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Madre Maria Maddalena (Angela Maria Serafina) Barioli Religiosa

Testimoni

Milano, 21 luglio 1784 – 28 febbraio 1863

Madre Maria Maddalena Barioli, al secolo Angela Maria Serafina, fu la restauratrice delle suore Orsoline di San Carlo, ramo ambrosiano della grande famiglia della Compagnia di Sant’Orsola fondata da sant’Angela Merici. Visse in pieno i turbolenti eventi delle espropriazioni dei beni ecclesiastici sotto Napoleone, rimanendo costantemente fedele al desiderio di compiere la propria consacrazione religiosa. Rinunciò consapevolmente alle sue aspirazioni di vita claustrale per dedicarsi all’educazione delle bambine e delle giovani, cercando di mantenersi gioiosa anche in mezzo alle prove. Morì a Milano il 28 febbraio 1863. I suoi resti mortali, deposti nel cimitero milanese del Fopponino, sono andati dispersi dopo lo smantellamento del camposanto stesso.



Infanzia e primi anni
Penultima degli undici figli di Antonio Barioli e Marianna Zucchi, Angela Maria Serafina Barioli nacque a Milano il 21 luglio 1784. Ricevette il Battesimo il giorno seguente nella chiesa, oggi scomparsa, di san Carpoforo a Porta Comasina, attuale Porta Garibaldi. Nella medesima chiesa, a circa dieci anni, fece la sua Prima Comunione.
Trascorse l’infanzia nel calore della famiglia assistendo i fratelli maggiori, amata in particolare dal padre. I furori delle guerre napoleoniche del 1796 e del 1799 rimasero indelebilmente impressi nel suo animo e nella sua salute, da allora divenuta delicatissima.
A quindici anni Serafina, come era chiamata da tutti, aveva ormai formato un carattere volitivo, non privo di qualche scatto nervoso, prontamente perdonato dal padre. Grazie a un’amica, non perse il contatto con la religione: ogni giorno, mentre ancora in casa tutti dormivano, andava con lei a san Carpoforo per la Messa.

Un primo discernimento
Diciottenne, ricevette una proposta di matrimonio. Non sapendo come rispondere e avendo ugualmente stima del matrimonio cristiano, si confidò al proprio confessore. Si udì rispondere, con sua gran gioia: «Per il tuo cuore non ci vuol meno di Dio». Dopo aver molto riflettuto per trovare le parole giuste, lo raccontò al padre, sperando di trovare appoggio. Lui cercò di farla riflettere, puntando sulla sua naturale vivacità, ma poi comprese la sincerità del suo proposito.
I genitori presero tempo e provarono a portarla più spesso in società per farle avere esperienza del mondo che intendeva abbandonare. Per lei, tuttavia, nulla aveva più importanza: chiese quindi loro il permesso di lasciare casa senz’aspettare di compiere ventuno anni e lo ottenne.

Nel monastero di San Giuseppe a Porta Nuova
A causa delle soppressioni dei conventi compiute in precedenza, non fu facile per Serafina trovare il luogo dove consacrarsi. Nel 1804, infine, entrò nel monastero di San Giuseppe a Porta Nuova. Lì alcune vergini consacrate, aderenti al Terz’Ordine di San Francesco, gestivano una scuola esterna, un collegio e una scuola per fanciulle povere. Con la vestizione, Serafina prese il nome religioso di suor Maria Maddalena, in onore della santa ricordata il giorno del suo Battesimo.
Lieta di aver trovato il posto per lei, suor Maria Maddalena si lanciò nell’educazione delle bambine, ma anche in penitenze smodate, che la ridussero in uno stato di salute pessimo. Suo padre, nel visitarla, arrivò a supplicare Dio che prendesse lui anziché lei; non molto tempo dopo, il 17 luglio 1809, morì. Quando si fu ripresa, la religiosa capì che doveva esercitarsi più nelle piccole penitenze quotidiane che in quelle volontarie a colpi di flagello, per poter badare meglio alle sue educande.

Nuova vita a Sant’Ambrogio
La sua vita di preghiera e lavoro educativo subì un improvviso tracollo il 3 settembre 1811: a causa della legge che prevedeva l’incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato, le Terziarie dovettero abbandonare il convento di San Giuseppe e smettere l’abito religioso. I familiari volevano persuaderla a tornare da loro, ma lei era di parere opposto.
A confermarla nella sua scelta fu il confessore della comunità, monsignor Pietro Giglio, uno dei tanti preti ambrosiani fondatori di oratori per la gioventù. Lui stesso si occupò di trovare nella canonica della basilica di Sant’Ambrogio, presso la quale svolgeva il suo ministero, un rifugio per lei.

Tra prove e consolazioni
Le prove non tardarono: dapprima morirono due consorelle, poi la superiora, suor Marta Mariani, si trasferì nel Monastero Maggiore adiacente alla chiesa di San Maurizio, dove alloggiavano altre ex Terziarie. Nel 1824, inoltre, suor Maria Maddalena venne invitata a unirsi alle Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese, che stavano per essere ricostituite. Aveva già preso i contatti con loro recandosi personalmente a conoscerle, quando monsignor Giglio la frenò. «Non sembrava volontà di Dio?», obiettò lei. Con tono lievemente ironico, lui rispose: «Sembrava, ma non era». Non molto tempo dopo, le altre due suore abbandonarono la comunità, lasciandola sola.
L’unico conforto di suor Maria Maddalena era la preghiera, spesso rivolta alla Vergine Maria, venerata col titolo di Madonna dell’Aiuto in un dipinto conservato nella navata sinistra della basilica di Sant’Ambrogio. Proprio di fronte a quell’immagine, nell’agosto 1824, aveva chiesto un segno che indicasse la volontà divina, quando s’inginocchiò accanto a lei una ragazza. Maddalena Mora, così si chiamava, era stata inviata a lei da monsignor Giglio, suo confessore, ed era decisa a restare al suo fianco per sempre.

All’ombra del campanile “dei frati”
Il 29 settembre 1824 le due, cui si era unita Carolina Perego, si trasferirono in alcune stanzette nel vicolo di Sant’Agostino, a lato della basilica di Sant’Ambrogio, proprio accanto al campanile detto “dei frati”. In seguito, fu possibile impiantare un oratorio festivo per le bambine e le ragazze, ricche e povere.
La piccola comunità cresceva col passare degli anni, tanto che suor Maria Maddalena iniziò ad abbozzare un minimo di regola per la vita comune. Quanto a lei, riprese le penitenze di un tempo, ma riusciva a mascherarle con il sorriso. Si svolsero anche le prime vestizioni, anche se non ancora a livello formale, mancando l’approvazione ufficiale ecclesiastica.

Nuovi problemi
Il cammino sembrò interrompersi nuovamente quando una certa signora Pizzagalli lasciò in eredità alle suore una casa, a patto che si costituissero canonicamente entro dieci anni sotto il titolo della Presentazione. A caldeggiare il cambiamento era anche un’ex monaca agostiniana, Giuseppa Marianna Amiconi, che voleva indurre suor Maria Maddalena a seguirla in quella nuova destinazione. Ancora una volta disse sì e ancora una volta si sentì ostacolata da monsignor Giglio, ma finì col dargli ascolto.
Il 9 novembre 1830, a tre mesi dall’ingresso, morì suor Maria Petronilla, novizia che si era distinta per l’entusiasmo con cui aveva abbracciato la vita religiosa. Il mese successivo, la comunità e il collegio furono colpiti da un’epidemia di vaiolo. Non molto dopo, fu il turno di Maddalena Mora, in religione suor Francesca, morta di cefalite.
A peggiorare la situazione, anche monsignor Giglio si ammalò. Convocate le Terziarie al suo letto di morte, le incoraggiò a proseguire l’opera, consegnando loro, come preziosa eredità, i giovani e l’oratorio. Il 13 dicembre 1832, a cinquantacinque anni, lasciò questo mondo.

La visita dell’Arcivescovo
Contrariamente alle più pessimistiche previsioni, le religiose non furono abbandonate. Nell’agosto 1837, anzi, ricevettero la visita dell’Arcivescovo, il cardinal Carlo Gaetano Gaisruck, che voleva conoscerle di persona. Scherzosamente, le definì «mezze monache», ma suor Maria Maddalena gli resse il gioco: «Tocca a Voi, Eminenza, farci monache intere!».
Nel medesimo anno, venne a trascorrere in comunità alcuni giorni di ritiro spirituale una giovane, Marina Videmari, assistita spiritualmente da monsignor Luigi Biraghi, Dottore della Biblioteca Ambrosiana. Suor Maria Maddalena lesse in lei i segni di una genuina vocazione: la vedeva bene come suora di carità, suora maestra o missionaria. Marina, insieme a monsignor Biraghi (Beato dal 2006), fondò successivamente l’Istituto delle Suore di Santa Marcellina, popolarmente dette Marcelline.

A San Michele sul Dosso
Nel 1839 la comunità religiosa traslocò in una sede ancora migliore: l’antico convento di San Michele sul Dosso, nell’attuale via Lanzone, che un tempo ospitava le monache benedettine, poi obbligate ad adottare la regola cistercense.
Improvvisamente, gli accordi per l’acquisto furono troncati: i locali del convento erano occupati dalla Reale Stamperia Austriaca e dalle Guardie di Finanza. Superati, non senza difficoltà, tali dissidi, il 16 dicembre 1841 poteva essere finalmente ufficializzato il trasferimento.

Sulla scia di sant’Angela Merici e di san Carlo Borromeo
Una volta consolidato il luogo, si trattava di dare una forma di vita vera e propria alle sue abitanti. L’idea di monsignor Giglio era stabilire una Compagnia di vergini consacrate, simile a quella istituita da sant’Angela Merici a Brescia e dedicata a sant’Orsola, da cui il nome popolare di Orsoline. D’altra parte, san Carlo Borromeo aveva conosciuto le Orsoline nel corso dei suoi viaggi a Brescia. Apprezzando il loro impegno educativo, le introdusse anche a Milano.
In seguito, alcune Orsoline milanesi, che si erano radunate a vivere insieme, chiesero il riconoscimento della propria forma di vita comune. San Carlo preparò per loro la Regola, pubblicata nel 1584, e le incaricò dell’insegnamento della dottrina cristiana, oltre che di dirigere alcuni collegi o “Conservatori” per le bambine e le ragazze orfane o a rischio.
Tuttavia, dopo più di trecento anni e sempre a causa delle leggi antireligiose del 1810, le Orsoline di San Carlo – così erano note – vennero disperse.

La rinascita delle Orsoline di San Carlo
Il 23 agosto 1843 il cardinal Gaisruck scrisse a suor Maria Maddalena che aveva deciso di restaurare le Orsoline a Milano, a partire dalla sua comunità. Ancora una volta, lei dovette cambiare i suoi piani: sognava infatti chiamare la Congregazione “Serve Minime di Maria e Figlie di San Francesco”. Tutti i dubbi, anche da parte sua, vennero dissipati il 10 novembre dello stesso anno, quando venne autorizzata la custodia del Santissimo Sacramento presso la cappella del convento di San Michele.
Meno di un mese dopo, l’8 dicembre, il Delegato arcivescovile monsignor Turri presiedette alla celebrazione con cui le tredici vergini, inclusa suor Maria Maddalena, mutarono il precedente e provvisorio abito con quello delle rinate Orsoline di San Carlo. L’erezione canonica arrivò il 13 giugno 1844, con una celebrazione presieduta stavolta dall’Arcivescovo. Si racconta che quel giorno, nel giardino del convento, spuntarono esattamente tredici gigli bianchi.

Durante le Cinque giornate di Milano
Le Orsoline di San Carlo divennero ben presto famose in città. Perfino la principessa Elisabetta di Savoia-Carignano, moglie dell’Arciduca Ranieri, vicerè del Regno Lombardo-Veneto, venne a visitarle il 19 ottobre 1844. La gioia più grande per suor Maria Maddalena, tuttavia, non fu quella, bensì il riaccogliere, nel 1845, le due ex compagne che l’avevano abbandonata.
I moti del 1848, che a Milano furono concretizzati con le famose Cinque giornate, videro coinvolte anche le Orsoline di San Carlo, ma a modo loro. Fornirono mobili per le barricate e, allo stesso tempo, moltiplicarono le ore di preghiera davanti al Santissimo Sacramento esposto in cappella e le processioni nel chiostro del convento, con un’antica statua della Madonna. Al culmine del conflitto, suor Maria Maddalena si offrì volontariamente vittima per salvare le consorelle, la comunità e tutto il popolo milanese. Appena scese la notte, il maresciallo Radetzky lasciò la città.

La «Madre Peccatrice»
L’unico titolo onorifico che la restauratrice delle Orsoline di San Carlo accettò fu quello di Reverenda Madre, ma solo per accontentare le sue figlie, che volevano comunque portarle rispetto. Con la sua abituale e umile arguzia, commentava: «Volete darmi un titolo? Chiamatemi Madre Peccatrice!».
Madre Maria Maddalena rivestì l’incarico di Superiora per tre anni, a cui se ne aggiunsero altri tre per mandato dell’Arcivescovo Bartolomeo Romilli. Dal 1853 fu Vicaria della nuova Superiora, suor Maria Felicita Pavia; sei anni dopo, lasciò anche quell’incarico. Progressivamente cieca, trascorse gli ultimi anni di vita intensificando il suo dialogo con Dio e trasmettendo alle giovani suore il metodo educativo che aveva plasmato nel corso della sua esperienza.

La morte
La sera del 22 febbraio 1863 chiese che le venisse mandato il confessore e, dietro consiglio della Superiora, accettò di ricevere la Comunione in forma di Viatico; due giorni dopo, fu la volta dell’Unzione degli Infermi. Chiese continuamente perdono per le proprie mancanze e si accomiatò dalle consorelle con una duplice consegna: che sapessero perdonarsi a vicenda e rispettassero il silenzio.
Morì alle 10 del 28 febbraio, a 78 anni. I suoi resti mortali vennero sepolti presso il cimitero milanese del Fopponino. Quando quel camposanto fu dismesso, i resti di madre Maria Maddalena, contrariamente a quelli di altri personaggi lì sepolti, andarono dispersi.

Le Orsoline di San Carlo oggi
L’opera educativa delle Orsoline di San Carlo, che hanno ricevuto l’approvazione pontificia nel 1915, si è diffusa ben oltre i confini della diocesi di Milano, dove contano presenze nella stessa città (tra cui la casa madre e generalizia, in via Lanzone 53), ma anche a Saronno e Casciago.
Fuori diocesi, hanno case a Roma, Tambre (Belluno) e a Desenzano del Garda. Quando madre Maria Maddalena era ancora viva, erano stati aperti i collegi di Bedero (1851) e Dumenza (1854), oggi non più esistenti. All’estero, invece, esistono quattro comunità in Brasile (di cui una in Amazzonia) e una in Israele, a Gerusalemme.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2018-02-28

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