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> Home > Sezione T > Beata Teresa di Sant'Agostino (Maria Maddalena Claudina Lidoine) Condividi su Facebook Twitter

Beata Teresa di Sant'Agostino (Maria Maddalena Claudina Lidoine) Vergine carmelitana, martire

17 luglio

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Parigi, Francia, 22 settembre 1752 - 17 luglio 1794

La beata Teresa di sant'Agostino apparteneva alla comunità delle Carmelitane Scalze che si era stabilita a Compiègne (Oise, Francia) nel 1641. Quando scoppiò la Rivoluzione francese le monache rifiutarono di deporre l'abito monastico. Tra il giugno e il settembre 1792, quando la situazione stava precipitando, seguendo un'ispirazione avuta dalla priora, Teresa di S. Agostino, tutte le monache si offrirono al Signore in olocausto. Furono beatificate da San Pio X il 13 maggio 1906.



Il monastero delle Carmelitane Scalze di Compiègne, nell’Oise (Francia), prosperava per la regolare osservanza e la fedeltà alla riforma introdotta da S. Teresa di Gesù (+1582), quando scoppiò il turbine della rivoluzione francese. Era governata dalla priora Madre Teresa di Sant’Agostino, nata a Parigi il 22 settembre 1752 dalla famiglia Lidoine, profondamente cristiana, ma povera. Chi aiutò la loro primogenita Maddalena Claudina a entrare nel carmelo di Compiègne (1773) fu Madama Luisa di Francia, che era entrata nel carmelo di St.-Denis per ottenere la salvezza eterna a suo padre, il re Luigi XV.
La beata, che il giorno della professione religiosa prese il nome di Suor Teresa di Sant’Agostino, si formò alle austere virtù della vita carmelitana con tanta serietà che, dopo dieci anni di vita religiosa, meritò di essere eletta priora (1787). Suor Maria dell’Incarnazione, sfuggita al massacro, scrisse di lei: "Esigentissima con se stessa, mortificata ad oltranza, era molto attenta ai bisogni delle consorelle, possedendo il segreto di fare passare le privazioni che s’imponeva come necessario alla propria salute". Rieletta allo scadere dei tre anni, continuò a svolgere le sue funzioni con straordinaria abilità fino a quando fu chiamata a dare a Dio la suprema testimonianza di amore.
Allo scoppio della rivoluzione francese la vita al Carmelo di Compiègne si svolgeva secondo il solito ritmo. Le monache si volevano bene nonostante le inevitabili difficoltà derivanti dalle diversità di temperamento e di educazione, e si sforzavano di servire con generosità il Signore. La priora, che possedeva la capacità di evitare gli eccessi, all’occorrenza sapeva pacificare, incoraggiare, consolare. Le principesse della corte e le dame della più alta nobiltà potevano essere introdotte nel monastero senza che le religiose corressero il pericolo di risentirne danno spirituale. In quel tempo esse coltivavano una grande devozione ai cuori di Gesù e di Maria, e la propagavano all’esterno con scapolari e immagini. Madre Teresa aveva capito che tale devozione costituiva la base di tutta la vita inferiore e la sorgente del vero zelo.
Dopo la soppressione del sistema feudale, dei privilegi di classe e dei beni del clero (1789), l’Assemblea Costituente soppresse pure gli Ordini e le Congregazioni religiose, fatta eccezione di quelli che servivano all’assistenza degl’infermi, all’educazione della gioventù e al progresso delle scienze. Quando la Priora del Carmelo di Compiègne ne ebbe notizia, si abbandonò fiduciosa nelle mani di Dio. Il 4 agosto 1790, un prete traditore, il cittadino di Pronnay, membro del direttorio del distretto, si presentò al convento per procedere all’inventario dei beni della comunità conforme agli ordini impartiti dalla Costituente. Il giorno dopo, nella sala grande del monastero, le religiose furono invitate a deporre l’abito e ad abbandonare il locale. Tutte le religiose, interrogate ad una ad una, rigettarono l’invito con espressioni tali che ne rivelarono la grandezza d’animo e l’attaccamento alla vita religiosa.
Un secolo prima, una carmelitana di Compiègne, Suor Maria Elisabetta, morta in concetto di santità (1720), aveva visto in sogno un gruppo di religiose salire al ciclo rivestite del loro mantello bianco, con in mano una palma.
Durante le "licenze" pasquali del 1792 le carmelitane, parlando della triste situazione della Chiesa in Francia, si domandavano se il cielo non riservasse loro la gloria del martirio. Madre Teresa, costatando come ogni giorno più quel desiderio andava prendendo corpo nella comunità, concepì l’idea di offrirsi in olocausto a Dio per placarlo e ottenere che la pace fosse resa alla Chiesa e allo Stato. L’offerta fu fatta con entusiasmo da tutte le religiose. Soltanto due anziane monache non ebbero il coraggio di pronunciarsi per lo spavento che incuteva loro la ghigliottina, ma la sera stessa andarono a gettarsi, piangendo, ai piedi della loro Priora per chiederle perdono e la grazia di essere associate all’atto di oblazione che fu poi, ogni giorno, rinnovato da tutte con molta convinzione.
Il 12 settembre 1792 le carmelitane ricevettero l’ordine di lasciare senza indugio il monastero. Che fece allora la previdente Priora? Affittò nella parrocchia di Sant’Antonio quattro case e vi si trasferì con le sue religiose in abiti borghesi. Il cibo veniva preparato nella casa in cui dimorava la Priora con quattro consorelle più anziane, e portato alle altre da due suore. Costoro servivano da intermediarie tra la superiora e le suddite così che tra loro era conservata l’unità di spirito, di sentimenti e anche di condotta. Le religiose avevano contatti con diverse signore della città le quali si industriavano di aiutarle procurando loro dei piccoli lavori. Per fare fronte alle proprie quotidiane necessità esse ricamavano pure scapolari e dipingevano immagini del S. Cuore.

 

Madre Teresa sapeva che gli spioni stavano in agguato e sorvegliavano le sue mosse. Cercò quindi di sottomettersi alle leggi che non offendevano la religione, dopo la caduta della monarchia prestò il giuramento di Libertà-Uguaglianza con le sue figlio spirituali, si fece rilasciare un certificato di civismo e pagò le tasse che lo stato esigeva. Peggiorando la situazione per opera degli elementi più estremisti, i quali nel settembre del 1792 condannarono a morte circa 1.400 persone, tra cui 223 sacerdoti, diversi parenti delle carmelitane le supplicarono di ritornare in famiglia. La Priora le lasciò libere di fare quello che ritenevano più opportuno, ma quasi tutte rimasero al loro posto. Alcune risposero ai loro cari che "non avevano nessun gusto per il martirio, ma che sarebbero state molto liete di avere la certezza di soffrirlo piuttosto di rinnegare il più piccolo articolo della fede".
A lungo andare la stessa regolarità di vita di quei vari gruppi di carmelitane, che si conformavano il più fedelmente possibile all’orario della vita claustrale, finì con il destare il sospetto dei Giacobini della città. Essi le denunciarono al comitato di salute pubblica come persone che "facevano ancora parte di una comunità, intervenivano a riunioni sospette e intrattenevano con i fanatici di Parigi una corrispondenza criminale". Il 21 giugno 1794 fu ordinata una perquisizione. I commissari fecero circondare da soldati gl’immobili occupati dalle religiose ed eseguirono l’ordine. Vi trovarono oggetti che parvero ad essi gravemente compromettenti: una reliquia di S. Teresa d’Avila; delle lettere in cui si parlava di preti, di novene, di direziono spirituale; delle immagini e un cantico al Sacro Cuore di Gesù. Quelle carte, considerate allora come "un segno di legame con i cospiratori" le misero in grande pericolo.
Tre giorni dopo le carmelitane furono rinchiuse nel monastero della Visitazione, trasformato in carcere. Tra tante amarezze Madre Teresa di Sant’Agostino ebbe la gioia di ritrovarsi in mezzo alle sue figlie e di riprendere con loro la vita di comunità. Avendo saputo che il vescovo di Compiègne aveva condannato il giuramento di Libertà-Uguaglianza, la Priora volle ritrattare il suo. Fece chiamare il sindaco e gli disse: "La nostra coscienza è al di sopra di tutto, e noi preferiamo mille volte morire che restare colpevoli di un tale giuramento".
Il 12 luglio 1794 il comitato rivoluzionario, scortato da gendarmi e da soldati, andò ad annunciare alle Carmelitane che dovevano essere trasferite a Parigi alle due pomeridiane. Non avendo ancora terminato di fare il bucato ed essendo al momento del pranzo, la maestra delle novizie, Madre Enrichetta, chiese una dilazione alla partenza, ma il sindaco le rispose: "Va, va, ne tu ne le tue compagne avete bisogno di qualcosa. Sbrigatevi a scendere perché le vetture vi attendono nel cortile". Lasciate un momento sole, le carmelitane ne approfittarono per abbracciarsi e animarsi vicendevolmente al martirio. Si lasciarono quindi legare le mani dietro la schiena e issare su due vetture fornite di paglia tra i battimani e gl’insulti della plebaglia presente. Dopo aver viaggiato tutta la notte, giunsero alla Concièrgerie di Parigi verso le tre pomeridiane del giorno seguente, scortate da due gendarmi e nove soldati. Le carmelitane scesero dalle vetture nel cortile della prigione tra una folla vociferante. Solamente l’ottantenne Suor Carlotta, che in tempi normali aveva bisogno di una stampella per camminare, rimase esitante davanti alla consorelle rattristate e impotenti a recarle aiuto. Vedendo il suo imbarazzo, alcuni subalterni saltarono sulla vettura, l’afferrarono con ira e la gettarono a terra con violenza. Quando si alzò, la poveretta grondava sangue dal viso. Anziché adirarsi, tra la meraviglia generale disse ai carnefici: "Credetemi, non vi porto rancore, anzi vi sono riconoscente perché non mi avete uccisa. Se fossi morta a causa vostra, sarei stata sottratta alla gloria e alla felicità del martirio… che le mie consorelle ed io osiamo sperare dall’infinita bontà del Redentore".
Anche alla Concièrgerie le carmelitane continuarono ad osservare la loro regola come poterono e a cantare l’ufficio. Ormai non avevano più alcun dubbio sulla sorte che le attendeva, e si prepararono ad affrontarla con coraggio. La vigilia della festa della Madonna del Carmelo, loro patrona, a Madre Enrichetta venne l’idea di comporre alcune strofe, esprimenti il desiderio del martirio, servendosi di pezzettini di legna bruciati che un detenuto le aveva fatto avere attraverso lo sportello del carcere. Costui, rimesso in libertà, dichiarò di averle udite tutte le notti recitare il loro ufficio e di avere notato come la vigilia della loro morte fosse stato un giorno di grande festa per esse.
Il 17 luglio le Carmelitane furono condotte nella sala della libertà, dove l’anno precedente era stata condannata a morte la regina Maria Antonietta. Il giudice rinfacciò loro l’attaccamento alla monarchia, ma la Priora obbiettò: "Voi non potrete mai strappare dal nostro cuore l’attaccamento a Luigi XVI e alla sua augusta famiglia. Le vostre leggi non possono proibire questo sentimento; esse non possono estendere il loro dominio sugli affetti dell’anima. Dio, Dio soltanto ha il diritto di giudicarli!".
Furono biasimate per avere nascosto delle armi per gli emigrati, ma a quella calunnia Madre Teresa estrasse da sotto le vesti un crocifisso e, mostrandolo al presidente del tribunale, gli disse: "Ecco, cittadino, le sole armi che abbiamo sempre avuto nelle nostre case; nessuno riuscirà mai a provare che ne abbiamo avuto delle altre". Furono accusate di avere rifiutato il giuramento di Libertà-Uguaglianza, di avere conservato delle relazioni tra loro e continuato a condurre una vita fanatica e quindi di cospirazione contro la repubblica. La Priora, per salvare le suore esterne che portavano le sue missive alla posta, disse: "Se questa corrispondenza è un crimine ai vostri occhi, questo crimine riguarda me sola; non può essere il crimine della comunità alla quale la regola proibisce qualsiasi corrispondenza… senza il permesso della superiora… Se dunque avete bisogno di una vittima, eccola: me soltanto dovete colpire, essendo le mie religiose innocenti". Quindi supplicò: "Di che cosa accusate voi queste povere figlio? Esse ignoravano il contenuto delle lettere e non conoscevano il luogo in cui le spedivo". Il presidente del tribunale se l’ebbe a male e le rispose gridando: "Taci tu; il loro dovere era di informare la nazione!". Ogni discussione era inutile perché il cancelliere aveva già preparato in anticipo i documenti occorrenti per il carceriere e i conducenti delle carrette o"tombe rotolanti", come le chiamavano. Le sedici carmelitane furono condannate da giurati ad essere decapitate entro le ventiquattro ore. Madre Enrichetta, udendo più volte pronunciare dalla corte la parola "fanatismo", ne richiese la spiegazione. Le rispose il presidente: "Per fanatismo intendo il vostro attaccamento a credenze puerili, le vostre sciocche pratiche di religione". Essendo condannate a morte per il loro attaccamento alla fede, le religiose sentirono il bisogno di ringraziare i membri della corte della felicità che procuravano loro. La Priora, per tenere alto il morale delle sue figlio spirituali fino alla fine, vendette una pelliccia ormai superflua per procurare loro il conforto di una tazza di cioccolata. Quel giorno i condannati a morte salirono a quaranta. Furono tutti fatti montare sulle carrette e pigiati come sardine gli uni contro gli altri. Le carmelitane presero subito a salmodiare il Miserere e poi cantarono la Salve Regina. Nessun grido ostile salì contro di loro dalla folla. Quel corteo era ben differente dagli altri. Nel passare davanti alla chiesa, oggi detta di San Paolo, nel sobborgo di Sant’Antonio, ricevettero l’assoluzione che alcuni preti, rivestiti di "carmagnola", solevano dare ai condannati a morte. Avvicinandosi alla piazza della Nazione su cui era stata eretta la ghigliottina, le carmelitane intonarono il Te Deum. Discendendo dalle carrette, tra il mesto silenzio della folla, le martiri cantarono il Veni Creator Spiritus, rinnovarono le promesse battesimali e la professione religiosa senza che alcuno dei presenti desse segni d’impazienza. Uno spettatore esclamò: "Ah, le buone anime! Scommetto che saliranno direttamente al cielo… oh, sì".
Madre Teresa chiese ed ottenne di essere ghigliottinata per ultima. La prima ad essere giustiziata fu una novizia, Suor Costanza, la quale s’inginocchiò ai piedi della Priora e le chiese il permesso di andare alla morte. Poi baciò la statuetta della Vergine che costei le aveva sporto, e salì in fretta i gradini del patibolo cantando il Laudate Dominum, che le consorelle continuarono. La stessa scena si rinnovò per le altre vittime. Suor Anna Maria di Gesù Crocifisso disse ai carnefici che l’aiutavano a salire sul patibolo: "Miei amici, io vi perdono di tutto cuore e desidero che Dio vi perdoni". La Priora, che era rimasta sola a cantare, quando venne il suo turno gettò via la statuetta della Vergine, poi salì svelta sul patibolo, lordo di sangue, desiderosa di raggiungere nella gloria del paradiso coloro che l’avevano preceduta. Erano le cinque pomeridiane quando le carmelitane furono giustiziate.
La folla assistette al loro martirio senza dire nulla. Neppure i tamburi rullarono come al solito. I corpi delle vittime furono trasportati in una cava di sabbia a circa un chilometro di distanza, divenuta in seguito il cimitero di Picpus. Sul muro che circonda la fossa comune si trova una lastra di marmo che porta il nome delle sedici carmelitane di Compiègne, con la data del loro martirio e questa breve iscrizione: "Beati qui in Domino Moriuntur".
Il sacrificio di coloro che si erano generosamente offerte in olocausto "per la pace della Chiesa e della Francia" non fu vano. Infatti, dieci giorni dopo il loro martirio, con la morte di Robespierre, cessò la tormenta che per due anni aveva mietuto vittime un po’ su tutto il territorio francese.
Le sedici carmelitane di Compiègne furono beatificate da S. Pio X il 27 maggio 1906.


Autore:
Guido Pettinati


Fonte:
www.paginecattoliche.it

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Aggiunto/modificato il 2021-09-02

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