Serena lo diventa ufficialmente il 6 aprile 1921, giorno in cui sposa Giuseppe, che di cognome fa proprio Serena; ma, di serenità, Elisabetta Tasca ne ha da vendere fin dalla nascita. Merito, ovviamente, della sua patriarcale famiglia dove non mancano le croci e dove mamma è chiusa nel suo dolore, ma in cui papà è come un faro di fede semplice e genuina, che sa crescere i figli a pane e Bibbia, da lui stesso spiegata e commentata. Così bene che Elisabetta se ne ricorderà per tutta la vita e sullo stesso stile la insegnerà ai suoi figli. L’altra sua fortuna è di incontrare un direttore spirituale santo (cioè San Leodoldo Mandic, il cappuccino santo di Padova), che le insegnerà a vivere santamente il matrimonio e non solo ad accettare, ma a trasformare tutte le difficoltà in altrettante occasioni di crescita spirituale. Elisabetta nasce nel 1899 a San Zenone degli Ezzelini (Treviso) e la sua gioventù è attraversata dalla prima guerra mondiale, perché il suo paese è situato proprio ai piedi dello storico Monte Grappa. Dopo il conflitto, di lei si innamora un biondo bersagliere dagli occhi azzurri, per il quale invece Elisabetta non prova proprio niente. Le fa, anzi, una corte spietata, che lei respinge garbatamente ma in modo risoluto, anche se il sacerdote con cui si confida le consiglia di accontentarsi, se non vuole restar zitella, perché la guerra ha inghiottito la maggior parte della gioventù maschile. Non sembrandole questo un buon motivo per sposare un uomo che non ama, si rivolge alla Madonna, chiedendole di aiutarla a far luce sui suoi sentimenti e, se del caso, a “farla innamorare” del biondo bersagliere. “Meditando il terzo mistero gaudioso, la nascita di Gesù" - racconterà in seguito – "nel mio cuore entrò un amore così intenso, verso il biondo bersagliere dagli occhi azzurri, che terminai in fretta il Rosario, scesi correndo dalla collina e, arrivata a casa, gli dissi che mi sarei sposata con lui!". Così Giuseppe Serena diventa suo marito e nel giorno del matrimonio Elisabetta fa un patto con il buon Dio: “Ti prego, che alcuni dei miei figli siano sacerdoti e altre religiose; se Tu vuoi, prendili anche tutti al Tuo servizio, ma altrimenti, ti prego, almeno la metà ….”. Appena quattro mesi dopo scopre, nel cuore e nei sentimenti del marito, un difetto, di quelli che sarebbero capaci di mandare all’aria un matrimonio. La sposina piange, prega e tiene duro, fermamente convinta che “la parola data a Dio bisogna mantenerla a tutti i costi”. Ed ecco entrare in scena Padre Leopoldo, dal quale suo marito ha l’abitudine di andarsi a confessare una volta all’anno, quando va in pellegrinaggio a Padova. Una volta da lui ci vanno insieme e, dirà poi, in quel confessionale nasce il suo “matrimonio cristiano”. Dal santo frate si lascia guidare in un’ascesi che riuscirà a farle amare anche la croce sulla quale, confiderà un giorno, resterà appesa per 46 anni. Soprattutto le insegnerà ad accettare e capire suo marito nonostante tutto. Arrivano i figli, tredici addirittura, dei quali solo uno muore in fasce. Gli altri crescono, allegri e rumorosi, nella cascina in cui convivono nonni, zii e cugini, cioè una delle classiche famiglie patriarcali di una volta, in cui si lavora tanto e non c’è neppure cibo per tutti. Eppure nessun povero bussa alla loro porta senza ricevere qualcosa. Alla fine la sua famiglia trasloca in un’altra cascina a Vò di Brendola, nel vicentino, dove ci sarebbe lavoro per tutti: invece ogni figlio sceglie una propria strada. Due, però, diventano sacerdoti passionisti e due figlie suore: Dio mantiene i suoi patti, anche se non nella misura fissata da quella mamma generosa. Poi Giuseppe si ammala, per quattro anni immobilizzato alla sua carrozzina, e lei lo cura con amore e pazienza fino alla morte, nel 1967. Il 2 ottobre 1978 si ammala anche lei, di broncopolmonite dicono i medici, e muore il 3 novembre, dopo aver fatto celebrare una messa dai due figli sacerdoti per ringraziare delle quattro vocazioni sbocciate in casa sua e aver disposto che al suo funerale si canti il Te Deum per ringraziare delle cose belle e anche di quelle brutte della sua vita. Tutto qui?, dirà qualcuno, sembrandogli di riconoscere in mamma Elisabetta i tratti di qualche persona di sua conoscenza. Proprio per questo il 1° novembre celebriamo la festa dei “santi di casa nostra”, ma se lei un giorno diventerà beata (la sua Causa è iniziata nel 1991), insieme a lei lo saranno anche un po’ tutti quelli che abbiamo conosciuto noi.
Autore: Gianpiero Pettiti
All’alba del 24 aprile 1899 nasce Elisabetta Tasca, ultima di sette figli, da Angelo e Luigia Battagin, a S. Zenone degli Ezzelini (TV). La sua è una onesta famiglia di contadini, dove si lavora duramente, si prega, ci si vuol bene e ci si istruisce sulla fede cattolica. La figura paterna era la più significativa. Elisabetta ci parla del suo bel ricordo di papà Angelo: “Mio padre non solo tutte le sere leggeva una pagina di Storia Sacra o del Vangelo, ma ne faceva anche il commento”. È una bambina diligente e intelligente, seria e giudiziosa e di temperamento deciso, gioioso e autoritario. Già da giovanetta era appassionata dall’Eucaristia e aveva appreso dai genitori la devozione al Crocifisso e alla Madonna. Vedeva in tutto “la santa volontà di Dio”.
Sempre serena anche nelle avversità, spesso esprimeva la sua gioia con il canto e amava nutrirsi di letture edifi canti. Era molto socievole e attenta ai bisogni degli altri. Aveva l’incarico di portare il pranzo al fratello Antonio che lavorava alla costruzione della chiesa di S. Zenone. Antonio si lamentava poiché il cibo gli sembrava insufficiente. Elisabetta disse alla mamma di aggiungere anche la sua razione perché avrebbero mangiato insieme, ma lei saltava il pranzo. Dimagrì vistosamente ed ammalò e si scopri il caritatevole trucco. Arrivava intanto l’età in cui bisognava decidere del proprio futuro; Elisabetta era pronta ad accogliere la volontà di Dio che non tardò a manifestarsi. Conobbe occasionalmente il futuro sposo Giuseppe Serena, arruolato nel “VI Bersaglieri di Brescia”, durante la prima guerra mondiale. Era un giovane biondo, occhi azzurri, serio e generoso. Ma Elisabetta non rispose con molto entusiasmo al suo interessamento. Confesserà poi: “non mi veniva voglia di amarlo”. Prospettò il suo problema ad un sacerdote, che le rispose: “si ricordi che i giovani sono quasi tutti morti in guerra, quindi se vuole fondare una famiglia, prenda il primo che viene, se no avrà rischio di rimanere senza”. A Elisabetta non piacque la risposta e ritornò a casa amareggiata. Che fare? Si recò allora al santuario della Madonna del Monte per esporre a Maria il suo problema. Si mise a recitare il Rosario. “Meditando il terzo mistero gaudioso, la nascita di Gesù - racconterà molte volte - nel mio cuore entrò un amore così intenso, verso il biondo bersagliere, che terminai in fretta il Rosario, scesi correndo dalla collina e, arrivata a casa, gli dissi che mi sarei sposata con lui!”. Il matrimonio venne celebrato il 6 aprile 1921. “Nel giorno del mio matrimonio, durante la celebrazione Eucaristica - racconta Elisabetta - feci al Signore questa preghiera: “Signore, nel mio matrimonio farò sempre la tua volontà e accetterò tutti i fi gli che Tu vorrai darmi, però, ti prego, fa che alcuni siano sacerdoti e altre religiose; se Tu vuoi, prendili anche tutti al tuo ser vizio, ma ti chiedo che almeno la metà si donino al tuo servizio”. Dei dodici fi gli adulti il Signore se ne prese quattro; non mantenne del tutto il patto, ma sono contenta lo stesso, perché anche gli altri otto figli hanno formato buone famiglie”. Prese come guida spirituale il cappuccino san Leopoldo Mandic di Padova. Così lo ricordava: “Il mio matrimonio cristiano è nato nel confessionale di P. Leopoldo e là questo sacramento ha avuto la sua giusta luce, che mi ha portato sul Calvario, ma P. Leopoldo mi disse: “se mi ascolterà, Dio la benedirà per mezzo della Madonna e in punto di morte sarà contenta!”. Ora anziana nel ripensare alla storia della mia famiglia, posso veramente affermare che la rettitudine di coscienza, la fedeltà quotidiana ai propri doveri, e l’aver sempre visto in tutto la santa volontà di Dio, mi dà tanta serenità, fiducia e speranza”.
La famiglia cresceva e Giuseppe si trasferì con la famiglia in un terreno più grande a Vò di Brendola (Vicenza). Poi anche i fi gli prendono la loro strada e Giuseppe e Elisabetta rimangono soli. Giuseppe si ammala ed Elisabetta lo accudisce con amore giorno e notte per lungo tempo.
La vita cristiana di “Mamma Elisabetta” era basata su basi molto solide: la Provvidenza, la Parola di Dio che conosceva in modo straordinario e citava a memoria, la Passione del Signore e la volontà di Dio. La sua vita era fatta di preghiera, Eucaristia e lavoro. Quando recitava il rosario da sola, impiegava molto tempo, rimanendo a meditare a lungo su ogni singolo istero. Dalla prima comunione alla morte ebbe la grazia di partecipare alla messa quasi tutti i giorni. Per stare più tempo davanti a Gesù sacramentato arriva a chiedere al vescovo di poter conservare l’Eucaristia in casa, assicurandolo che avrebbe saputo fare degna e buona compagnia a Gesù sacramentato. Al figlio padre Galileo, animatore vocazionale, ricorda: “Susciterai più vocazioni nelle ore di adorazione davanti al SS. Sacramento, sgranando santi rosari, che non girando per le strade del mondo”.
Il 2 ottobre 1978 si sente male e il medico diagnostica una broncopolmonite. Nella malattia è paziente e completamente abbandonata alla volontà di Dio. Non chiede preghiere per la sua guarigione, ma per avere la forza di fare in tutto la volontà di Dio. Nel letto di morte, due giorni prima di spirare, presenti i dodici fi gli, mamma Elisabetta chiese che si celebrasse una santa Messa per ringraziare il Signore dei quattro fi gli religiosi, due sacerdoti passionisti e due suore, considerandola la più grande grazia per la sua famiglia.
Raccomanda ai figli: “Dopo la mia morte, canterete per me il Te Deum, in ringraziamento a Dio per i tanti doni ricevuti, soprattutto per la fedeltà alla mia vocazione cristiana e familiare, la rettitudine di coscienza, il buon carattere, i 12 figli e in particolare per i 4 figli religiosi”.
Muore serenamente il 3 novembre 1978, dopo aver ricevuto la santa Eucaristia, assistita dai due figli sacerdoti. La salma di mamma Elisabetta venne posta nella tomba di famiglia nel cimitero di Brendola.
Ben presto la fama di santità di Elisabetta Tasca Serena si diffuse e così al cimitero accorrevano molti devoti, specialmente madri di famiglia, per venerarla e per raccomandarsi alla sua protezione. Innumerevoli sono le relazioni di grandi grazie ricevute per sua intercessione. I figli le hanno raccolte e custodite.
Aumentando la fama di santità di mamma Elisabetta, il Vescovo di Vicenza, mons. Pietro Nonis, il 20 dicembre 1991 promosse la causa di canonizzazione; dopo di lui il Cardinale Patriarca di Venezia, S.E. Marco Cè.
Nel 1992 ebbe luogo il processo diocesano e nel 1994 venne presentata a Roma la Positio super virtutibus per la discussione sulla eroicità delle sue virtù.
Il 12 novembre 1997 la salma della Serva di Dio mamma Elisabetta venne riesumata ed il giorno seguente, il 13 novembre, trasportata dal cimitero di Brendola ad una cappella attigua alla chiesa dei Padri Passionisti di San Zenone degli Ezzelini.
Autore: Don Giuseppe Busato
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