Pioniera e apripista dell'ecumenismo italiano a partire dal dialogo con l'ebraismo, ha svolto un ruolo fondamentale nel cammino di riconciliazione tra le Chiese, ancora prima del Concilio Vaticano II. Molto vicina a Giovanni XXIII sin dai tempi in cui era patriarca a Venezia, è stata la fondatrice del Sae (Segretariato attività ecumeniche) associazione laica e interconfessionale tuttora molto presente e attiva. Simbolicamente, Vingiani è morta alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, e nel giorno che la Chiesa italiana dedica all’approfondimento della conoscenza dell’ebraismo. Di seguito l’intervista che ci rilasciò in occasione dei suoi 90 anni. "Con la scomparsa di Maria Vingiani - scrive il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana -, la Chiesa perde un testimone appassionato del cammino ecumenico, del quale ella è stata tra i più coraggiosi e dinamici pionieri, con uno sguardo sempre rivolto al domani, con una straordinaria capacità profetica di leggere il presente per incoraggiare cristiani e cristiane a trovare sempre nuove strade per vivere insieme il dono della fede, senza abbandonare la propria tradizione confessionale".
È affascinante ma non facile ascoltare Maria Vingiani. Il suo racconto pulsa di storia viva, come un fascio di luce calda che illumina il cammino, impervio ma fondamentale, di riconciliazione tra le Chiese. Non è facile perché al coraggio, alla passione ecumenica, fanno da contraltare una grande riservatezza e la poca, pochissima voglia di mettersi in mostra. «Mi affido alla sua sobrietà – ripete durante l’intervista –. Io in fondo non ho fatto nulla».
Gli archivi storici la pensano diversamente. Maria Vingiani, novant’anni domani, è stata tra i grandi protagonisti dell’ecumenismo italiano, e non solo. Un impegno, una vocazione che fino alla prima metà del secolo scorso, erano considerati manie da pionieri, per di più guardati con sospetto. Nell’Italia delle Chiese divise, la separazione era elemento d’urto, di lotta. Un retaggio che qualche analista un po’ malevolo vede riaffiorare, magari solo in embrione, nella stagione delle identità rivendicate, della spaccatura sui valori non negoziabili, della paura verso lo straniero che preme ai confini.
«Oggi le diversità sono riconciliate, nello Spirito – sottolinea Maria Vingiani –, però sarebbe stato da ingenui immaginare che l’etica fosse il terreno sul quale avremmo avuto meno problemi. In realtà è quello che presenta maggiori difficoltà. Diciamo che bisogna accentrarsi sulle cose che condividiamo: la fede, la vita fondata sulla Rivelazione, sul Battesimo, per testimoniare insieme una grande apertura all’alterità. Dobbiamo essere molto attenti a non disperderci nel molto, nel troppo diversificato, a tenere stretti i legami acquisiti e anche a realizzarne di nuovi, per mettere i nostri valori al servizio di tutti, con cuore aperto, in un sentimento maturo di fraternità».
Servono fede, coraggio, preparazione. Un bagaglio che si acquisisce alla scuola del Vangelo con l’alimento della preghiera e – oggi – il supporto del Vaticano II. Non è stato sempre così. Anzi, nella Venezia preconciliare la regola era il sospetto. Nella piccola cornice del centro storico c’era spazio per una vasta pluralità di Chiese cristiane: valdese, metodista, luterana, anglicana, greco ortodossa. Unite nell’annuncio dello stesso Cristo e nella proclamazione del medesimo Vangelo anche con la Chiesa cattolica, verso cui il clima era però di costante polemica. Contraccambiata.Uno choc per la Maria Vingiani poco più che adolescente. «Dov’era la coerenza evangelica? Dove la verità, dove l’errore? – si domanda nella memoria storica Una esperienza di ecumenismo laicale. Poteva nascerne un disorientamento o una contestazione ma ne venne, grazie a Dio, una vocazione».
Una presa di coscienza che, quando già l’ecumenismo sarà diventato scelta, troverà slancio e forza dall’incontro con l’allora patriarca Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII. A favorire la sintonia, il ruolo istituzionale svolto da Maria Vingiani, giovane assessore alle Belle Arti di Venezia. «Molto spesso – ricorda – mi capitava di chiamare il suo segretario monsignor Capovilla, per chiedergli di poter incontrare il patriarca. E insieme si andava a vedere la parte da restaurare, la fessura da cui entrava l’acqua. Volevo che fosse convinto degli interventi da effettuare».
Tra i tanti meriti di quell’autentico uomo di Dio – aggiunge Vingiani – si deve a Roncalli, con la lettera pastorale del 1956 per il V centenario della morte di san Lorenzo Giustiniani anche la riconsegna della Parola di Dio, tutta la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, di cui si sollecitava la lettura non solo pubblica nella liturgia, ma personale e familiare. Uno sconvolgimento cui sarebbe presto seguita la rivoluzione del Concilio. Comprendendone la portata, Maria Vingiani lascerà Venezia e si trasferirà a Roma abbandonando la carriera politica per servire la causa dell’unità.
Sarà lei a favorire l’incontro tra Giovanni XXIII e lo storico francese di origine ebraica Jules Isaac, fondamentale per il cammino sfociato nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate.In lei, nel suo impegno, si manifestava così, in modo evidente, il legame inscindibile tra ecumenismo e dialogo con l’ebraismo. «Mi era ormai chiaro – scriverà – che l’unica vera grave lacerazione era alle origini del cristianesimo e che, per superare le successive divisioni tra i cristiani, bisognava ripartire insieme dalla riscoperta della comune radice biblica e dalla valorizzazione dell’ebraismo».
C’è in questa consapevolezza una delle grandi novità del Segretariato attività ecumeniche (Sae) il cui cammino non a caso si svolge a «partire dal dialogo ebraico-cristiano». L’altra peculiarità, un vero e proprio unicum, del movimento interconfessionale fondato da Maria Vingiani, è il suo carattere assolutamente laico. «Una scelta che comporta autonomia totale, anche economica, per favorire un percorso nuovo di incontro, dialogo, formazione e quindi poi l’intesa, la collaborazione e la comunione». Tuttavia laicità non significa per il Sae distacco o – peggio – rifiuto dei vertici ecclesiastici. Lo testimoniano i consulenti dell’associazione, la partecipazione dei suoi membri alle attività pastorali delle Chiese, i nomi (sempre di spicco) dei relatori alle sessioni estive di formazione, il contributo dato ai frutti più importanti del dialogo nel nostro Paese. Dall’istituzione della Giornata dell’ebraismo, alla traduzione interconfessionale della Bibbia, dalla pubblicazione del Testo comune e del Testo applicativo per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti, alla nascita del CeDoMei, il Centro di documentazione del movimento ecumenico italiano.
«Abbiamo vissuto anni di grande passione – sottolinea Vingiani – in cui bisognava sempre combattere, sperare, chiarire. Ogni volta c’erano battaglie da vincere, muri da far cadere, separazioni da trasformare in cammino di incontro, di riconciliazione. Oggi invece – continua – l’ecumenismo corre il rischio della tranquillità. Sembra che sia tutto normale, quasi scontato, mancano salti di qualità. Il pericolo è che la normalità sfoci nell’indifferenza». Malgrado i risultati acquisiti, oggi come all’inizio del cammino, nel bagaglio dell’impegno ecumenico la tiepidezza è un peso inutilmente ingombrante. «Occorre una grande passione, un grande amore per i nostri fratelli, nel senso di un’autentica fraternità. Bisogna puntare sul Vangelo, valorizzare al massimo la Bibbia. Io però – conclude Maria Vingiani – non ho fatto nulla, a lavorare sono stati la fede, l’esperienza e la grazia di Dio».
Autore: Riccardo Maccioni
|