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Fra' Luigi (Antonio) Ferrero

Testimoni

1902 - 1997


Si chiamava con uno di quei cognomi tipici italiani, quel Ferrero che ai bimbi d’oggi ricorda solo la Nutella, ma Antonio Ferrero lo abbandonò, insieme al nome, diventando frate Luigi, ma sempre e per tutti fra Luis.
Antonio era nato sabato 12 aprile del 1902, a Mango (Cuneo) da Giuseppe e da Margherita Vacca, in una umile casa di agricoltori ed aveva due sorelle e sei fratelli. La primogenita, Clara Maria (18.5.1890 + 2.11.1972) nata in regione Rovaldo, entrerà nel 1914 tra le suore della Congregazione di San Giuseppe Cottolengo con il nome di Suor Nazianzena del Santo Volto. Al Cottolengo sarà ricordata come “… piccola e minuta da sembrare una bambina, ma con tanta buona volontà continuò la sua opera di bene fra i nostri Poveri e per parecchi anni fra le Suore ammalate dell’Infermeria. Le degenti ricordano la sua semplicità a volte infantile e, particolarmente, la sua premura, la sua carità per tutte e per ciascuna. Quanti passi, quante corse per arrivare a soddisfare or l’una or l’altra operata, per portare un cordiale, un po’ d’acqua fresca! Da tutte fu sempre benvoluta. La preghiera era il suo respiro, alla preghiera comune correva felice e poi pregava sul lavoro e, nei momenti di relativa calma, si appartava dietro a un letto con la corona in mano, attenta al minimo richiamo delle ammalate”.
Poi nasceranno Carlo, detto Carlinet, il 2.2.1892, in località Verlossa, Mario il 9.7.1893, Giuseppe il 6.7.1895, Luigi l’8 maggio del 1897, disabile ricoverato nel 1954 al Cottolengo a Torino, Maria Teresa Matilde il 9.4.1899, che diventerà suora anche lei, Giovanni Ermenegildo il 12.4.1905 e infine Agostino il 12.8.1907.
Dapprima la famiglia Ferrero si era sistemata in regione Rovaldo, poi in località Verlossa e nel 1893, aumentando i componenti, in una cascina più grande in località Navirotto, sempre nella zona del comune di Mango. Purtroppo la morte del padre in giovane età recherà dei problemi finanziari ai figli e mentre le due sorelle diventeranno suore e Antonio frate, i restanti fratelli lavoreranno dai loro parenti, come Carlinet, nella famiglia di Laura Bera. Sin da giovanissimo il futuro fraticello lavorerà anche lui per la famiglia di Stefano Marchisio e di Palmina alla cascina Assè di Coazzolo (Asti), che si trovava al confine con il suo paese nativo di Mango e che per lui divenne la sua seconda famiglia. Veniva ospitato in una cameretta semplice come lui, cenava con loro con quello che c’era perché per il pranzo era consuetudine portarsi qualcosa nei campi, dove lavorava da mattina a sera andando sovente a dormire vestito per potersi alzare presto al mattino e incamminarsi tra quei vigneti dove veniva prodotto un ottimo vino moscato.
Era stato esonerato dal servizio di leva in quanto la sua altezza non superava il metro e cinquanta e ironicamente raccontava anche che se i centimetri l’avevano salvato dal fare il militare non sarebbe scappato all’imposta sul celibato, quel tributo in vigore in Italia durante il periodo fascista che si applicava alle persone non sposate di sesso maschile e allora gli conveniva andare a farsi frate, ma in realtà il buon Dio aveva già messo gli occhi su di lui come prima alla sua amata sorella.
Antonio da giovane amava il pallone elastico, detto anche palla pugno, gioco tipico del cuneese, partecipando alle funzioni domenicali con un parente del padre che faceva anche da mezzano per il parroco.
Nel 1933, a 31 anni, inizierà la sua nuova vita nel noviziato francescano grazie all’aiuto economico ricevuto dalla famiglia Marchisio e, dopo un anno, il 23 ottobre del 1934, emise la professione religiosa nell’Ordine Francescano dei Frati Minori con il nuovo nome di frate Luigi, in onore del fratello disabile.
Fu addetto alla questua e per ben 43 anni passò di paese in paese, da principio a piedi, poi in bicicletta e infine in motorino passando di casa in casa, nei paesi e nelle cascine, non dimenticando mai di fare un saluto ai tanti negozianti ed accettando con il suo semplice sorriso offerte, oggetti e talvolta scherzevoli battute e in cambio consegnava sempre una medaglietta o una immaginetta.
Sovente si portava dietro alla bicicletta un carrettino che partendo vuoto da Belmonte ritornava pieno verso sera e su per quelle erte salite che lo riportavano al Santuario era più bravo di Coppi e di Bartali messi assieme, ma forse c’era qualcuno di “Quelli che stanno in Alto” che lo aiutavano a pedalare o che gli riempivano il serbatoio del motorino con “la miscela dell’Amore”.
La questua è un grande atto di fraternità, di condivisione, di spartizione di beni e di raccolti con l’ansia del bussare a porte che talvolta non si aprivano, ma dalle quali Fra Luis ripassava sicuramente la volta dopo, facendo fare delle opere buone anche ad incalliti mangiapreti e molti di quei beni raccolti venivano poi dati a quei tanti poveri che bussavano alla porta del Convento.
Andava spesso a trovare la famiglia Marchisio, che lo attendeva sempre con gioia, con quei piedi scalzi infilati nei sandali malridotti e con quel saio consumato e ancora una volta toccava a questi suoi carissimi amici dargli una mano anche se quel tessuto del saio, come diceva sempre lui, era del tempo della Prima guerra e non si sarebbe mai consumato. In molte famiglie del Canavese era atteso come un lontano parente che passava a trovare senza mai fermarsi a mangiare un boccone perché aveva sempre mille cose da fare e anche perché tornando al Santuario avrebbe dovuto ancora lavorare nell’orto, nel bosco attiguo e a darsi da fare per pulire i viali.
Si diceva che la gente andasse al Santuario di Belmonte non tanto per la Madonna, ma soprattutto per fra Luis e per il Pozzo di San Patrizio, dove gettando una monetina si pescavano degli oggetti vari, tra quelli che erano stati offerti nella questua. La domenica 5 aprile 1992 il santuario di Belmonte lo festeggiava per i suoi 90 anni e c’erano tanti suoi amici, ma soprattutto i suoi primi benefattori, i discendenti della famiglia Marchisio, il signor Pierino con la moglie e sua figlia Celeste con la famiglia. Verrà ricoverato per un ictus nell'infermeria dei frati minori del convento di San Bernardino, a Torino e il 12 marzo del 1997, a 95 anni, Fra Luis smetterà di lavorare con umiltà, serenità e letizia per il Buon Dio ed andrà a riposare nel suo Santuario di Belmonte. Il 2 giugno 1988 a quel piccolo frate “minore” venne conferita, su proposta del ministro Carlo Donat-Cattin, l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana.
Sicuramente quel giorno avrà pensato che dopo la bicicletta e la moto stavolta gli regalavano anche un cavallo per continuare a fare la questua, ma per “quell’Anima Pura di un santo sulla terra” stava arrivando il tempo di cavalcare tra le nuvole del Paradiso e finalmente con gli angioletti che non sarebbero stati sicuramente più alti di lui.


Autore:
Alberto Serena


Fonte:
La Sentinella del Canavese

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Aggiunto/modificato il 2022-12-02

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