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Beato Domenico Maçaj Sacerdote e martire

28 marzo

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Mat i Jushi, Albania, 5 febbraio 1920 – Përmet, Albania, 28 marzo 1947

Dedë Maçaj (o anche Gjonaj) fu alunno del Collegio Saveriano di Scutari e proseguì gli studi in vista del sacerdozio a Roma, dove fu ordinato nel 1944. Rientrò in patria proprio agli inizi della persecuzione messa in atto dal regime comunista. Dopo il primo incarico come viceparroco della cattedrale di Scutari, succedette a don Ndre Zadeja come parroco di Sheldija, ma solo per pochi mesi. Impegnato nel servizio militare, venne tenuto d’occhio dai funzionari del partito, che approfittarono di un suo ritardo nel rientrare in caserma per accusarlo di sabotaggio. Venne quindi fucilato senza processo il 28 marzo 1947, a 27 anni. Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, di cui fa parte anche don Ndre Zadeja, è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.



Dedë Maçaj (o anche Gjonaj) nacque nel villaggio di Mat i Jushi, in Albania, il 5 febbraio 1920. Alunno del Collegio Saveriano di Scutari, retto dai padri Gesuiti, completò la sua formazione alla Pontificia Università Urbaniana. Venne quindi ordinato sacerdote a Roma nel 1944. L’anno seguente rientrò in patria, proprio agli inizi della persecuzione religiosa messa in atto dal regime comunista.
Inizialmente viceparroco della cattedrale di Scutari, divenne successore di don Ndre Zadeja, parroco di Sheldija, fucilato il 25 marzo 1945. Pochissimo dopo, venne chiamato al servizio militare, incaricato di fare l’autista di un veicolo sanitario. Tuttavia, i suoi trascorsi a Roma e il suo ruolo di sacerdote lo rendevano sospetto agli occhi dei funzionari del regime.
L’occasione per arrestarlo giunse quando ebbe un incidente col suo veicolo e rientrò in ritardo alla caserma: fu subito accusato di sabotaggio. Torturato per quindici giorni, era quasi irriconoscibile per i suoi commilitoni. Di fronte a tutta la truppa e alla sua stessa presenza, il commissario politico del regime annunciò: «Abbiamo sconfitto dei nemici più forti di voi e dei vostri confratelli e la nostra armata ha ancora dei colpi per traditori come voi».
A quel punto, mentre nella truppa erano presenti soldati fedeli al partito comunista, domandò: «Che merita questa pericolosa spia del Vaticano?». La risposta fu: «Un colpo in testa!». Ricordava terribilmente la domanda di Pilato di fronte alla folla che condannò Gesù alla crocifissione.
Così, senza nemmeno un processo-farsa, spogliato della divisa militare, don Dedë venne messo in catene e condotto davanti al muro delle esecuzioni, con otto soldati pronti a sparare. Cadde in ginocchio e, a mezza voce, cominciò a pregare. Il commissario politico gli si avvicinò per rimproverarlo, ma lui rispose, con voce ferma: «Lasciatemi tranquillo» e riprese la sua preghiera.
Improvvisamente, rivolgendosi al plotone, pronunciò le sue ultime parole con un tono di voce in apparente contrasto con la sua esile figura: «Davanti a Dio alla cui presenza sto per andare e davanti a voi, cari soldati, dichiaro che sono assassinato a causa dell’odio contro la Chiesa cattolica. E lo dico senza amarezza né odio per coloro che mi stanno a fucilare». Infine, con gli occhi al cielo e con un ampio gesto di fronte ai persecutori, gridò: «Viva Cristo Re! Viva il Papa! Viva l’Albania!».
La prima scarica di pallottole sembrò non fargli danno, con stupore da parte dei soldati. Si spostò di un metro circa, sempre continuando a pregare. «È innocente, risparmiatelo!», supplicarono alcuni del plotone, ma gli attivisti del partito comunista urlarono più forte: «Una pallottola in testa! Una pallottola in testa!». Solo a quel punto il sacerdote crollò a terra senza vita; aveva 27 anni.
Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, don Dedë Maçaj è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016. Dello stesso gruppo fanno parte anche don Ndre Zadeja e altri diciotto sacerdoti diocesani.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2016-11-08

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