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Venerabile María del Pilar Cimadevilla y López-Dóriga (Pilina) Fanciulla

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Madrid, Spagna, 17 febbraio 1952 – 6 marzo 1962

María del Pilar Cimadevilla López-Dóriga nacque a Madrid, in Spagna, il 17 febbraio 1952, penultima di sette figli (due dei quali morti in tenera età). Nei primi anni di vita manifestò un temperamento intelligente e vivace, unito a uno slancio religioso non comune. Dal giorno in cui ricevette la Prima Comunione, Pilina, come la chiamavano tutti in famiglia, si accostò quotidianamente all’Eucaristia. A nove anni fu ricoverata presso l’Ospedale Militare “Gómez Ulla” di Madrid, per interessamento di suo padre, che era un colonnello. Incoraggiata da una delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, infermiera, ad aderire all’Unione dei Malati Missionari, s’impegnò a offrire i dolori, specie alle ossa, che la malattia le causava, pregando per i missionari e per la loro opera evangelizzatrice. Poco dopo il ricovero, le venne diagnosticato un linfoma di Hodgkin, incurabile con la medicina del tempo. Pilina morì in ospedale, tra le braccia di sua madre, il 6 marzo 1952; aveva da poco compiuto dieci anni. Fu dichiarata Venerabile dal Papa san Giovanni Paolo II il 19 aprile 2004. I suoi resti mortali riposano nella cappella della Madonna del Castello della Real Chiesa Parrocchiale di San Genesio a Madrid.



I primi anni e la famiglia
María del Pilar Cimadevilla López-Dóriga nacque a Madrid, in Spagna, il 17 febbraio 1952. Fu battezzata il giorno seguente la nascita nella chiesa di San Genesio a Madrid, non lontana da casa sua.
I suoi genitori, il colonnello Amaro Cimadevilla Álvarez e María del Rosario López-Dóriga de la Roza, ebbero in tutto sette figli, ma due, Miriam e Vicente, nati dopo María del Pilar, morirono in tenera età: sopravvissero quindi María del Rosario detta Tarín, Eugenio, Magdalena detta Magali, María del Pilar e Francisco Javier, ovvero Fran.
Per mantenere la famiglia, il padre arrotondava lo stipendio lavorava come redattore alla Radio Nazionale. Invece la madre, dopo il suo parto, fu molto affaticata per una malattia cardiaca, che sopportò con fermezza.
Sin dalla più tenera età, la bambina manifestò un temperamento intelligente e vivace, che le meritò, da parte dei suoi fratelli, il soprannome di “La Brava” (“bravo” in spagnolo non corrisponde al significato italiano; è più simile al nostro “coraggioso”).
Allo stesso tempo, era anche egoista ed esigente, gelosa dei suoi giocattoli e delle mance che riceveva. Bastava però che sua madre la rimproverasse: «Che pena avrà Gesù a vederti così!», perché si acquietasse. Altre volte, in assenza dei genitori, era la sorella maggiore Tarín a doverla ricondurre alla disciplina, quando veniva alle mani coi fratelli.

Uno slancio religioso non comune
Allo stesso tempo, Pilina, come la chiamavano tutti in casa, aveva una forte attrattiva verso il sacro e la religione cattolica. Ogni giorno recitava il Rosario con i suoi familiari e non perdeva occasione per andare in chiesa e pregare davanti al Santissimo Sacramento.
Sua sorella Magali, la sua compagna di giochi preferita, ha ricordato che, a differenza di lei che restava inginocchiata in preghiera, preferiva girare per i vari altari e divertirsi a spegnere le candele.
Pilina cercava di avere una condotta virtuosa a scuola: da quando aveva quattro anni, era allieva dell’Istituto Cristo Re di Madrid, delle Figlie di Cristo Re, non lontano da casa sua. Si aprì gradualmente ai compagni ed era particolarmente portata per la materia di Religione.
Quando a sua madre veniva fatto notare che Pilina era così perché lei le aveva insegnato a pregare e a credere, replicava che aveva fatto così con tutti gli altri figli. Solo da lei, però, notava un raccoglimento speciale nel Rosario in famiglia; inoltre, la vedeva inginocchiata accanto al letto, prima di dormire, a recitare le preghiere, ma non perché le conciliassero il sonno.

Pilina e Gesù Bambino
L’attraeva in modo speciale Gesù Bambino: ogni giorno, dopo la scuola, passava nella cappella del Gesù Bambino del Rimedio, molto venerato a Madrid. Un giorno le chiesero: «Cosa vuoi fare da grande, Pilina?». Rispose: «Io? La sposa di Gesù Bambino!».
Aveva circa cinque anni quando ruppe il salvadanaio e comprò una statuetta del Bambinello, da cui non volle separarsi nemmeno quando andava a dormire. Inevitabilmente, l’immagine finì col cadere giù dal letto, rompendo prima un braccio, poi l’altro, poi anche le gambe. La madre, consolando la bambina, cercò di ricomporla al meglio possibile.

La Prima Comunione come punto di svolta
Stando alla testimonianza di una delle suore sue maestre, Pilina si preparò alla Prima Comunione con serietà e interesse. I genitori le proposero di evitare ogni sorta di festeggiamento esteriore, anche se il loro ceto sociale poteva agevolarlo, in modo da preservare l’intimità del suo primo incontro con Gesù.
Per la stessa ragione, indossò non un abito nuovo, come pure la madre avrebbe apprezzato, ma il vestito che aveva messo per la stessa circostanza la sorella maggiore, a sua volta ereditato da una cugina materna.
La bambina prese sul serio il loro suggerimento, tanto da affermare, tempo dopo quel fatidico 15 maggio 1959: «La mia Prima Comunione fu tutta per Gesù». Quanto al vestito, maltrattato e macchiato, quasi non ci fece caso.
Da quel giorno, si accostò ogni giorno all’Eucaristia. Accompagnata dalla madre, andava a Messa nella chiesa di San Genesio, la sua parrocchia, oppure nella cappella di Gesù Bambino del Rimedio, terminate le lezioni della mattina.
Una volta pianse disperatamente quando la maestra aveva castigato l’intera classe, obbligandola a restare un’ora in più: rischiava, infatti, di fare tardi alla Messa. Per le sue visite quotidiane a Gesù, a volte veniva guardata male dalle compagne, perché interrompeva le sue conversazioni con loro per entrare in chiesa.

Il suo senso del peccato
Si accostava anche alla Confessione, ma in una circostanza sentì di avere un peccato così pesante da non poterlo dire al confessore. Volle prima riferirlo alla madre: aveva preso in prestito da una compagna una matita, una gomma da cancellare e una peseta e non gliele aveva restituite. La madre l’incoraggiò a non farlo più e ad avere fiducia nella misericordia di Gesù, quindi la mandò al confessionale, rassicurandola che la colpa non era poi così grave.
A volte, passeggiando con i suoi familiari lungo la Gran Via di Madrid, la bambina passava di fronte ai cartelloni dei cinema. Quando scorgeva delle locandine che le sembravano poco decorose, afferrava la mano della madre e camminava a occhi chiusi, oppure volgeva la testa e guardava da un’altra parte.

La comparsa del linfoma e il ricovero in ospedale
Nel giugno 1961, Pilina manifestò un’estrema stanchezza unita a inappetenza. In realtà, da tre anni aveva un dolore strano, che in quella circostanza si fece più acuto. Inoltre, le era comparso più di un rigonfiamento sul lato destro del collo, che era stato trattato con una cura a base di calcio.
Nonostante questo, continuò a frequentare la scuola, a giocare con le amiche e i fratelli, a vivere la sua vita. Tuttavia, si sentiva sempre più stanca. A quel punto, suo padre prese una decisione: doveva essere ricoverata all’Ospedale Militare “Gómez Ulla” di Madrid.
La bambina accettò la decisione con serenità, ma prima di partire per l’ospedale chiese di essere accompagnata a salutare il negoziante da cui comprava le sue caramelle preferite, pensando che forse non l’avrebbe più rivisto.

Pilina, “malata missionaria”
Un giorno, suor Gabriela, una delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, addette alla cura dei malati dell’ospedale, le rivolse una proposta mentre le praticava un’iniezione: «Ti farà un po' male, ma tu offri la puntura e io il lavoro, così aiutiamo le missioni».
Le parlò quindi dell’Unione dei Malati Missionari, organizzata e promossa dalle Pontificie Opere Missionarie: chi vi aderiva s’impegnava a offrire tutte le proprie sofferenze per aiutare i missionari nei Paesi esteri e la loro opera evangelizzatrice.
Pilina, ancora una volta, fece del suo meglio per assumere pienamente gli impegni di quella Pia Unione. Ogni giorno si metteva seduta a letto, prendeva il Crocifisso e recitava la preghiera degli aderenti all’Unione; ben presto l’imparò a memoria. Come “malata missionaria”, quando stava male pensava ai missionari e a quanti non conoscevano ancora il Vangelo, pregando per tutti.
Nel frattempo, fu precisata la diagnosi: un linfoma di Hodgkin, incurabile con i mezzi dell’epoca. I genitori reagirono con compostezza alla notizia; in particolare, sua madre si premurò di prepararla alla morte con delicatezza.

Tutto per far piacere a Gesù Bambino
Pilina appariva dimentica di sé stessa e dei propri interessi, preoccupata solo di non dare fastidio al prossimo. Apprezzava ogni servizio che le veniva prestato, salda nel proposito di far sempre piacere a Gesù Bambino.
Desiderando offrire ancora di più qualcosa a Lui, si opponeva ad assumere i calmanti che avrebbero potuto placare i suoi dolori, che la colpivano particolarmente nelle ossa. Ciò nonostante, riusciva a mantenere un atteggiamento sereno, suscitando lo stupore dei medici.

Le sue Comunioni in ospedale
Anche in ospedale riceveva quotidianamente la Comunione. Il cappellano era meravigliato dal fervore che lei manifestava, tanto che, prima di andarsene, la benediceva col Santissimo Sacramento. Quando per la stanchezza non riusciva a prepararsi per la Comunione, che di solito riceveva al mattino, lo faceva la sera precedente. Solo dopo essersi comunicata, si rivolgeva alla madre e dichiarava: «Adesso Gesù Bambino e io facciamo un sonnellino», e si addormentava placidamente.
In alcune occasioni non le fu permesso di comunicarsi. Una di quelle volte, confidò a una delle Figlie della Carità: «Oggi non so come trascorrerò il giorno, perché non ho potuto comunicarmi. Preghi per me, affinché io sappia soffrire come Gesù vuole. Vorrei salvare molti bambini».

Le richieste ai genitori
Un giorno, Pilina ebbe una richiesta per suo padre: «Papà, voglio che mi prometti una cosa molto importante e che la compirai anche se non muoio: che tu non smetta di andare nessun giorno a Messa e a fare la Comunione, anche se dovrai alzarti molto presto».
In un’altra circostanza si rivolse a sua madre: «Mamma, ma perché dici le mie cose agli altri? Non voglio che possano considerarmi più buona di quanto lo sia». Un’altra volta ancora la consolò: «Non aver paura, mamma, perché ho offerto la mia vita a Gesù».
Una mattina, dopo il consueto ringraziamento seguito alla Comunione, esclamò: «Aprite le finestre e siate molto contenti, perché Gesù Bambino mi ha appena detto che sì, mi porterà con lui, tuttavia devo soffrire un altro po’, perché devo essere santa».

Gli ultimi giorni
Il 5 marzo 1962, verso sera, Pilina si preparò per recitare il Rosario con sua madre e una zia. Come per la Comunione, lo faceva ogni giorno, ma quando temeva di non essere totalmente in sé a causa delle medicine, lo anticipava.
Rivolgendosi alla sua statuetta di Gesù Bambino, disse a voce alta: «Gesù, offro questo Rosario per questa intenzione: che se io guarisca, sia per il bene della mia anima; sennò, che sia fatta la tua santa volontà».
All’alba del 6 marzo si aggravò al punto di dover avvisare le suore infermiere di guardia. Poco dopo il loro arrivo, la bambina, allo stremo delle forze e con voce spezzata, disse al padre: «Papà, da’ una mancia a José, perché, poveretto, è andato di corsa a cercare le suore». Furono le sue ultime parole.

La morte
Pilina ricevette l’Unzione dei Malati con ancora più fervore del solito, quindi dispose la ripartizione dei propri beni ai poveri. Di lì a poco, si spense tra le braccia di sua madre, che la sosteneva come faceva quando non riusciva a riposare nel letto. Aveva da poco compiuto dieci anni. La causa del decesso fu ricondotta alla rottura delle vertebre cervicali, tanto che Magali affermò: «A mia sorella si è rotta letteralmente la testa! ».
I suoi resti mortali vennero sepolti nel cimitero di Carabanchel, vicino all’ospedale, ma vi riposarono per quattro anni: il 5 marzo 1966, infatti, vennero traslati nella Real Chiesa Parrocchiale di San Genesio a Madrid. La loro collocazione è sotto l’altare della Madonna del Castello.

La prima fase della causa di beatificazione e canonizzazione
La fama di santità di Pilina non venne meno col passare degli anni. Per questa ragione, monsignor Luis Alonso Muñoyerro, vicario generale dell’Ordinariato Militare di Spagna, incoraggiò l’avvio della sua causa di beatificazione e canonizzazione, volta a dimostrare l’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane.
Il processo informativo si svolse a Madrid dal 20 giugno 1963 al 20 giugno 1974 e ottenne il decreto di convalida il 4 luglio 1986. Si rese necessaria un’inchiesta supplementare, per verificare se la fama di santità fosse perdurata: celebrata nel 1990, ottenne la convalida il 24 giugno 1974.

Il decreto sulle virtù eroiche
Presentata la “Positio super virtutibus” nel 1996, fu sottoposta ai Consultori Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, che il 28 ottobre 2003 si pronunciarono favorevolmente. Analogo parere positivo emerse dalla Sessione Ordinaria dei cardinali e dei vescovi membri della stessa Congregazione, il 13 gennaio 2004.
Il 19 aprile 2004 il Papa san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui Pilina veniva dichiarata Venerabile.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2023-12-14

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