|
Forino, Avellino, 14 settembre 1920 - Montevergine, Avellino, 25 aprile 2000
Nato il 14 settembre del 1920 a Petruro, piccola frazione di Forino, a pochi chilometri da Avellino, entrò giovanissimo nell’alunnato monastico dell’Abbazia di Montevergine fino a vestire l’abito cenobitico per mano dell’abate Giuseppe Ramiro Marcone. Mite, umile, caritatevole, dotato di profonda spiritualità e sensibilità, ma soprattutto di una fede ardente al punto di divenire lui stesso un riferimento per tutti i confratelli e per coloro che lo incontrarono nel cammino della propria vita. Padre Emilio aveva sempre parole buone per tutti, cariche di dolcezza, di speranza, di comprensione. Per i giovani studenti e futuri sacerdoti, nel tempo che fu rettore del seminario, fu uno straordinario esempio di integrità, di impegno quotidiano e di alta spiritualità. Aveva inoltre una profonda devozione per la Madonna, che lo portava a consumarsi le mani nella recita ininterrotta e quotidiana del Santo Rosario. L'8 febbraio 2020 è iniziata la fase diocesana della sua causa di betificazione.
|
Una esistenza vissuta giorno dopo giorno in totale ispirazione e dedizione e soprattutto in totale obbedienza alla Divina volontà modellata sulla figura della Madonna. Il sì alla chiamata vocazionale di p. d. Emilio è maturata con lo sguardo sempre rivolto alla Vergine Maria e col proposito di prendere su di sé la vita religiosa per seguire Cristo. Per citare papa Francesco: “ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il senso della totalità della sua persona”. (Papa Francesco, Gaudete et exultate, n. 22). La santità non è altro che formare l’uomo. La devozione mariana di P.D. Emilio Maria Colombo è stato un tramite per trovare Cristo Gesù, per amarlo perfettamente e servirlo fedelmente. Il suo desiderio di Ave Maria, di amare la Madre di Dio, gli viene da subito dilatato da una ardente preghiera a Gesù, chiedendo la grazia di partecipare alla comunione che esiste tra lui e la Madre. Insita nella lettura dei suoi scritti, quale direttore del bollettino del santuario, lasciò trasparire questo riverbero, questa voce silenziosa, taciuta e discreta, nascosta, come appunto l’Alma Mater. La sua umiltà, del Servo di Dio, ciò che lo ha contraddistinto per tutta la sua vita, era tutta nella grandezza di Maria che per nascondersi e rendersi povero e umile si teneva nascosto agli occhi di tutti; più si rivelava più era grande ciò che teneva nascosto. Maria è stata per P. D. Emilio una fonte sigillata: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”; le parole del Magnificat anche se non ci faranno mai cogliere la sua immensa sublimità di certo ci aiutano a vivere come ha vissuto d. Emilio che già dagli studi teologici emerge la forte disciplina monastica. Non dubitando e non avendo perplessità dovute al timore che il culto per Maria finisse per compromettere il culto a Cristo non c’è stato mai da parte di d. Emilio questo rischio, comprendendo e predicando che se si vive il mistero di Maria in Cristo si vive il mistero trinitario nella verità dell’incarnazione del Verbo di Dio. Gli anni che precedono la sua formazione sacerdotale e nella vocazione religiosa di benedettino il Servo di Dio attraverso Maria ci fa intuire cosa significasse assomigliare a Cristo Redentore non solo come cristiani, ma ben più intimamente, più perfettamente come persone, invitati e chiamati a partecipare alla sua opera di redenzione in un modo speciale, e le opere di carità spirituali e corporali che ha esercitato con il suo apostolato benedettino risponde ai fini della nostra Congregazione, tutti modi di portare agli uomini che noi avviciniamo la redenzione di Gesù. Fin dai primi anni, dimostra di essere dotato di una preghiera semplice quasi disinteressata, un aspetto del carattere che metterà a frutto in seguito quando, spinto dalla chiamata mariana, non si accontenterà di essere tra i monaci, svolgendo i doveri del suo stato monastico. Padre Emilio starà sempre nella ricerca di comprendere l’uomo e formarlo alla sequela di Maria specialmente negli incontri e conferenze di formazione, sorretto dalla forza della preghiera e dalla totale obbedienza alla regola prende in prestito da Maria di Nazareth il modello e lo stampo. È impossibile, come lui stesso afferma, che una persona possa perseverare nel cenobio se quello spirito non l’ha penetrato fino al midollo dell’anima. Le difficoltà non mancano. Negli anni 52-54 subisce diverse operazioni chirurgiche causandogli malesseri spirituali in cui solo la preghiera diventa ora luce nel suo cuore nella solitudine in cui si trova o nelle tenebre in cui troppo spesso è stato oggetto del maligno. Senza la preghiera, che ha alleggerito il suo cuore dal peso della normale quotidianità, che mette le ali per spaziare con gli angeli e i santi, che fa volare le ore della giornata, questa si presenterebbe interminabile fino a morirne di noia. Questo spirito di preghiera lo teneva abitualmente in un’atmosfera di umiltà soprattutto negli anni in cui parte per il monastero del Sacro Speco come vicemaestro dei novizi, sopportando con rassegnazione lo spirito del vangelo facendosi violenza per cercarsi un posto insostituibile e per creare nel suo cuore le dovute disposizioni alla volontà divina di Dio (Deus resistit superbis, humilibus autem dat gratiam). Possiamo dire che questa sia ciò caratterizzò tutta la sua vita, soprattutto quando è nominato nel 1967 priore e direttore del bollettino del santuario, che lo sarà fino alla fine, cioè la chiara manifestazione della sua umiltà si ebbe proprio come all’inizio, nel suo paese natale, quando egli gettò via gli abiti onorifici scegliendo gli onori dei crocifissi mariani. Nei suoi primi decenni monastici la sua vita fu sempre silenziosa e forse incolore agli occhi del mondo. Egli che poi essendo il direttore del bollettino di Montevergine e che di lettere se ne intendeva come pochi, non ha lasciato un solo rigo che fisasse un segno della sua scienza o un riflesso della sua umiltà. Dalle sue labbra non trapelò nulla della sua vita penitente, tanto che i monaci non seppero lasciarci una sola notizia di riserbo, quando per circa dieci anni è stato confessore delle suore benedettine, espressione evidente di umiltà, volle passare come un’ombra, mosso in ciò da un sentimento, come se avesse acquisito e costituito quale programma della sua vita, la delicatezza, di essere ignorato e reputato per un nulla. L’esempio di umiltà profonda offerto dal nostro Servo di Dio ha spinto tanti a seguire il Divin Maestro, presi da un’ubriacatura di superbia mettendo il mondo al posto di Dio, il padre d. Emilio svolgeva in profondità nell’animo dei fedeli, secondo lo stato di spiritualità di ciascuno facendo scaturire per l’anima e per il corpo elette grazie di ogni bene. In vita il Servo di Dio rifulse per il suo profondo spirito di preghiera, che fu luce in ogni giorno nel cenobio di Montevergine; per la sua incessante mortificazione, che lo accompagnò per tutta la vita; per la sua umiltà e pazienza. La devozione verso la madre di Dio è vista molto bene nel contesto della vita del Servo di Dio e nella devozione a lui tributata dai fedeli. Tanti pellegrini che da ogni parte d’Italia e dall’estero si portano al santuario di Montevergine, lo denotano già come servo di Maria, associandolo alla schietta e vibrata venerazione alla Madonna di Montevergine, della quale lo riconoscono figlio e imitatore singolare. Riflette e sperimenta in sè stesso questo tramutarsi dei cuori induriti di pietra a cuori di carne, unito con Maria il servo di Dio comprende il valore vero delle anime da salvare, per questo diventa nei primi anni di presbitero apostolo di se stesso e intimo operatore della chiesa per la salvezza dei fratelli e dei fedeli. Ecco che si affaccia lo zelo buono, come recita s. Benedetto nella RB 72, in quanto proprio nell’incarnazione dell’amore lo vediamo svolgersi nella carità nel santuario mariano di Montevergine. Si tratta dell’umiltà intrinseca al vero amore perché presuppone il cuore giustificato e arricchito della grazia santificante. Espressione caratteristica di questo stato di animo del servo di Dio la vediamo nella costanza con cui perseverò per sessant’anni in quel tenore di vita cenobitica, per questo contemplativa, che egli seguì nel santuario di Montevergine, la pace con cui il servo di Dio non amava parlare di se, perché sapeva che il bene non fa rumore, ma proprio questo silenzio diventa quanto mai eloquente per farci comprendere la ricca vita interiore del servo di Dio. La vita monastica, benedettina, è un cammino verso Dio, un’ascesa austera e faticosa, ma dove lo sforzo quotidiano, sostenuto dalle promesse divine, già si illumina del possesso oscuro ancora ma certo di Colui verso il quale noi tendiamo con tutte le forze.
|
Fonte:
|
|
www.santuariodimontevergine.it
|
|