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Giovanni di Fécamp Benedettino

Testimoni

Ravenna, 990 circa - Fécamp, Francia, 1078

Nipote di San Guglielmo da Volpiano, lo seguì in Francia e fu da lui creato priore (1017), poi abate (1028) dell'abbazia della Ss. Trinità di Fécamp. I suoi scritti, in uno stile semplice e suasivo, sono tra i migliori della letteratura ascetica medievale prima di s. Bernardo: Confessio theologica, Confessio fidei, De usu psalmorum, Meditationes, preghiere e poemetti (alcune di queste opere sono state in passato attribuite erroneamente ad altri, per lo più a s. Agostino).



Nato verso il 990, di Giovanni si hanno poche notizie. Perfino il modo di denominarlo è incostante: per il luogo di nascita è detto da alcuni "di Ravenna", per la sua permanenza giovanile in Piemonte è noto anche come "di Fruttuaria", e per il suo abbaziato normanno è conosciuto generalmente come "di Fécamp"; Orderico Vitale lo chiama "Iohannes Italicus". Egli, d'altronde, chiamava se stesso semplicemente "Iohannellinus" a causa della corporatura minuta.
Anche le informazioni riguardanti la sua famiglia sono scarse. Migne lo dice figlio di un altrimenti sconosciuto Roberto, mentre una tradizione risalente almeno al secolo XVII lo vorrebbe nipote del beato Guglielmo da Volpiano e, per questo, appartenente alla linea arduinica. Tale infondato convincimento deriva dal fatto che i legami tra i due uomini furono invero stretti, e tuttavia non vi sono documenti che indichino l'esistenza di un vincolo di parentela. Oltre a ciò, è noto che il beato Guglielmo ebbe un nipote, anch'egli di nome Giovanni (detto "Homo Dei"), che fu abate di Fruttuaria e che è stato spesso confuso con Giovanni (cfr. Ancilli).
Giovanni è ricordato in alcune fonti con il soprannome Dalye o de Alye. Tale appellativo è stato identificato con Agliè nel Canavese, terra degli arduinici conti San Martino; in Francia, invece, è stato anche ritenuto prova dell'appartenenza di Giovanni alla famiglia dei marchesi alverniati Rochefort d'Ally. Tuttavia, sappiamo che Giovanni non era né francese né canavesano e che, del resto, neppure Guglielmo da Volpiano apparteneva alla famiglia del re Arduino. È invece possibile che l'epiteto Dalye o de Alye sia un matronimico e si riferisca (nell'una o nell'altra forma) alla madre di Giovanni, poiché il nome Alia è attestato proprio a Ravenna (ma nel XIII secolo), mentre il nome Dalia è testimoniato in area laziale nell'XI secolo.
Allo stato attuale delle conoscenze, possiamo dire soltanto che Giovanni, senza essergli necessariamente parente, fu uno dei discepoli prediletti di Guglielmo da Volpiano. Entrato molto giovane nel mondo monastico, gli anni della sua formazione si compirono sotto la sua ombra, prima a S. Benigno di Fruttuaria, poi a S. Benigno di Digione.
Nel 1017 Guglielmo, mantenendo per sé il titolo di abate di Fécamp, gli affidò il priorato di quel monastero, che aveva provveduto a riformare alcuni anni prima su invito del duca Riccardo il Buono di Normandia. Nel 1028 egli, vecchio e malato, dietro istanza del duca Roberto il Diavolo (o Magnifico) cedette la carica di abate, scegliendo il suo discepolo Giovanni come successore. Guglielmo da Volpiano morì tre anni dopo, nel 1031, proprio mentre soggiornava a Fécamp, e fu sepolto nella chiesa dell'abbazia. A Giovanni, secondo abate, spettò l'onere di proseguire l'opera iniziata dal maestro, il quale aveva immesso Fécamp nel vasto movimento di riforma, parallelo a quello cluniacense, che aveva come capisaldi Fruttuaria e Digione.
Già riorganizzata dal punto di vista della disciplina monastica, sotto la direzione di Giovanni Fécamp divenne il terzo polo di diffusione della riforma, ponendosi a capo di una congregazione alla quale aderì un buon numero di monasteri normanni, tra cui quelli di Blangy, Terouanne, Saint-Taurin d'Evreux e Bernay. Pur senza entrare in dipendenza diretta, altri monasteri furono guidati, in quel periodo, da monaci provenienti da Fécamp, i quali furono anche posti, in più di una occasione, alla testa delle diocesi normanne e, dopo la conquista normanna dell'Inghilterra nel 1066, inglesi. Solamente Mont-Saint-Michel rifiutò di accettare come abate il monaco Suppo, che era stato richiesto da Giovanni e che dovette ritirarsi a Fruttuaria. Lo stesso Giovanni compare, come testimone, in alcune carte di fondazione monastica del periodo.
Il giudizio sull'azione di riforma da lui condotta in Normandia non è univoco: si è parlato di gestione prudente (Musset, La contribution) e si è sostenuto che il suo lungo abbaziato avrebbe consentito di radicare l'azione del beato Guglielmo. Ciononostante si sarebbe perso, in quel periodo, il forte sentimento di coesione caratteristico della prima ora (Bulst). È certo poi che egli, con il suo operato, abbia favorito la politica ducale, consistente nell'impiegare le grandi abbazie per l'inquadramento religioso delle campagne. Bisogna ricordare, infatti, che fino al 1035 circa la Normandia non conosceva quasi istituzioni ecclesiastiche secolari.
Quest'ultimo aspetto invita a considerare i rapporti intrattenuti da Giovanni con le maggiori istituzioni ecclesiastiche. L'esenzione di Fécamp dalla giurisdizione episcopale era sostenuta con forza tanto dall'abate - che, seguendo una concezione fondamentale della riforma monastica, comprendeva il rapporto con i vescovi in termini di autonomia - quanto dai duchi, che consideravano l'abbazia una vera e propria fondazione di famiglia. Così si spiegano i documenti regi e ducali di esenzione (del 1006), la bolla di protezione apostolica (concessa nel 1017), la consacrazione abbaziale di Giovanni da parte del vescovo di Avranches, anziché da parte del suo ordinario diocesano (l'arcivescovo di Rouen), e il fatto che, per fare ordinare i suoi chierici, egli si servisse sempre di vescovi che, come quello di Parigi, non potevano vantare alcun diritto sull'abbazia. Il rapporto con l'arcivescovo di Rouen, sempre piuttosto teso, sfociò in crisi aperta quando, nel 1053, Giovanni fu da lui scomunicato per non avere fatto rispettare l'interdetto papale che colpiva l'intera Normandia. Uno scontro di portata simile, ma dai contenuti differenti, si ebbe invece negli anni 1047-49 tra Giovanni e l'abate Guarino di S. Arnolfo di Metz. Il problema dei monaci fuorusciti, che fu l'oggetto principale della contesa (della quale è sopravvissuto uno scambio epistolare), si può interpretare come prova dell'esistenza di un partito avverso a Giovanni e come espressione del disagio avvertito da alcuni monaci di Fécamp, chiamati a vivere secondo forme di vita giudicate troppo rigorose.
Nel 1052, poiché l'abate Alinardo era stato nominato arcivescovo di Lione, Giovanni ne prese il posto alla testa del monastero di S. Benigno di Digione, del quale divenne abate senza rinunciare alla guida di Fécamp. Questo tentativo di cumulo - che avrebbe dovuto condurre, nelle intenzioni di Giovanni, a un rafforzamento ulteriore dei vincoli tra le abbazie fondate o riformate da Guglielmo da Volpiano - fu forse favorito dall'imperatrice Agnese, con la quale Giovanni era in rapporti di amicizia (Wilmart). Tuttavia l'esperienza ebbe breve durata, poiché Giovanni rimise la carica già nel 1054. Molto scarse, infine, sono le notizie che permettono di tracciare un quadro dei rapporti tra Giovanni e il pontefice romano; verso il 1053 egli compì un viaggio a Roma, forse per domandare (come fece anche Lanfranco del Bec) che fossero rimossi l'interdetto lanciato contro la Normandia e la scomunica comminata al duca Guglielmo per avere sposato la cugina Matilde, o addirittura la scomunica che lo aveva colpito personalmente. Egli fu accolto da Leone IX e ricevette lettere che lo costituivano legato apostolico. Ma durante il viaggio di ritorno, senza alcun riguardo per la sua condizione di inviato del papa, Giovanni fu attaccato dagli abitanti dei suburbi di Roma e da quelli di Acquapendente, inferociti contro i Normanni (forse subito dopo la battaglia di Civitate in Puglia). Giovanni, che ricevette offese personali e che si vide spogliato di ciò che portava con sé, inviò un'accesa lettera di protesta al papa.
Tanto la sua posizione nel mondo - egli era infatti uno tra i maggiori prelati normanni - quanto la fama di religiosità che lo circondava, lo collocarono in una fitta rete di relazioni con i grandi del tempo. Alcune epistole significative ci informano dell'amicizia con l'imperatrice Agnese, della quale egli fu maestro spirituale nella vedovanza. Edoardo III d'Inghilterra, che Giovanni andò a visitare Oltremanica nel 1054, fu prodigo di doni alla sua abbazia, che si vide investita di ampie proprietà nel Sussex. Il re di Francia Enrico I lo ricevette a Parigi nei primi anni Cinquanta, per partecipare alla ricognizione del corpo di s. Dionigi; Giovanni da parte sua ospitò nel 1058 due vescovi inviati dal sovrano capetingio per trattare la pace con il duca di Normandia.
L'abbazia di Fécamp era saldamente unita ai principi normanni, che la colmarono di terre e favori e la deputarono a luogo delle celebrazioni e delle sepolture dinastiche, ma che, proprio per questo, vollero sempre controllarla da vicino. I cinquanta anni dell'abbaziato di Giovanni conobbero la decisa crescita di Fécamp, che continuò una tenace opera di espansione politica e territoriale, fino a raggiungere un'enorme ricchezza e a costituire un'estesa proprietà fondiaria, dotata di ampi diritti signorili (Musset, La vie économique). Tale espansione fu tuttavia permeata da una certa instabilità, da collegarsi con il mutevole atteggiamento dei duchi nei suoi confronti. Alla morte di Guglielmo da Volpiano seguì un periodo di turbolenza, che si ricompose solamente alcuni anni dopo l'avvento del duca Guglielmo, il quale era solito trascorrere a Fécamp le feste pasquali, e che si servì di Giovanni come di un valido intermediario. Dal suo canto, Giovanni fu un aperto sostenitore della politica ducale, partecipando tra l'altro con uomini e navi alla battaglia di Hastings e alla conquista dell'Inghilterra.
Alcune fonti tramandano il ricordo di un suo viaggio in Terrasanta, compiuto in tarda età, durante il quale egli sarebbe caduto prigioniero dei Saraceni.
Vi è generale concordanza intorno alla data della sua morte, avvenuta il 22 febbraio 1078 nell'abbazia di Fécamp.
Se la vita secolare di Giovanni non è stata ancora scandagliata a fondo, coloro che lo hanno riscoperto come autore e che hanno fornito l'edizione critica delle sue opere (Wilmart e Leclercq) sono stati invece molto accurati nel ricostruirne il cammino intellettuale. Giovanni viene accostato a Lanfranco del Bec e ad Anselmo d'Aosta: come loro, egli fu uno dei grandi spiriti che, provenienti dall'Italia, fiorirono in Normandia. Le sue opere, però, sono passate sotto il nome di altri autori, perdendosi finanche il suo ricordo. Giovanni, che è stato definito da Wilmart il maggiore autore spirituale prima di s. Bernardo, fino al principio del XX secolo ha prestato la penna ad Agostino, Ambrogio, Cassiano, Ambrogio Autperto, Anselmo, Bernardo.
Tra i suoi scritti si annoverano la Confessio theologica, che è giudicata il suo componimento maggiore e risale a un periodo compreso tra il 1018 e il 1028, e il Libellus de scripturis et verbis patruum, scritto probabilmente tra il 1030 e il 1050 e dedicato nel 1063 o 1064 all'imperatrice Agnese. Entrambe queste opere furono oggetto di interpolazioni; con il titolo di Meditationes, di Soliloquia o di Manuale, passarono sotto il nome di vari autori, tra i quali soprattutto Agostino. Vanno loro aggiunte la Confessio fidei, redatta verso il 1050 e tradizionalmente assegnata ad Alcuino, e le Meditationes ad patrem, composte negli ultimi anni della vita. Vi sono infine alcune opere minori, preghiere, litanie, e un carteggio di tredici epistole tra quelle inviate e quelle ricevute (per una presentazione generale e una valutazione critica della cronologia cfr. Leclercq, Un maître).
Dagli studi e dai testi si ottiene la figura di un mistico, autore di ardenti preghiere, compreso in un perenne dissidio interiore tra l'intensa attività mondana e il bisogno di contemplazione. Giovanni, che si sentiva pastore ed eremita al contempo, è un rappresentante della crisi del cenobitismo tipica del periodo, condivisa per esempio dal conterraneo Pier Damiani, con cui egli potrebbe essere stato in contatto (Bultot). Giovanni, che definisce le sue opere "defloraciuncolae" (piccole compilazioni) sarebbe stato autore intenzionalmente poco originale, in grado di fondere la sua scrittura con quella dei grandi autori che meditava. Il confronto tra le opere maggiori desta alcuni problemi, poiché è stata avanzata l'ipotesi che esse siano in realtà le successive rielaborazioni di un solo testo (Mathon). Altri, invece, pensano che, nonostante alcune riprese dall'una all'altra, esse siano distanti tra loro, così come è distante la ratio che le informa. In particolare la Confessio theologica, opera più teologica e meno devota delle altre, sarebbe nata come difesa dalle accuse di eterodossia che gli sarebbero state rivolte (Worthen). Gli studi più recenti puntano a evidenziare meno l'aspetto spirituale, riconosciutogli da Wilmart e Leclercq, per definire Giovanni un pensatore "esistenziale" (Bultot) o un teologo prescolastico (Mathon). In ogni caso, il suo posto nella storia della teologia medievale non è stato ancora stabilito con certezza (Worthen). Le sue opere, passate sotto il nome dei grandi autori spirituali, e spesso trasmesse in codici che contenevano anche scritti di s. Bernardo, ebbero enorme diffusione durante il Basso Medioevo, soprattutto tra i canonici agostiniani e tra i monaci benedettini e certosini, mentre furono poco note presso il clero secolare e gli ordini mendicanti.
Quasi ignorati, invece, sono i nessi con l'arte medica, che Giovanni, secondo alcune testimonianze, avrebbe praticato, dando vita all'importante scuola di Fécamp. Appare possibile che egli sia l'autore di una Isagoge in Galenum, conservata in manoscritto a Rouen e pubblicata nel corso del XVI secolo (cfr. anche Nortier, p. 234).


Autore:
Tommaso Di Carpegna Falconieri


Fonte:
www.treccani.it

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Aggiunto/modificato il 2014-12-20

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