ciò che ho appena visto e vissuto.
Tornato poi in camera, mi avvicino cercando di scambiare con lui qualche parola ancora. Gli chiedo se riesce a pregare. Silenzio. Penso che non abbia sentito, e mi accingo a ripetere delicatamente la domanda, quando egli mi previene con una sola stupenda parola: "rosario". Aveva capito benissimo, e io apprendo così con intima gioia che nel silenzio del suo animo il dialogo è reale e presente, e probabilmente molto più profondo e continuo di quanto non si creda. Diciamo un'Ave Maria insieme, anzi, la dico io solo, perché dopo le prime parole la sua voce si affievolisce e si spegne. Credendo che voglia riposare, faccio per allontanarmi, ma egli ancora una volta mi anticipa e sussurra, come per continuare un discorso già iniziato: "Sì, sento Gesù vicino."
Si fa tardi, e devo tornare. Prima di ripartire mi chino verso di lui e, tenendogli la mano, gli dico: "Emer, io torno a Settignano. Che cosa devo dire al Padre?" La sua magnifica e incredibile risposta è: "Digli che va tutto bene".
Quando sono già sulla porta per uscire, ha il modo di rivolgermi ancora una parola di augurio: "Buon viaggio!"
Nel treno di ritorno mi rimbombano nell'intimo le sue ultime parole: "va tutto bene". "Ma come è possibile?" mi domando. "Come può dire che va tutto bene?"
Solo dopo la morte capisco tutto.
Dal momento della consacrazione in poi qualcosa cambia nella vita di Emer. È come se entrasse in uno stato di abbandono, di fiducia, di pace. Sembra quasi che aspetti la morte o, meglio, l'adempimento di ciò che ha appena promesso. Tanti picco]i fatti inducono a pensare ciò, ma soprattutto è l'idea comune di tutti coloro che da questo momento in poi vengono a visitarlo.
A Parma Emer riceve tutte le volte che può la S. Comunione per mano di un diacono permanente che colpisce per la grande umanità: Giorgio Azzoni, molto legato alla Comunità monastica di Monteveglio.
28 Aprile. Tutto sembra procedere abbastanza bene, se si eccettua la caduta ormai della speranza che Emer possa riacquistare la vista. Ma al dodicesimo giorno dall'intervento arriva la definitiva mazzata: il tumore ha ripreso a "camminare" decisamente, ed esplode di nuovo con tre grosse recidive: al cervello, nell'orbita sinistra e nella guancia sinistra. Non c'è più nulla da fare. Di un altro intervento, nemmeno a parlarne. Le condizioni intanto si aggravano a vista d'occhio.
I genitori decidono di portare Emer a casa a morire.
Emer è sempre lucido. Si veste a fatica e sale in macchina. Arrivati a casa, con grande sorpresa di tutti trova la forza di salire le scale appoggiato e sostenuto da Lamberto e Oriello.
Rimarrà a casa a Modena fino all'11 Maggio, data del suo secondo e ultimo ricovero ospedaliero a Bologna.
A casa Emer peggiora di giorno in giorno; il tumore cresce, la guancia lentamente ma inesorabilmente si gonfia, deformandogli i tratti del viso. È preso anche il labbro superiore e la gengiva. Non riesce nemmeno più ad aprire la bocca, che è serrata come in una morsa.
In generale sta a letto sdraiato; soltanto a volte, e per pochi minuti, riesce a stare seduto. Il suo cibo è il gelato, praticamente l unica cosa che riesce ad ingerire. È cosciente, non si lamenta, ma è come se il tempo non esistesse più. Sta quasi sempre in silenzio.
Vengono due amici scout, gli annunciano il loro matrimonio. Emer dice: "Spero di venire"; viene la professoressa di ginnastica: parlano un po' della scuola. Poi torna il silenzio. Viene da Trento Padre Tissot, che prega con lui e su di lui a lungo. Durante la preghiera apre la S. Scrittura a caso: esce il brano della lettera ai Tessalonicesi che parla di morte e di resurrezione (l Ts 4,13-18). Anche a Modena egli si comunica quasi tutti i giorni; vengono a turno l'accolito Paolo Rosini e il cappellano della parrocchia don Domenico Malmusi.
Nei dieci giorni di Modena Emer rimane quasi sempre sprofondato nel silenzio. Capisce e sente tutto: la sua vita interiore non è certo ferma. Lo dimostra un episodio commovente, risalente agli ultimi giorni della sua permanenza a casa a Modena. È pomeriggio; la mamma desidera cambiare le lenzuola del letto di Emer, ma egli non ce la fa ad alzarsi, tanto è spossato. È veramente una fatica per lei sollevarlo, nonostante i tentativi. avvilita, più che risentita, la mamma si volta verso il crocifisso e mormora, con sguardo accorato: "Ma allora, neanche questo mi lasci fare?" Detto questo si gira e... Emer è lì, incredibilmente in piedi davanti a lei! Aveva sentito, e immediatamente, avendo accolto ogni forza, si era sollevato e alzato, come per difendere Gesù dalle parole della madre!
Una sera torna fuori il dolore alla testa. Emer urla dal male. Subito gli viene praticata una endovenosa. Emer: "Papà, non andare via, resta qui". Il dolore non va via, gli viene ripetuta l'iniezione. Emer lentamente difatti si calma. Cominciano allora a pregare insieme perché il dolore scompaia, e da quella sera il dolore si placa.
Il 12 Maggio Emer viene ricoverato a Bologna per la cobaltoterapia.
A Modena intanto organizziamo veglie di preghiera; ogni lunedì e giovedì siamo in tanti, nella chiesa di S. Eufemia a pregare. Anche in varie parti di Italia si prega per lui.
Emer è sempre cosciente, ma tace, sdraiato nel letto, all'ospedale Bellaria di Bologna. Non si lamenta. È come in un suo mondo dal quale bisogna richiamarlo, chiamandolo per nome a bassa voce ed accarezzandolo dolcemente. Alcune volte gli infermieri lo trattano in modo sgarbato, facendogli del male.
Nella penultima settimana di vita c'è una ripresa: Emer torna a mangiare con più frequenza, sempre pappe semiliquide. Quando gli chiediamo com'è il mangiare, egli con la mano ci fa segno come per dire: così così.
Una volta un'infermiera lo saluta e lui risponde agitando la mano. È molto tranquillo; in certi giorni ci dà l'impressione di un certo benessere.
Vengono in tanti a trovarlo, ma ormai non per parlare con lui: egli scambia solo qualche rada parola. Emer colpisce per la straordinaria serenità con cui soffre. I visitatori per lo più rimangono in silenzio, molti in preghiera; alcuni vengono e rimangono anche 3 - 4 ore fermi, in piedi, in silenzio. Una di queste persone confiderà poi: "Un'ora qui in silenzio è stata per me come un intero corso di esercizi spirituali."
Un giorno Emer chiede al padre: "Papà, quando andiamo a casa?" Gabriele gli spiega che sono a metà cura e che devono finirle, prima di tornare a casa. Emer ascolta, non dice più niente e riprende la sua abituale posizione su di un fianco.
Al parziale miglioramento dell'appetito non corrisponde però il miglioramento del tumore che, nonostante la pesante chemioterapia, gli deforma sempre più il viso. Il volto ha già perso irreparabilmente i suoi contorni fini e virili: una guancia è il doppio dell'altra; ora vi si aggiunge anche un rigonfiamento sulla fronte. Le parole si fanno sempre più rade: ha la bocca devastata dagli ammassi tumorali e non può quasi più parlare.
Verso il 22 Maggio comincia l'epilogo dell'agonia di Emer, il fenomeno che lo assimilerà in modo impressionante ad un agnello innocente: la sanguinazione. Le piastrine del sangue calano a vista d'occhio, né le continue trasfusioni ne arginano il crollo Emer comincia a sanguinare, dal naso, dalla bocca, dagli occhi, lentamente ma inesorabilmente. Viene continuamente ripulito, fasciato, tamponato, ma nulla blocca l'emorragia.
Anche in quest'ultima prova, che lo accompagnerà sino alla fine, Emer non fa una piega. Si ha l'impressione che non sia più una cosa che lo riguardi; si lascia fare tutto senza protestare. Solo una volta ha un piccolo scatto: quando tenta di togliersi da solo un tampone nel naso che gli da fastidio. Marilena, che lo esiste, gli ferma il braccio, ma Emer chiede di lasciarlo fare. "No, Emer, lo faccio per evitare che tu sanguini". E lui, con voce dolce bassa: "Scusa".
28 Maggio. Le piastrine sono ridotte ai valori minimi, e le trasfusioni stesse di piastrine non servono più. Si attende da un momento all'altro un'emorragia interna, ormai inevitabile. Il papà, sentendo che si avvicina la fine, dà ordine che da Modena vengano portati i suoi vestiti.
31 Maggio, domenica. La Chiesa festeggia la solennità dell'Ascensione di Cristo: il Signore, terminata la sua missione, ritorna al Padre; Emer muore sulla terra dissanguato.
Durante la notte, nelle primissime ore della domenica, la sorella della Comunità di Bologna che lo assiste intuisce che Emer ha poche ore di vita, e chiama con urgenza il sacerdote dell'ospedale: Emer riceve cosi per la terza volta il sacramento dell'unzione degli infermi.
Alle 4.30 del mattino ricomincia, inesorabile e continuo, il sanguinamento. Fa veramente effetto e indicibile pena vederlo sanguinare cosi, dalla bocca, dal naso, dagli occhi... L'immagine che ricorre nella mente di coloro che lo assistono è quella del Signore crocifisso, che nella sua agonia sulla croce dona tutto il suo sangue.
Il dissanguamento e inarrestabile e impressionante. Garze e tamponi si susseguono senza tregua nelle mani di coloro che lo assistono per arginare l'emorragia; alla fine se ne riempiranno due ceste intere. Questo dissanguamento procede fin verso le 11.00, poi pian piano si arresta. Intanto sono arrivati da Modena familiari e gli amici più intimi. Rimangono attorno al suo letto; tutti capiscono che sono le ultime ore di Emer, ma non osano dirselo, e lo fissano in silenzio. Emer è come sempre: tranquillo.
Anche se perde sangue dappertutto, non ha né sussulti né gesti scomposti.
Alle 11.30 Emer dice le sue ultime parole, e sono, conformemente a quanto ha vissuto e sta vivendo, le parole del Signore. Chiede da bere. "Ho sete", come Gesù. Il dissanguamento porta a questo forte senso di sete, e di sangue Emer ne ha veramente versato tanto. Chiede da bere, con un filo di voce, e tende tremolante la mano. Fa per alzarsi, e aiutato dai familiari riesce a mettersi su con la schiena. Gli viene dato il bicchiere con l'acqua, ma non ce la fa proprio a portarselo alla bocca e a bere: si ributta giù, completamente sfinito e privo di forze. Ormai non ce la fa più.
Il Cristo, dopo aver chiesto da bere e aver accostato le labbra alla spugna imbevuta d'aceto, reclina il capo e, sull'espressione "tutto è compiuto", muore sulla croce. Anche Emer reclina il capo e rimane immobile. La sua mano è nella mano della mamma. Sfigurato, sfinito, si consegna definitivamente a Chi ormai è alle porte.
Rimane cosi, fermo, per un paio d'ore, con un respiro molto lieve ma regolare, con il capo leggermente reclinato verso la mamma. Senza nessun preavviso particolare, ad un tratto emette un respiro un po' più prolungato, o forse un po' più profondo, senza muoversi. È il suo ultimo respiro.
Serenamente, dolcemente, come in quieto abbandono, Emer muore, alle ore 14.25.
In quel medesimo istante i monaci di Casa S. Sergio stanno cantando l'antifona dei salmi dell'Ora nona: "Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro".
Autore: Comunità dei figli di Dio
|