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Servo di Dio Vittorio Salmeri Sacerdote

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Villabate, Palermo, 25 dicembre 1921 - 5 febbraio 1954

Don Vittorio Salmeri fu un sacerdote della diocesi di Palermo. Avvertita la vocazione al presbiterato, a dodici anni entrò in Seminario. La sua formazione fu marcata da una progressiva consapevolezza del fatto che l’amore a Dio e quello al prossimo dovessero andare di pari passo e dal totale affidamento al Signore e alla Vergine Maria. Ordinato prete il 1° aprile 1945, venne nominato primo parroco della chiesa dell’Immacolatella a Palermo. Si adoperò in particolare perché i laici avessero il giusto spazio nella vita della comunità, curando in particolare l’Azione Cattolica e gli scout. Morì per le conseguenze di un incidente stradale, accaduto mentre viaggiava in motocicletta, nella notte tra il 4 a il 5 febbraio 1954; aveva trentatrè anni, di cui nove di sacerdozio. Il suo processo diocesano per l’accertamento delle virtù eroiche si è svolto nella diocesi di Palermo dal 1988 al 2004. I suoi resti mortali riposano dal 2007 nella chiesa di Sant’Agata a Villabate, suo paese di nascita, tra l’altare di sant’Agata e quello di san Giuseppe.



Il Natale 1921 fu veramente particolare per Giacomo Salmeri, professore di musica e direttore della banda di Villabate, in provincia di Palermo, e sua moglie Maria Porcelli, insegnante elementare. In quella notte santa, che trascorrevano a casa della madre di lui, Rosalia Domino nacque il loro terzo figlio (ne sarebbero seguiti altri due). Il 9 gennaio 1922 il piccolo ricevette il Battesimo nella chiesa parrocchiale di Sant’Agata, e gli fu messo nome Vittorio.
Trascorse i primi anni nel paese di Belmonte Mezzagno, dove la madre insegnò fino ad un nuovo trasferimento a Villabate. A cinque anni dalla sua nascita, un’esperienza gravissima colpì la sua famiglia: il padre abbandonò il tetto coniugale per legarsi a un’altra donna, la signora Butticè. Il bambino ne fu seriamente amareggiato, tanto da decidere d’impegnarsi per farlo tornare a casa.
Nel 1927 la signora Maria e i cinque figli traslocarono a Palermo. Lì Vittorio compì gli studi alle elementari “Perez” e, frequentando la parrocchia di Sant’Ippolito, s’inserì nell’associazionismo cattolico. Tre anni dopo, d’inverno, contrasse una pericolosa polmonite. Guarì mediante le preghiere della madre, devotissima a sant’Antonio e a Santa Rita, ma ne uscì tanto debilitato da doversi nuovamente trasferire a Villabate.
La vita riprese a scorrere tranquilla: la madre, oltre a insegnare a scuola, faceva la catechista a Sant’Agata, mentre Vittorio cominciava a sentire dentro di sé che il Signore lo voleva sacerdote, esattamente come il suo parroco, monsignor Antonio Riela. Grazie all’aiuto di lui, anche dal punto di vista finanziario, nel 1933 il ragazzo entrò nel Seminario diocesano di Palermo e vestì la talare l’8 dicembre dello stesso anno.
I primi tempi, per un dodicenne come lui, furono penosi, accentuati dalla nostalgia per la famiglia. Col trascorrere dei giorni, nel Seminario trovò quasi una seconda famiglia, più che un luogo dove studiare e basta. Dai suoi appunti spirituali emerge come, gradualmente, divenne persuaso che senza l’amore di Dio l’uomo rischia di fallire: «Amare Dio è per l’uomo condizione di vita o di morte», scriveva a quattordici anni, «lontano da Dio il cuore dell’uomo sarà sempre quello di un verme che passa la vita mangiando quella terra su cui striscia». Fondamentale per lui fu l’apporto di padre Angelo Cantons, religioso clarettiano, all’epoca direttore spirituale dei seminaristi (anche per lui è in corso la causa di beatificazione).
A causa di problemi di salute, Vittorio trascorse a casa l’anno seminaristico 1939/’40. Fu l’occasione per riallacciare i rapporti col padre: dopo aver offerto preghiere, comunioni e sacrifici per lui, gli aveva scritto una lunga lettera, dove esercitava sin da allora la carità sacerdotale, invitandolo a non perdere la possibilità della vita eterna. Giacomo Salmeri tornò, ormai malato, a casa: Vittorio poté quindi assisterlo nei suoi ultimi giorni di vita. Per assimilarsi ancora maggiormente a Gesù, in vista degli Ordini sacri, l’8 dicembre 1940 prese il solenne impegno di offrirgli la castità del corpo, affidandosi alla Vergine Maria.
L’anno successivo, il 20 dicembre 1941, ricevette la tonsura. Per lui, come lasciò scritto, costituiva solo il primo passo verso l’altare: «Poi si farà la pratica applicazione; ma in germe si sceglie tutto ora, si sceglie il Signore». La sua scelta era proprio per Lui, a cui si rivolgeva, pregando, con espressioni come questa: «Ti ringrazio oh Signore, oh Amico del mio cuore. Verrò con Te, risponderò al Tuo invito, starò in tua compagnia. Quando me ne dimenticherò, scuotimi forte, Te ne prego. Ti voglio amare. Tu solo sei la forza mia e il sostegno mio. Pensando a Te mi abbandonerò nella via che tu hai tracciato, senza alcun timore, senza alcuna ansia. Tu ci devi pensare. Tu solo. A me basta seguirTi e mantenermi a contatto con Te. Maestro, insegnami a pregare».
Dal 3 febbraio 1943, a causa dei bombardamenti su Palermo, i seminaristi dovettero sfollare nel Seminario di Caltanissetta, ma la formazione non venne meno. Padre Cantons continuò a dare loro le proprie istruzioni, diligentemente annotate e messe in pratica da Vittorio.
Prossimo al suddiaconato, divenne consapevole che doveva imparare ad amare anche il prossimo, alla stregua di san Francesco di Sales, per amare Gesù e come Gesù: «Ma prima di darmi agli altri bisogna che io sia completamente vostro, tutto, tutto vostro», l’invocava il 3 dicembre 1944, proseguendo: «E se tale amore mi debba costare sacrifici, aridità, desolazione, disprezzi, e sia pur la vita, tutto accetto purché Vi ami».
Infine, il 1° luglio 1945, il giovane venne ordinato sacerdote dal cardinal Luigi Lavitrano nella chiesa di Santa Caterina in piazza Bellini a Palermo. Celebrò la sua Prima Messa in forma privata nella cappella del Seminario, seguita, la domenica successiva all’ordinazione, da una più solenne liturgia nel suo paese, a Sant’Agata.
Come primo incarico gli venne affidata la parrocchia dell’Immacolata allo Sperone (detta “Immacolatella” per distinguerla da un’altra più antica) a Palermo. Suoi strumenti fondamentali per attirare le persone e le anime del luogo furono anzitutto l’Azione Cattolica e gli scout: i laici, col suo aiuto, occupavano gli spazi a loro dovuti in tutti i campi della pastorale. Confidava in particolare nei giovani, il vero futuro della sua comunità.
Era particolarmente attento che la sua gente evitasse anche le più piccole occasioni di mancare all’alleanza con Dio. In un ritiro mensile, tenuto il 18 febbraio 1949 alle organizzazioni parrocchiali, affermò: «Il peccato veniale per noi è una imprudente limitazione delle nostre forze spirituali, mediante l’intorbidamento delle nostre risorse e mediante il soffocamento dei nostri palpiti spirituali. [...] Il peccato veniale per Gesù è un ostacolo offensivo all’espansione del suo amore nell’anima nostra». In questo senso si comprende l’accento che poneva sulla virtù della purezza, alimentata con l’accostarsi all’Eucaristia.
Quando poi portava il Viatico a qualche ammalato, ci andava in motorino e suonava il clacson, per far rendere conto che passava Gesù Sacramentato. La sua frase abituale, rivolta a chi lo vedeva, era: «Chi ha molta fede, si metta in ginocchio; chi ne ha di meno, stia in piedi e dica una preghiera; chi ne ha ancora di meno, si faccia un segno di croce».
Pur avendo da tempo superato gli scrupoli che talvolta lo avevano preso, negli anni del Seminario, nei confronti della dignità sacerdotale, don (o meglio, secondo l’uso del Sud Italia, “padre”) Vittorio sentiva di aver continuamente bisogno che qualcuno lo sostenesse. Testimoni preziosi, in tal senso, sono le lettere indirizzate a Elena Giglio, che per lui fu più sorella che figlia spirituale. In famiglia, anche se la situazione del padre si era risolta, aveva ugualmente dei contrasti, specie col fratello Edoardo, impegnato nel partito comunista.
All’impegno parrocchiale se ne aggiunse uno veramente inatteso quando il cardinal Ruffini gli chiese di laurearsi in Scienze Naturali, per insegnare al Liceo del Seminario. Padre Vittorio non era molto incline a quella disciplina, tuttavia obbedì al suo vescovo: conseguì la laurea nel 1952. In un ricordo apparso dopo la sua morte, venne descritto in questi termini da un allievo: «C’era qualcosa d’indefinibile in quel suo modo di presentarsi che incuteva direi quasi una soggezione riverente. Era così giovane, ma bastava avvicinarsi per sentirsi obbligati a ricambiare quell’amore verginale, tutto riservatezza, che si manifestava completamente nell’intensità del suo sguardo limpido». Gli studi scientifici ebbero un riflesso anche nelle meditazioni che offriva in parrocchia, come quella in cui paragonò il ringraziamento dopo aver ricevuto la Comunione alla digestione del cibo.
La sua vita di preghiera e di servizio ebbe un epilogo inaspettatamente tragico. Stava andando in motocicletta, insieme a un chierichetto, a restituire al ceraio i resti delle candele consumate. Mentre passava per l’incrocio di via Roma a Palermo, il suo veicolo venne investito in pieno da un mezzo che viaggiava in senso opposto. Il ragazzo che viaggiava con lui non si fece nulla, quasi a compiere la rassicurazione che padre Vittorio aveva dato alla madre di lui prima che partissero.
Trasportato al posto di medicazione della Croce Rossa, venne ritenuto guaribile in settanta giorni e ricoverato in ospedale. In realtà, aveva il femore fratturato e una commozione cerebrale: entrò in coma poco dopo aver accusato un malessere. A quel punto, venne riportato in parrocchia: ventiquattr’ore dopo, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 1954, morì. Aveva trentatré anni ed era sacerdote da nove.
I suoi scout non fecero mancare la propria presenza durante la veglia funebre. I funerali solenni si svolsero il 6 febbraio all’Immacolatella, alla presenza di un’impressionante folla di fedeli, parenti, amici e autorità civili e religiose. Il corpo venne sepolto nel cimitero comunale di Villabate.
La sua buona fama perdurò, nella comunità cui apparteneva e in quella che guidò per meno di un decennio, tanto da portare all’apertura di un processo per indagare se padre Vittorio avesse davvero vissuto eroicamente le virtù cristiane. Ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede il 15 luglio 1988, si procedette all’inchiesta, svolta nella diocesi di Palermo dal 1988 al 2004. Il 27 novembre 2007 i suoi resti mortali, scortati ancora una volta dagli scout della parrocchia, vennero traslati dal cimitero alla chiesa di Sant’Agata e posti in un loculo nel muro tra l’altare di sant’Agata e quello di san Giuseppe.
Il nome di padre Vittorio è stato dato, oltre che al gruppo scout “Villabate 2°”, a una via di Palermo, a una piazza di Misilmeri e, nella sua Villabate, a una piazza e alla biblioteca comunale. Per non smarrirne il ricordo, nel 2007 il regista Davide Salmeri, figlio di un suo nipote, ha realizzato un docufilm intitolato «Un angelo in Vespa», integralmente visionabile su YouTube.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2015-02-19

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