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Venerabile Giovanni Battista Quilici Sacerdote

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Livorno, 26 aprile 1791 – Livorno, 10 Giugno 1844

Giovanni Battista Quilici nasce a Livorno il 26 aprile del 1791. Diventa Prete il 13 aprile 1816. Animato da un carattere creativo e intraprendente, da fede e speranza non comuni, spende tutta la sua vita per togliere dalla strada le ragazzine impiegate nella prostituzione e ad accogliere quelle abbandonate e sole, per donare loro un futuro diverso. Si prende cura di bambini e ragazzi soli dando loro pane e istruzione.  Si impegna senza tregua per ridare speranza e dignità ai carcerati della Fortezza Vecchia, risvegliando umanità e sostenendoli nelle difficoltà e nei loro diritti. Primo parroco della parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo, svolge un'intensa attività pastorale.  Si dedica con passione e tenerezza all'educazione della gioventù e alle persone più emarginate della città.  Suscita ovunque solidarietà coinvolgendo la comunità civile ed ecclesiale. Fonda, il 13 settembre 1840, la Congregazione delle Figlie del Crocifisso per accogliere, educare e offrire vita e futuro alla gioventù più sola e povera. Muore il 10 giugno del 1844.



CRONOLOGIA BIOGRAFICA
1791
Il 26 aprile, Giovanni Battista Quilici nasce a Livorno, da Bernardo Quilici e Chiara Sgallini, nella zona del porto mediceo, è battezzato il giorno dopo nel vicino Duomo.
In seguito la famiglia acquista un terreno e costruisce una casa sui resti di un vecchio mulino lungo i «fossi»; lì avevano realizzato una piccola fabbrica di terrecotte.
Lì Giovanni Battista cresce; la scuola dei Barnabiti, presso la chiesa di San Sebastiano offre i primi rudimenti di cultura generale e religiosa; stringe amicizia con i padri Domenicani e frequenta la chiesa di Santa Caterina.
1798
Riceve la Cresima
È un ragazzo vivace e sensibile: coglie subito la grave situazione di miseria in cui vivono i suoi concittadini, specialmente dopo le invasioni napoleoniche.
Crescendo partecipa con interesse alla vita della città, consolida la sua mentalità aperta, libera da condizionamenti. Intelligente, creativo, con uno spiccato senso della realtà.
Forgia il suo carattere generoso, franco, volitivo, a volte dolce a volte impetuoso ed irruento.
1811
Giovanni Battista stava studiando dai Barnabiti a S. Sebastiano, frequentando la Cattedrale, con i preti diocesani, ma è dai domenicani che è attratto, così con l’amico Pietro  Paolo Stefanini decide di iniziare la formazione domenicana. All’improvviso l’ordine è soppresso dalle leggi napoleoniche.
Muore il padre di Giovanni Battista.
Attento ai bisogni della città decide di diventare prete diocesano;inizia il cammino formativo continuando gli studi teologici dai barnabiti, rimanendo in famiglia (a Livorno non esiste il seminario).
1816
Il 13 aprile è ordinato prete a Pisa, durante la liturgia del Sabato Santo.
(Livorno è già costituita diocesi fin dal 1806 ma al momento la sede vescovile era vacante) Viene assegnato come viceparroco alla chiesa di S. Sebastiano dove operano i padri Barnabiti.
1818
Don Giovanni inizia sistematicamente ad accogliere le “ragazze di vita” e ad affidarle a delle famiglie disponibili. È sostenuto da amici e collaboratori, preti e laici, uomini e donne.
1819
Inizia a radunare dei giovani che si costituiscono in associazione.
1822
Don Giovanni inizia il suo servizio volontario, come istruttore gratuito tra i condannati del “Bagno penale” della Fortezza Vecchia.
1822
Istituisce l’associazione degli “Operai Evangelici” per i sacerdoti per una presa di coscienza più profonda del ministero presbiterale e per sostenersi fraternamente, e quella dei “Fratelli secolari della dottrina cristiana” per i laici impegnati nella catechesi e nel conforto umano ai carcerati, detta anche dei “Padri di famiglia” impegnati a vivere fedelmente una regola di preghiera, coltivando una santa amicizia e l’aiuto vicendevole, e a preoccuparsi dell’educazione religiosa dei propri figli e soprattutto dei figli dei poveri.
1825
Don Giovanni sente che la missione con le giovani prostitute diventa sempre più pericolosa per loro e per le famiglie che le accolgono. I “mercanti del vizio” si vedono privati delle loro vittime e reagiscono in molti modi per ostacolare il cammino: calunnie, aggressioni e pestaggi a lui e, soprattutto, difficoltà per le giovani. “Sogna” una grande casa per accoglierle e chiede al Granduca una casa o un terreno dove costruirla, per dare alle giovani un luogo stabile e sicuro.
1828
Dopo circa tre anni dalla prima richiesta al Granduca Leopoldo II ed i ripetuti incontri con la Marchesa di Barolo e le Granduchesse, il 18 agosto viene posta la prima pietra dell’Istituto dedicato a S.M. Maddalena (A don Quilici che pensava di fondarvi una Congregazione di “donne consacrate”, la Marchesa di Barolo suggerì di chiamarvi le suore di S. Giuseppe di Torino).
Oltre alle “ragazze di vita” convertite, si accoglieranno anche ragazze e bambine a rischio, quelle orfane e povere e si farà la scuola alle bambine e ragazze del quartiere.
1829
Viene posta la prima pietra della chiesa di S.S. Pietro e Paolo.
1835
L’Istituto e la chiesa sono giunti al loro compimento e Don Giovanni ne viene nominato rettore. Nel mese di agosto scoppia l’epidemia di colera. L’Istituto viene subito adibito a ospedale per i colerosi, così pure la chiesa. Quilici contrae la malattia, ma ne guarisce. (Nel colera muore anche la sua unica sorella). Cessata l’epidemia, riceve la medaglia d’oro dal granduca, per la sua dedizione agli ammalati.
1836
Cinque ragazze livornesi si riuniscono nella canonica della nuova chiesa (Don Giovanni abita sempre in San Sebastiano). In attesa dell’arrivo delle suore di S. Giuseppe di Torino, chiamate a prendere in carico la struttura, iniziano a fare scuola alle bambine povere. Su richiesta di don Giovanni, convinto che l’evangelizzazione della città esigeva la formazione di sacerdoti colti e ben preparati, il Comune di Livorno cede il terreno di fronte al Cisternone per la costruzione del Seminario Diocesano.
1837
Don Giovanni Battista Quilici è nominato parroco della parrocchia di S.S. Pietro e Paolo, dedicandosi ai parrocchiani con assoluta dedizione; qualche mese dopo è nominato Canonico Penitenziere della Cattedrale, ma rifiuta quest’ultimo incarico per non separarsi dalla sua gente
1838
Le suore di San Giuseppe di Torino non possono trasferirsi a Livorno per problemi con il Governo Toscano e don Giovanni, ritornando alla sua prima intuizione, decide di fondare una nuova congregazione con le cinque giovani che, desiderose di consacrarsi a Dio, attendevano le suore di S. Giuseppe. Nasce il primo nucleo delle “Figlie del Crocifisso”.
1840
Il 13 settembre (arrivata finalmente a luglio l’autorizzazione per la nuova congregazione) si celebra la vestizione delle prime cinque suore per le mani del Vescovo Raffaello De Ghantuz Cubbe. Don Giovanni Battista Quilici vive questa realizzazione di uno dei suoi più grandi sogni nell’umiltà, spiegando il Vangelo al popolo, e nel silenzio della canonica.
1843
Muore la prima superiora delle Figlie del Crocifisso, Suor Maria Raffaella Del Maestro, grande collaboratrice di don Giovanni. Iniziano i lavori per la costruzione del Seminario, ad opera dell’architetto Gherardi su disegno del Quilici.
Don Giovanni viene aggredito e percosso da un parente stretto che vuole appropriarsi del denaro destinato ai poveri.
1844
Nei primi mesi dell’anno, il Quilici chiede e ottiene un importante contributo dal Granduca per aprire un nuovo istituto per ragazze povere nel quartiere popolare di Fiorentina. Tratta per acquistare il terreno per costruire un altro Istituto per ragazzi e bambini soli. Il Granduca gli offre la Croce al merito di S. Giuseppe, ma non l’accetta perché inutile ai suoi poveri. Il Granduca, commosso, cambia tale riconoscimento in un contributo economico, ma morirà prima di poterlo ricevere.
Il 10 giugno, nell’ora della processione della festa del Corpus Domini, il Santissimo resta esposto sull’altare tra i tantissimi fedeli raccolti in preghiera per la salute di don Giovanni, ammalatosi i primi giorni di giugno con una febbre altissima. Alle 17, un sacerdote sale in lacrime i gradini dell’altare coprendo lentamente l’ostensorio. Tutti comprendono che don Giovani Battista Quilici è tornato alla casa del Padre.
L’11 giugno viene portato a sepoltura nella chiesetta detta “la Madonnina” ai piedi del colle di Montenero, tra la folla dei suoi poveri e la presenza di tutta la città.
1932
Le Figlie del Crocifisso traslarono la salma nella cappella dell’Istituto Santa Maria Maddalena.

Livorno dell’800
La fine del settecento è caratterizzata dalle conseguenze politiche e sociali causate dalla rivoluzione francese. Il Granducato di Toscana si era dichiarato neutrale ma non è stato estraneo alla situazione generale. Livorno è in una situazione strategica con il suo porto nel centro del Mediterraneo, così è presa di mira da forze diverse. Dal 1796 al 1814 i francesi l’occupano quattro volte, gli inglesi che già avevano danneggiato depredando le navi il commercio portuale, arrivano due volte, poi è la volta degli austriaci e dei napoletani con Gioacchino Murat.
La situazione sociale conosce ogni sorta di degrado, violenze, furti, fame e povertà, una indigenza generalizzata che ha tolto ogni barlume di speranza alla gente. Anche lo stato sanitario subisce le conseguenze con ripetute epidemie, e l’elevata mortalità infantile.
Con la soppressione degli Ordini religiosi viene a mancare anche il sostegno religioso e quello culturale.
Le leggi liburnine (1587-1593) avevano condotto a Livorno persone di origini diverse e di diversa religione, un ambiente variegato, un diffuso anticlericalismo, il giansenismo appoggiato dal granduca, non avevano aiutato la situazione della Chiesa Cattolica: il clero è scarso e con formazione modesta, senza una guida adeguata. Livorno è costituita da una sola parrocchia mentre le diverse chiese sono rette da vicari. Solo nel 1806 Pio VII costituisce la Diocesi la cui piena attuazione diventa molto lunga. Il primo vescovo è mons. Filippo Ganucci fino al 1813, anno della morte. Negli otto anni successivi la Diocesi è retta dal Vicario Capitolare mons. Girolamo Gavi. Nel 1821 diventa vescovo di Livorno mons. Angiolo Maria Gilardoni, poi, nel 1834 è nominato vescovo mons. Raffaele De Ghantuz-Cubbe. Alla sua morte nel 1840 è ancora mons. Girolamo Gavi a reggere la diocesi,  ne diventerà vescovo dopo otto anni.
Nel 1830 Livorno è ancora stretta nel recinto delle mura e dei fossi, la ripresa dei traffici marittimi fanno aumentare la popolazione, il miglioramento della situazione economica ha accentuato le differenza tra i diversi strati sociali, urbanisticamente la città si era sviluppata in altezza mentre le strutture urbanistiche erano totalmente inadeguate accentuando il degrado dei quartieri più poveri.
Leopoldo II di Lorena attua, fra il 1828 e il 1840, una serie di progetti per dare alla città una nuova dimensione con l’abbattimento dei bastioni, l’allargamento dei confini, uno sviluppo urbanistico, l’illuminazione a gas, collegamento ferroviario.

LE OPERE

I forzati dei bagni penali
I bagni penali di Livorno erano situati nel mastio della Fortezza Vecchia, in parte sotto il livello del mare, dove erano alloggiati gli schiavi turchi, ma anche i detenuti toscani come i cristiani condannati anche per debiti. I prigionieri lavoravano nel porto e tornavano in fortezza solo durante la notte. Il Codice Criminale della Toscana del 1786 aveva abolito la pena di morte e le mutilazioni. Però, si fece ricorso sempre più ai lavori forzati, specie a Livorno.
Don Giovanni Battista riuscì trovare il modo per accedere nella Fortezza Vecchia, con cuore aperto e ascolto attento fu facile farsi accettare dai forzati, ma oltre alla loro situazione morale, si preoccupava anche del loro stato  e trattamento fisico, delle brutalità e degli abusi che venivano perpetuati.
Vediamo con grande gioia che, ogni giorno di più, aumenta in loro l’assiduità e la devozione nella preghiera, prende sempre più piede un modo di vita dignitoso e cresce la loro fraterna carità.
Studia e approfondisce i trattati e le esperienze internazionali sul recupero dei detenuti, rimanendo nei limiti delle sue competenze religiose e rispettando le rigidità legislative, stende una bozza di un primo progetto di riforma carceraria.
Il suo atteggiamento urta non poco chi dai bagni penali e dal loro sfruttamento trae lucro, che così lamentano:
Eccellenti per ogni altro verso, trattano la ciurma con una compassione tale che gli fa dimenticare la giustizia della loro condanna; si prestano anche agli affari loro temporali, li lusingano di favori e di grazie, hanno ottenuto da essi di parlare con i Superiori per diminuirgli i meritati gastighi ignoranti nelle “discipline” e delle istruzioni, credono i preti senza difficoltà che sia tirannica la legale retenzione dei lucri dei forzati e gli accordano confidenzialmente queste e altre pretenzioni non compatibili né con le discipline locali né con le istruzioni.

Le famiglie e i laici
Già dal 1819 coinvolge alcune famiglie amiche a cui affida le ragazze «di vita» che avevano chiesto aiuto per uscire dal giro.  Così Don Giovanni dopo averle accolte, si fa carico delle loro necessità inserendole in un contesto familiare sano che permetta di recuperare la propria dignità, le relazioni rendendosi gradatamente autonome.
In quegli anni escogita il «catechismo a dialogo» perché fosse comprensibile anche a chi è analfabeta, fonda una associazione di giovani per una formazione umana e spirituale, fonda una associazione di laici adulti, padri di famiglia, per l’umanizzazione degli ambienti di lavoro.
La numerosa popolazione di Livorno e la scarsezza di strutture educative mi hanno spinto ad istituire un’associazione di persone di buona volontà. Questi adulti laici non devono pensare solo al loro progresso spirituale, la devono occuparsi anche dell’educazione umana e cristiana della gioventù.
Coinvolge i laici nell’apostolato e nella catechesi anche tra i reclusi.
Se poi i detenuti vengono istruiti da laici adulti, è indescrivibile il vantaggio che ne deriva. I forzati, infatti, sentendosi ripetere da persone comuni le stesse cose che cercano di trasmettere i sacerdoti, concludono che non è un “mestiere da preti” quello di esortarli alla pazienza e alla accettazione del loro stato, ma è la fede cristiana che afferma per tutti le stesse cose.
La sua tenerezza di padre è per tutti, particolarmente per i giovani e per quelli di cui nessuno si occupa preoccupandosi non solo dell’aspetto religioso ma anche di quello umano e sociale:
I bisogni di questa città, così abbondante di popolo, piena di mille pericoli e totalmente sprovvista di istituzioni educative, di cui abbondano altri paesi più piccoli della nostra Toscana, esigerebbero, specialmente in questi tempi, che un numero assai maggiore di giovani s’impegnasse a correggere la mente e cambiare il cuore, o ancora a educare l’una e l’altro a ricevere con docilità le sane istruzioni che formano il buon figlio, l’uomo consapevole, il cittadino responsabile, la persona operosa ed utile alla società intera.

Le fanciulline
Il bisogno che ha questa immensa popolazione dei sobborghi di un’educazione umana e cristiana è urgentissimo, e muove certamente a compassione chiunque ha un cuore sensibile, il vedere “povere fanciulline” abbandonate per le strade, prive di ogni genere di educazione.
Don Giovanni, con passare degli anni, con l’esperienza di accoglienza di troppe ragazzine costrette dalla vita e dalla povertà alla prostituzione, visti i successi di tanti interventi che hanno coinvolto famiglie generose, si convince che per costruire una società migliore bisogna partire dalla educazione dei giovani. Più urgente è la situazione femminile perché le ragazzine sono le più esposte e, diventate adulte, sono le maggiori responsabili dell’educazione e perno della società. Don Giovanni sogna la creazione di una casa che accolga, educhi e formi. Espone i suoi progetti al Granduca Leopoldo II, coinvolge le Granduchesse Maria Fernanda e Marianna Carolina di Sassonia e ottiene il terreno dove costruire ed un sussidio per iniziare i lavori. Tanti si mettono per traverso, soprattutto coloro che dalla situazione degradata della città traggono profitto, la sua tenacia supera le aspettative.
Nel 1835 quando tutto sembra essere pronto una epidemia di colera invade la città, l’edificio viene sequestrato per accogliere i malati. Don Giovanni li accoglie, li cura e ne contrae il morbo da cui riesce a guarire. Al termine dell’epidemia la città è in ginocchio, lui, la casa che aveva edificato erano pronti ma ci vorranno mesi di lotte contro una burocrazia ingessata ed interessi nascosti, prima di poter aprire l’Istituto dedicato a Santa Maria Maddalena.

Le Figlie del Crocifisso
Nel primo progetto di don Quilici c’era l’idea di coinvolgere nell’opera dell’Istituto le suore di San Giuseppe di Torino, ed iniziarono le trattative.
All’inizio del 1836 alcune giovani che condividevano le passioni e i progetti di don Giovanni si riuniscono e cominciano a fare scuola ad alcune bambine povere. Il Quilici le sostiene, le incoraggia, le guida e gli affida tante “figlioline” che raccoglie per strada. Quando l’anno successivo si saprà che le suore di Torino non potranno venire, don Giovanni, fidandosi della Provvidenza, decide la fondazione di una nuova famiglia religiosa: le Figlie del Crocifisso.
Non fu semplice perché dal Governo non arriva l’autorizzazione, mentre invece si diffondono nuove calunnie, la diffidenza nei suoi confronti sale. Anche la salute sembra compromettere tutti i sogni. Don Giovanni non smette di sognare e di affidarsi alla Provvidenza, finalmente nel 1840 arriva l’autorizzazione granducale e il 13 settembre le giovani ricevono l’abito religioso per le mani del Vescovo. Don Giovanni si mantiene lontano nel silenzio dell’umiltà.
Figlie dilettissime, quale sorte più bella e più stimabile potevate incontrare di quella  di essere chiamate in questo santo Istituto, tutto dedito all'amore di Dio e del prossimo? Quanto è desiderabile il vostro stato di vita da chi comprende cosa voglia dire amare Gesù! In questo amore sta racchiusa infatti la santità dell'anima cristiana. Dunque, essendo chiamate Figlie di Gesù Crocifisso dovete essere sante, e per essere sante dovete essere obbedienti, mortificate, morte a voi stesse per essere tutte vive n Gesù Cristo.
Intanto l’opera corre veloce, la casa si riempie di oltre trecento ragazze: si studia, si prega, si lavora; alcune rimangono per la notte. Presto anche altre giovani si uniscono alle suore per vivere la stessa avventura.

Il clero livornese
Un'altra associazione viene fondata da don Giovanni per il clero della Diocesi, gli “Operai evangelici”. Scopo principale è che preti e vescovo vivano in comunione, rinnovino l’entusiasmo per gli impegni del loro ministero, curino la formazione e si sostengano nelle fatiche.
Comincia a sognare la costruzione di un seminario diocesano; don Giovanni si era preparato al sacerdozio come “chierico esterno” continuando a vivere in famiglia, gli è dunque chiara la necessità di una formazione più adeguata.
Unico mezzo per raggiungere questo indispensabile scopo è la costruzione di un “collegio” che possa accogliere i giovani, sia chierici che laici. I primi per istruirsi nelle scienze ecclesiastiche e divenire così utili alla società, formando dei buoni figli per la Chiesa di Dio e dei cittadini responsabili per lo Stato; i secondi per apprendervi non solo le scienze umane, ma anche le belle arti, oltre alle scienze elementari che si insegnano solitamente in tutte le scuole.
Fu la collaborazione intensa con il Vescovo Cubbe e poi con Gavi che lo portò a compimento che permise la realizzazione del seminario, animatore iniziale e costante fino alla sua morte fu don Giovanni.
La costruzione delle nuove mura viene ad espropriare una parte del terreno già concessa dal Granduca per la costruzione di un Seminario e collegio, mentre un’altra parte restando fuori, perde molto del suo valore.

La parrocchia dei santi Pietro e Paolo
L'evoluzione urbanistica della Città Leopolda vide un nuovo quartiere edificato tra la Porta del Casone (piazza Cavour) ed il mare. In questo nuovo quartiere, a ridosso dei fossi, nel terreno contiguo dove sarebbe sorto l’istitudo della Maddalena, fu anche progettata una nuova chiesa. Don Giovanni ne diventa il primo parroco. Le situazioni di miseria incontrate nella Parrocchia di san Sebastiano sono qui più evidenti. L’azione “religiosa” del Quilici cerca di raggiungere tutti soprattutto i più disagiati, arriva al loro cuore, ne risveglia energie positive, suscita solidarietà.
Verso questa popolazione ho rivolto tutte le mie sollecitudini e sono stato corrisposto in ogni circostanza, con grande benevolenza e affetto, per cui, avendomi i parrocchiani guadagnato il cuore, io avevo già deciso interiormente di separarmi da loro solo con la morte.
Non risparmiò fatiche, giorno e notte, disponibile verso ogni bisogno, non risparmiò parole dure contro i malcostumi, esponendo la sua vita, fu aggredito, denunciato, intanto però si riducevano le situazioni di scandalo, dai bassifondi raccoglieva gli orfani, i bambini abbandonati e le ragazze già avviate alla prostituzione, puntando all’essenziale della carità: la conversione dei peccatori nella misericordia e il perdono.

LO STILE PASTORALE E L'ATTUALITA' DEL METODO

La capacità peculiare di don Giovanni è stata quella di saper osservare ed ascoltare col cuore.
Fin da ragazzo andando a suola dai Barnabiti incontra ogni giorno la città piena di commercianti, affaristi, militari, marinai, venditori ambulanti, mendicanti, vagabondi, condannati portati ai lavori forzati, donne ambigue, ragazzine sfruttate, bambini abbandonati alla miseria e all’ignoranza.
Giovanni Battista partecipa con interesse alla vita della città, consolida la sua mentalità aperta, libera da condizionamenti. Intelligente, creativo, con uno spiccato senso della realtà. Forgia il suo carattere generoso, franco, volitivo, a volte dolce a volte impetuoso ed irruento.
Da prete vive con passione il suo ministero pastorale. Dalla contemplazione del Cristo Crocifisso è spinto sulle strade della sua città alla ricerca dei fratelli nei quali Gesù si è identificato.
Ogni mattina passa ore ad ascoltare le confessioni, a volte dimenticando di pranzare, e poi ancora la sera fina a ora tarda soprattutto i militari.
Dall’ascolto del confessionale scaturisce un bisogno di comunicare misericordia, soprattutto là dove le ferite sono più profonde o diventate cancrena.
Se vogliamo intuire qualcosa del Prete Giovanni Battista Quilici dobbiamo passare attraverso il mistero della Croce di Cristo che è, essenzialmente il mistero della incarnazione; non è chiesto di morire sulla croce, quanto di camminare nella storia portandone il peso, mettendo a rischio se stessi. Don Giovanni Battista Quilici, come discepolo di Cristo, per amore si è sporcato le mani nella storia degli uomini, con gli ultimi e gli esclusi dell’umanità, non avendo paura di perdere la sua vita. Lo si è visto nell’epidemia del colera di cui ha contratto il morbo, ma soprattutto nella condivisione della vita che non ha mai guardato dall’alto in basso, ma come umile servo si è messo al servizio dell’uomo così come era, guardando alle sue necessità umane, sociali e spirituali sia che fosse un condannato ai lavori forzati e detenuto nella Fortezza, sia fosse una “fanciullina” mandata sulla strada a adescare clienti.
Don Giovanni ha davvero messo a rischio la sua reputazione, dileggiato e contrastato da chi aveva il mezzo-potere di influenzare le decisioni della sovrana autorità. Sono stati i commissari, gli ispettori, i giudici, i governatori a passare pareri, a scrivere suggerimenti, non per amore di verità ma per consolidare i propri poteri che derivavano anche da uno status quo degradato della povera città di Livorno all’inizio dell’800. Eppure don Giovanni, fiducioso nella divina Provvidenza, non smette di bussare, di chiedere, di supplicare alle porte del potere, come alle porte di tante persone, sicuro che i suoi sogni, i suoi progetti sono nelle mani di Dio.
Mi recherò personalmente, ogni giorno, a mendicare per tutta la città e sono certissimo che i generosi livornesi sosterranno questa giusta causa con le loro offerte.
Ecco il cuore di don Giovanni, modellato dal cuore degli uomini, scopre il Cuore del Cristo che non si stanca di contemplare, perché tutta la sua vita fosse vissuta per amore di Cristo Crocifisso.

IL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE

Fase diocesana
Maggio 1985 l’Assemblea del Sinodo diocesano di Livorno chiede al Vescovo Alberto Ablondi che venga aperta ufficialmente la causa di Canonizzazione di don Giovanni Battista Quilici (già in “cantiere” dal 1952).
La Congregazione Figlie del Crocifisso si attiva nella raccolta dei documenti  e di quanto necessario.
27 aprile 1992: presentazione del Libello al Vescovo per l’avvio della causa del Servo di Dio
17 giugno 1994: apertura dell’inchiesta diocesana, dopo il Nulla Osta della Santa Sede del 31 gennaio 1994
20 giugno 1998. chiusura dell’inchiesta diocesana
Fase romana
19 novembre 1999: Decreto di validità dell’inchiesta diocesana sulle virtù del Servo di Dio
29 maggio 2013: Consegna della “Positio super virtutibus” alla Congregazione delle cause dei Santi
10 dicembre 2013: Seduta dei Consultori Storici
18 febbraio 2014: Riconsegna Positio con aggiornamenti, per i Consultori Teologi
20 ottobre 2015: Consulta dei Teologi:
1 Marzo 2016: Consulta ordinaria dei Vescovi e Cardinali

3 marzo 2016: Riconoscimento della Venerabilità da parte di Papa Francesco.


Autore:
Don Luciano Cantini

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Aggiunto/modificato il 2015-05-04

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