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Padre Felice Carpignano Sacerdote oratoriano

Testimoni

Montiglio Monferrato, Asti, 29 luglio 1810 – Torino, 8 marzo 1888


Nel secolo XIX, a Torino, mentre si tiravano le fila per riunificare la nazione, per un disegno provvidenziale senza eguali nel mondo, che non cessa di stupire, sorse una moltitudine di opere caritatevoli. La fede e lo zelo di decine di consacrati, sia religiosi che religiose, che operarono in un contesto politico complesso e in parte avverso, fecero fronte alle gravi necessità di una popolazione cittadina di 190.000 abitanti, anche se poi gli effetti, negli anni a venire, andarono a beneficio di un territorio più vasto, oltre i confini nazionali. Alcuni fondatori sono oggi venerati sugli altari, su altri è caduto l’oblio. Tra questi il padre Felice Carpignano della Congregazione dell’Oratorio, che non diede vita ad opere proprie, ma di molti santi e beati fu consigliere e collaboratore.
Felice Carpignano nacque in un contesto poverissimo a Montiglio Monferrato il 29 luglio 1810, il padre si chiamava Francesco. Fanciullo di pochi anni, venne a Torino con la famiglia che prese abitazione presso la parrocchia della SS. Annunziata. Crebbe religioso e incline allo studio, contraddistinto dal buonumore. Si iscrisse al ginnasio, indossò a diciassette anni l’abito chiericale nella sua parrocchia di San Francesco da Paola e prese a frequentare il “Clero di S. Filippo”. Conquistò la stima dei padri Girò e Solaro, e l’amicizia del futuro arcivescovo Riccardi di Netro. Conseguita la laurea in teologia, per essere ordinato dovette attendere che qualcuno gli costituisse un patrimonio ecclesiastico. Capitò che un giorno di festa, mentre era insieme al Riccardi, nella chiesa delle Suore Giuseppine, gli fu rivolta la richiesta di predicare. Era presente l’arcivescovo Fransoni che rimase edificato dall’omelia e quando seppe che per povertà quel giovane non aveva ancora ricevuto gli ordini sacri, vi rimediò a proprie spese. Nel 1834 Carpignano fu così ordinato prete; celebrò la prima messa in settembre. Fu destinato per due anni all’Annunziata, con l’incarico di vice curato, a fianco di don Fantini, futuro vescovo di Fossano. Il Sabato Santo 1837 passò vice curato in S. Filippo, ufficio che ricoprì fino a quando, il 29 gennaio 1842, entrò nella Congregazione dell’Oratorio. Ai tempi infatti, per abbondanza di clero, nelle parrocchie rette da Religiosi erano assegnati sacerdoti diocesani. Tra le prime iniziative che p. Carpignano seguì vi fu la celebrazione solenne del mese di Maria SS. e la novena al b. Sebastiano Valfrè, vissuto in quella comunità e beatificato otto anni prima. Alla morte di padre Angelo Girò, nel 1856, venne eletto preposito (superiore). Lo fu per ventisette anni, responsabile, in particolare, del clero che frequentava la chiesa dei Filippini. Tra questi il b. Federico Albert e il servo di Dio Eugenio Reffo. Stabilite anche presso la Basilica del Corpus Domini e la chiesa di S. Maria di Piazza, erano delle scuole per lo studio della Morale per chierici esterni al seminario. Succedendo al defunto padre De Rossi, Carpignano fu parroco di S. Filippo per ventitre anni, dal 1865. In quell’anno entrava in congregazione il diciannovenne Giulio Castelli che fu suo valente collaboratore (due anni dopo la morte del Carpignano si trasferì a Roma per rispondere alle necessità di quell’oratorio, nel 1895 fondò l’Oratorio di Cava de’ Tirreni dove morì. Ne è in corso la causa di beatificazione).
Numerosi aspetti dell’operato del Carpignano paiono ricalcare, nei luoghi e nelle modalità, il prodigioso ministero svolto dal b. Sebastiano Valfrè (1629-1710). Entrambi ricercati direttori d’anime, collaborarono a molti istituti di beneficienza presenti in città, destinandovi le cospicue offerte ricevute dai notabili torinesi.
Profondissima fu l’amicizia di padre Felice con il b. Marcantonio Durando: a detta di tutti rappresentavano quanto di meglio era in Torino circa la direzione spirituale. Per molti anni furono illuminati consiglieri, anche in frangenti assai delicati per la storia della Chiesa torinese, degli arcivescovi cittadini. L’arcivescovo Luigi Fransoni fu esiliato a Lione nel 1850 (anno in cui fu chiuso anche il seminario cittadino). Alla sua morte la sede rimase vacante fino al 1867, quando sulla cattedra di S. Massimo fu nominato Alessandro Riccardi di Netro, amico dalla gioventù del Carpignano. Alla morte del Riccardi, nel 1871, gli succedette Lorenzo Gastaldi. Quando fu nominato, padre Carpignano fu tra i primi ad essere avvisato. Insieme al b. Marcantonio, fu presto scelto come confessore e fidato consigliere (il presule si recava a S. Filippo per la confessione ogni sabato pomeriggio). Nelle complicate vicende che coinvolsero in quegli anni il Gastaldi, anche Carpignano e Durando vennero calunniati e accusati da ambienti ostili. Era di dominio pubblico che il filippino avesse sull’arcivescovo una grande influenza, tanto che ebbe l’incarico di esaminatore del sinodo che si tenne (dopo 85 anni!) nel 1873. Gastaldi, di formazione rosminiana e dalla spiritualità tendenzialmente rigida, trovò nel Carpignano lo spirito di S. Filippo di cui aveva grande devozione. Il 25 marzo 1883 il presule morirà tra le sue braccia.
Confessore ricercatissimo, padre Carpignano, dal pulpito o nel confessionale, formò moltissime coscienze. Da buon figlio del Neri amava fare catechismo ai ragazzi, nella semplicità, ma tra i suoi penitenti si contano numerosi e importanti esponenti del clero torinese e non (basti citare i vescovi Edoardo Pulciano e Teodoro Valfrè di Bonzo), dell’aristocrazia, molti santi, beati e servi di Dio sui quali ebbe una straordinaria influenza. Per la nascita di alcune istituzioni il suo incoraggiamento fu determinante. Carpignano ebbe un ruolo positivo quando il Gastaldi affidò il collegio di Valsalice ai salesiani, perché mal gestito dai sacerdoti diocesani. Il canonico Ludovico Chicco, che seguì l’operazione, diede da parte di Carpignano a don Bosco la dritta che l’affare era vantaggioso e l’accordo fu concluso (giugno 1872). La fama di Carpignano giunse a Roma attraverso le missive di Mons. Gaetano Tortone, incaricato d’affari della S. Sede a Torino. Come  il b. Valfrè, quando Pio IX volle nominarlo vescovo, egli, per umiltà, vi si oppose fermamente.
È singolare che il b. Federico Albert, aspirante ufficiale dell’esercito, pregando davanti all’urna del beato Valfrè, decise di diventare prete. Dichiarò: «dovevo entrare all’Accademia militare, quando, pregando dinanzi a quest’altare, improvvisamente l’ispirazione divina mi venne di ascrivermi invece alla milizia del Signore. Subito mi sentii risoluto. Tornato a casa, ne parlai con mio padre che, sconcertato sulle prime, non oppose tuttavia difficoltà».
Padre Felice fu direttore spirituale della b. Anna Michelotti e la incoraggiò nella difficile “missione”  di soccorrere a domicilio i malati poveri, a quei tempi pressoché abbandonati. Tutto sembrava andare contro la nascita delle future Piccole Serve del Sacro Cuore. La Michelotti, indirizzata per avere un consiglio dal Carpignano, prima di incontrarlo decise che dalle sue labbra sarebbe giunta la decisione ultima. Gli aprì il cuore, raccontò quanto era stato della sua vita, della sua vocazione di servire Cristo in quel campo particolare e dei tanti ostacoli che incontrava, sola e senza mezzi. La fede e l’ardore della donna colpirono il Carpignano. Il suo consiglio fu di andare avanti nell’umiltà, nella preghiera, nell’obbedienza ai superiori e nella fiducia in Dio. Quell’incontro fu decisivo per la futura nascente congregazione. Madre Anna prese così in affitto, verso la fine di quel 1873, due stanze negli ammezzati di un palazzo presso la chiesa di S. Maria di Piazza, nel centro della città.
Il carisma del Carpignano rifulse in modo particolare nella delicata vicenda della ordinazione sacerdotale del b. Francesco Faà di Bruno, fondatore del ”Opera di S. Zita”.  Il filippino lo guidò con intelligente consiglio, mentre all’arcivescovo Gastaldi, in un primo tempo non favorevole, scriveva: «delle sue rette intenzioni mi sono reso io garante»”. Padre Felice aiutò economicamente le Suore Minime di S. Zita, soprattutto durante la soppressione governativa, tanto che nel “Libro riguardante i soggetti di Congregazione” è scritto che la comunità “per oltre dieci anni visse per provvidenza lasciata dal p. Carpignano”. Nel museo Faà di Bruno è ancora conservato il Messale Romano offerto dal Carpignano e dal canonico Giuseppe Casalegno (co-fondatore delle Suore di Maria SS. Consolatrice) al beato in occasione della prima messa celebrata nella festa di Ognisanti del 1876.
Altro ruolo determinante Carpignano ebbe nella fondazione, da parte del b. Clemente Marchisio, delle Figlie di San Giuseppe. Fu il filippino a presentare la domanda d’approvazione all’arcivescovo e con gioia, il 3 maggio 1877, poté scrivere all’amico Marchisio: «Deo Gratias… il vescovo loda l’iniziativa, è certo che produrrà gran frutti, accettando il nome di s. Giuseppe». Il 16 giugno le prime quattro suore vestirono l’abito durante una commovente celebrazione che padre Felice presiedette, assistito dal b. Clemente, presente la prima superiora Madre Rosalia Sismonda. Al termine si benedì il quadro della Sacra Famiglia che Carpignano aveva commissionato a Tommaso Lorenzone (autore del quadro dell’Ausiliatrice voluto da Don Bosco). La sacra immagine rimase nel primo modesto laboratorio delle suore e oggi, riprodotto, è affisso nelle numerose case delle Figlie di S. Giuseppe sparse per il mondo. Il 29 agosto 1879 Carpignano benedisse la cappella a Rivalba presso il Castello Balbo di Vinadio (futura Casa Madre), predicando gli esercizi spirituali.
Anche la b. Francesca Rubatto lo ebbe confessore e consigliere. Gli anni torinesi che precedettero la nascita delle “sue” Terziarie Cappuccine furono per lei decisivi dal punto di vista spirituale e caritativo, grazie proprio alla guida del p. Felice che ormai era un’autorità tra il clero torinese. Fu nominato infatti nella commissione creata dal Riccardi di Netro per il ristabilimento del Convitto Ecclesiastico del Guala. La commissione si riunì tra il 1869 e il 1878, e vi fecero  parte, tra gli altri, il canonico Anglesio (successore del Cottolengo alla guida della Piccola Casa della Divina Provvidenza) e l’abate Berteu (successore nelle opere del Faà di Bruno). Il Convitto sarà in seguito diretto dal b. Giuseppe Allamano, anch’egli amico e penitente del Carpignano per lunghi anni. Quando l’Allamano chiese all’Arcivescovo Richelmy di ristabilire il Convitto alla Consolata, la condizione fu che avrebbe dovuto assumersi la responsabilità delle conferenze di Morale, impegno non da poco, viste già le cariche che ricopriva. Il beato accettò, dopo il consigliò del teologo Bertagna e del Carpignano che rispose per lettera (11 luglio 1882). Come non vedere la riconoscenza dell’Allamano quando provvide di tasca propria, a sei anni dalla morte dell’amico filippino, trovandosi l’Oratorio di S. Felice che egli aveva fondato sul punto di chiudere per mancanza di fondi.
In Borgo Po l’infaticabile oratoriano, aiutato dalla Principessa Maria Vittoria del Pozzo della Cisterna, moglie di Amedeo di Savoia, suoi parrocchiani, e da altre pie persone, cooperò all’apertura dell’Opera delle “Protette di S. Giuseppe” per l’educazione delle ragazze povere. La Principessa per anni gli elargì grosse somme, stimandolo profondamente per il suo impegno di carità.
P. Carpignano fu animatore di associazioni laicali, socio d’onore delle Conferenze di S. Vincenzo e, nel 1884, tra i fondatori dell’Associazione per la Buona Stampa. Dopo un lavoro intenso e capillare, il 22 febbraio 1884, San Leonardo Murialdo organizzò la prima assemblea generale delle “Zelatrici dell’Opera della Buona Stampa” presso la chiesa di s. Giovannino. Vi intervennero un migliaio di persone e lo stato maggiore del mondo cattolico torinese. Il Cardinale Alimonda fu il naturale presidente, avendo alla sua destra il Carpignano e alla sua sinistra il Murialdo che tenne un discorso commovente sull’importanza dell’opera intrapresa e sul ruolo che vi avrebbe svolto la donna. Del Carpignano S. Leonardo aveva sentito parlare anche in una sua visita londinese, al locale oratorio di S. Filippo. Nella patria del protestantesimo, in quella comunità cattolica così fervorosa, vi era tenuto in grande considerazione.
Grazie anche all’aiuto della locale Conferenza di San Vincenzo, nel 1885 i Filippini aprirono l’oratorio di S. Felice, già menzionato, per i ragazzi che vivevano nei pressi della Piazza d’Armi. Ne fu responsabile il Servo di Dio Giulio Castelli, guidato dal superiore  P. Carpignano. L’accoglienza ai ragazzi era all’insegna della più genuina semplicità, in un clima di grande fede. I giovani inizialmente accolti furono sessanta. A due anni dall’apertura si stabilì di eleggere un celeste patrono e la scelta cadde su San Felice cappuccino di cui ricorrevano i trecento anni dalla morte. Per lieta coincidenza era il nome del Carpignano. Il 18 maggio 1887 se ne celebrò solennemente la festa. Qualche mese dopo l’oratorio ebbe la visita del Cardinale Alimonda. La successiva festa di S. Felice si fece con la benedizione di una reliquia del santo donata dal Carpignano mentre i ragazzi erano già centosettanta.
Nel fecondo ministero del Carpignano è da segnalare che fece anche parte del numero dei preti “santi” che predicarono gli esercizi spirituali al Santuario di S. Ignazio di Pessineto.
Nel gennaio 1884 Padre Felice fu colpito da apoplessia e dovette rinunziare a molti impegni, dedicandosi maggiormente alla preghiera. Morì quattro anni dopo, preceduto di pochi mesi dalla Michelotti, da Don Bosco e dal Faà di Bruno. Era l’8 marzo 1888, alle 2.45 pomeridiane, aveva 77 anni, di cui 47 in congregazione. Poco prima che spirasse l’arcivescovo era corso al suo capezzale e, dopo averlo benedetto, volle la sua benedizione.
Padre Felice, in vita sempre modesto, ebbe dei funerali solenni e imponenti, tanta era la folla accorsa, composta sia da clero, sia da semplici fedeli. Furono percorse le strade adiacenti a S. Filippo, al contrario della consuetudine oratoriana che prevedeva funzioni religiose private. Parteciparono, con la propria bandiera, l’Unione Cattolica Operaia, il circolo di gioventù cattolica di cui era socio e lo stendardo dell’Unione del Coraggio Cattolico. I giornali cittadini lo salutarono come un luminare del clero, “figura di santo”, “gran servo di dio”. Si scrisse: ”Noi sacerdoti torinesi lo conoscevamo tutti e ricordiamo i suoi meriti verso la Chiesa (L’Unità Cattolica, 10 marzo 1888). Per la trigesima si costituì un comitato, formato da sacerdoti e laici e il 19 aprile 1888 fu celebrata in S. Filippo una solenne funzione dal cardinale Agostino Richelmy. Il presule disse del Carpignano che era stato “padre di tutta Torino”; sovente in sordina, tutti erano accorsi a lui.
Poco dopo la morte di padre Carpignano, il Castelli si preoccupò di spostare l’Oratorio di S. Felice in luogo più adatto, prendendo in affitto un terreno sul quale costruì due semplici locali. Mancava un sacerdote che vi celebrasse la messa festiva e il prete, che fin dai primi tempi aveva collaborato all’iniziativa, il teologo Bosia, si rivolse al direttore del Collegio Artigianelli, S. Leonardo Murialdo. Mentre gli fu rivolta la richiesta, il padre Castelli andò a perorare la causa davanti la Consolata. Il Murialdo, felice, accettò. Nel 1889 l’oratorio ricevette in dono una statua della Madonna della Misericordia dal conte Riccardi di Netro, già appartenente allo zio arcivescovo (vi fu trasportata il 17 marzo 1889).
La fama di santità del Carpignano durò a lungo. L’8 marzo 1914, nell’anniversario della morte, il b. Giuseppe Allamano si recò all’Oratorio di S. Felice per ricordare l’amico. Disse che non fondò direttamente grandi opere, ma fu illuminato consigliere.
“La figura di padre Carpignano sarebbe da collocare molto in alto, nell’empireo della «santità» torinese” (Giuseppe Tuninetti jr).
 


Autore:
Daniele Bolognini

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Aggiunto/modificato il 2010-07-08

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