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Pont Canavese, Torino, inizio XVII sec. - Tripoli, Libia, 22 settembre 1654
Giovanni Battista Bonetti (o Bonetto o Bonatto) nacque a Pont Canavese. Entrò tra i FrancescaniRiformati a Torino, nel 1635. Passò poi al convento di Piobesi. Era piccolo di statura, macilento in volto e modestissimo negli occhi. Ordinato sacerdote fu inviato a predicare ai “Mori d’Africa". A Tripoli confutò apertamente i Musulmani. Ma venne arrestato e condannato al martirio tra aspri tormenti. Il 22 settembre1654 spirò, invocando per tre volte il nome di Gesù e Maria. Il suo corpo, legato alla codadei cavalli, venne trascinato per le vie, infine bruciato pubblicamente su un gran rogo. Un cavaliere di Malta, presente all'esecuzione, affermò di aver visto la notte successiva, il Beato in Cielo, con le mani giunte e circonfuso di luce celestiale.
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Oggi, 22 settembre, ricorre la memoria liturgica di uno dei tanti martiri, uccisi in odium fidei, che hanno costellato la storia del Cristianesimo e della Chiesa Cattolica. Si tratta del francescano Giovanni Battista Bonetto/Bonetti o Bonatto (non c’è concordia sul cognome tra le fonti consultate), nato nel primo Seicento in una borgata di Pont Canavese, nella Valle di Locana (oggi Valle Orco), chiamata “Truch d’ij Bonèt”, posta su un roccione a dominio del fondovalle. Il Bonetto, descritto come “piccolo di statura e modestissimo negli occhi”, dalla salute cagionevole, entrò nel 1635 tra i Francescani Riformati, a Torino, per poi passare nel convento di Piobesi. Ordinato sacerdote, ricevette l’incarico di andare a predicare il Vangelo ai “Mori d’Africa”, nei territori degli Stati barbareschi o Barberia, nome con cui, agli inizi dell’era moderna, erano designati i Paesi del Maghreb, rientranti nella sfera d’influenza del sultano ottomano. Qui, svolgendo la missione che gli era stata affidata, dimostrò coraggio, determinazione e saldezza nella fede, doti che, al giorno d’oggi, sono diventate, purtroppo, rare. Il frate piemontese, nell’adempimento del suo incarico, giunse nella città libica di Tripoli, che a quel tempo era governata da un bey, termine che nell’uso ufficiale ottomano indicava il sovrano di territori (chiamati “beilicati”) vassalli dell’impero. Il religioso canavesano, con sprezzo del pericolo, si mise a predicare apertamente la parola di Cristo e questo suo fervore gli costò, in breve tempo, l’arresto per ordine del Bey di Tripoli e la conseguente condanna al martirio, che fu messa in atto tra “aspri tormenti”. Secondo le cronache il 22 settembre 1654 spirò, invocando per tre volte il nome di Gesù e Maria. Il suo corpo, legato alla coda dei cavalli, venne trascinato per le vie e infine bruciato pubblicamente su un gran rogo. Un cavaliere di Malta, presente all’esecuzione, affermò di aver visto la notte successiva, il nostro beato in Cielo, con le mani giunte e circonfuso di luce celestiale. A Pont Canavese esiste un quadro che raffigura il martirio del Beato, esposto nella cappella laterale sinistra della chiesa di San Francesco, ritenuta originaria del XV secolo, ma successivamente rimaneggiata e divenuta sede dopo il 1620 di una piccola comunità di “frati minori osservanti” inviati dal vescovo di Ivrea. Qui sarebbe stato ospitato, per un certo periodo, lo stesso Bonetto o Bonatto, prima di partire missionario alla volta dell’Africa. Ricordiamo, dunque, doverosamente il sacrificio del frate canavesano Giovanni Battista, figura quasi dimenticata anche nelle stesse terre che lo videro fanciullo.
Autore: Paolo Barosso
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