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Padre Anton Luli Gesuita

Testimoni

Lohjë, Albania, 1910 – Roma, 9 marzo 1998


Alle 23.45 del 9 marzo 1998 si spegneva P.Anton Luli, gesuita albanese, nell'infermeria della residenza del Gesù, a Roma. Vorrei ora ripercorrere una parte del lungo periodo che ho trascorso con lui.
Ero in Albania da pochi mesi. Sapevo che padre Luli doveva venire a far parte della nostra comunità, e decidemmo di andarlo a trovare a Shenkoll, un grosso villaggio dove era parroco, vicino la città di Lezhé.
Ricordo ancora la strada che procurava continui scossoni alla nostra macchina e poi finalmente le prime case e la chiesa, che era stata trasformata dai comunisti in "Casa della Cultura". La gente ci disse che P.Luli era in giro, a trovare famiglie che abitavano in case disseminate nella campagna.
Qualche settimana dopo, accompagnato da alcuni fidati amici, P.Luli venne ad abitare tra noi. Ricordo i suoi rozzi vestiti, il suo golf di lana di pecora, il suo volto caratteristico e indimenticabile. Mi ha colpito il fatto che si inserì subito nella nostra comunità, dopo tanti anni vissuti nella solitudine più totale.
Emersero subito le sue doti di simpatia, semplicità, umorismo, adattamento, totale disponibilità. Nella vicina chiesa del Sacro Cuore celebrava la Messa e confessava, attirando tante e tante persone.
La Provvidenza mi aveva portato nei villaggi del distretto di Kruja, dove mi interessavo per ricostruire le chiese (ma questa è un'altra storia!) e padre Luli molto spesso mi accompagnava. Vedevi come si trasformava appena sceso dalla macchina: chiacchierava con la gente, carezzava i bambini, e mentre io celebravo la Messa, attendeva con impegno alle confessioni.
Mi colpì una sua osservazione. Mi disse: "Queste persone non si confessano da trent'anni, e in.alcune di loro a stento trovo materia per assolvere!". Padre Luli ha avuto il grande merito di avermi fatto capire l'animo albanese, l'animo della gente semplice e laboriosa che era passata attraverso la bufera dell'ateismo marxista senza nulla perdere delle proprie convinzioni religiose.
Un'altra volta accompagnai P.Luli a Lòhja, suo villaggio natale. Vi mancava da molti anni. Aveva lì un fratello e tanti, tanti nipoti. Dopo Scutari, la strada si faceva sempre più impervia, si attraversavano pianure sassose e piene di vegetazione. Finalmente arrivammo. Qualche albero, come in un'oasi, e poche case.
Fummo accolti con tanto calore umano, con quel senso di ospitalità tipico dei popoli semplici. Io distribuivo corone del rosario, e bambini e bambine le baciavano e se le mettevano al collo. Ci riunimmo intorno ad una tavola patriarcale. Al centro, un gran piatto colmo di cibo e ognuno attingeva ad esso.
Dopo qualche anno, quando ormai nei villaggi c'erano le prime chiese ricostruite, ed erano presenti le prime comunità di suore, c'era un chiedere continuo di portare con me Padre Luli. In occasione di battesimi e prime comunioni, in Avvento e in Quaresima, egli passava ore e ore a confessare.
Talvolta ci fermavamo a pranzo dalle Suore, che poi pensavano a farlo riposare. Si era creata un'amicizia molto bella con una suorina tailandese, Suor Tiptara, come tra un nonno e una nipotina. Padre Luli la chiamava "Suor Tip-tap" e la suora gli offriva caramelle e dolciumi, che poi Padre Luli distribuiva ai bambini. Ma anche tutte le persone che lo visitavano erano prese dal fascino che, anche senza rendersene conto, Padre Luli esercitava.
Raccontava pacatamente e con serenità tutte le persecuzioni che aveva subito, dalle torture vere e proprie ai lavori forzati. E' una cosa che ha sorpreso anche me, questa sua mancanza di risentimento, di acredine, ma solo un grande desiderio di dimenticare e di perdonare.
Ricordo un altro viaggio che feci con lui e con alcuni giovani a Kavaja. Concelebrammo presso le Suore Domenicane. Padre Luli aveva lavorato - lavori forzati! - da quelle parti, e alla finestra mi mostrava la piana e le montagne dove aveva passato anni a scavare canali sotto la sorveglianza feroce di aguzzini armati. Parlava con pacatezza, ma si sentiva il rimpianto di non aver potuto esercitare il suo ministero sacerdotale.
Ma il Signore ha operato con Padre Luli così come era avvenuto con Giobbe. Al pari del patriarca, Padre Luli aveva perso tutto, un mondo pazzo di senza Dio si era accanito su di lui, lasciandogli a stento solo un poco di vita. Ma ora Dio lo ricompensava. In pochi anni il suo nome fu conosciuto dappertutto in Albania.
Una sua lettera - scritta ad un vecchio amico sacerdote - fu moltiplicata in migliaia e migliaia di copie e fatta conoscere fra laici e religiosi. Molti mi hanno detto di averne fatto oggetto di preghiera personale. Poi le conversazioni con i volontari, a Bilay, a Bize , a Tirana. Infine un piccolo libro: "Già dato per martire", racconta brevemente le sue traversie, e ha conosciuto un meritato successo.
P.Luli fu poi presto conosciuto anche fuori dall'Albania. Venne invitato a Fatima, a parlare a moltissimi Vescovi e sacerdoti. Fu invitato a Loreto per dare la sua testimonianza davanti a tanti giovani, e infine, davanti al Santo Padre Giovanni Paolo II, nella Sala Nervi, in occasione del 50° di Sacerdozio del Papa.
Padre Luli, che prima di parlare era visibilmente emozionato, dinanzi al rappresentante di Cristo parlò speditamente e con coraggio. Il Papa non poté non asciugarsi una lacrima e noi, suoi confratelli, in seguito scherzavamo con lui: "Padre Luli, sei proprio cattivo, hai persino fatto piangere il Papa!"... e lui sorrideva felice.
Sempre desideroso di vedere gente, di raccontare, di testimoniare, negli ultimi giorni si era chiuso in se stesso. Torna alla mente una espressione biblica, usata per descrivere la morte dei patriarchi: "sazio di giorni".
Padre Luli appariva ormai "sazio di giorni". Aveva compiuto la sua missione di testimone impavido del Vangelo. Grazie, Padre Luli, per tutto il bene che mi hai fatto, che ci hai fatto!


Autore:
Ernesto Santucci


Fonte:
Osservatore Romano

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Aggiunto/modificato il 2014-05-20

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