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San Celerino di Cartagine Martire

3 febbraio

† 3 febbraio 280

Africano di Cartagine, nipote dei santi Lorenzo, Ignazio e Celerina. Arrestato a Roma durante la persecuzione di Decio, si distinse per la sua indomita fede e fu rilasciato, forse per la sua giovane età. Si adoperò per la riammissione delle "cadute" Numeria e Candida e, dopo aver ottenuto il perdono per loro da parte del vescovo Luciano, si recò a Cartagine. Qui fu nominato lettore dalla Chiesa cartaginese, forse in vista di un futuro sacerdozio. Morì di morte naturale il 3 febbraio 280.

Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, san Celerino, lettore e martire: in carcere, non vinto da ceppi, spada e vari supplizi, confessò Cristo, seguendo le orme di sua nonna Celerina già da tempo coronata dal martirio, dello zio paterno Lorenzo e dello zio materno Ignazio, che, un tempo soldati attivi nella vita militare, ma poi divenuti vera milizia di Dio, ottennero con la loro gloriosa passione la palma e la corona dal Signore.


Africano, probabilmente di Cartagine, appartenne alla famiglia dei santi martiri Lorenzo, Ignazio e Celerina, rispettivamente suo zio paterno, suo zio materno e sua nonna, dei quali la Chiesa cartaginese festeggiava ogni anno il dies natalis. Allo scoppio della persecuzione di Decio (gennaio 250), Celerino si trovava a Roma. Arrestato con molti altri cristiani, dopo diciannove giorni di duro carcere che gli lasciarono i segni dei ceppi e della fame, impegnò battaglia contro il promotore della feroce persecuzione e «vinse l'avversario con la sua indomabile energia, così da meritarsi la sua ammirazione e aprire agli altri la via della vittoria» (san Cipriano). Rilasciato, forse, anche per la sua giovane età, si angosciò per la sorte di due cristiane «cadute», Numeria e Candida. In attesa che la decisione sulla riammissione delle colpevoli in seno alla Chiesa fosse presa dal successore del papa Fabiano (martirizzato il 20 gennaio), Celerino sollecitò uno speciale intervento dei fratelli cartaginesi imprigionati: il primo a essere chiamato al martirio avrebbe dovuto concedere alle due disgraziate un biglietto d'indulgenza in vista del loro pentimento e delle cure da esse prestate a sessantacinque cristiani cartaginesi esiliati a Roma. Celerino scrisse in tal senso all'amico Luciano e questi, dalla prigione in cui languiva d'inedia, rispose positivamente: appena tornata la pace le due colpevoli e tutti gli altri lapsi romani pentiti avrebbero ottenuto il perdono previo esame della loro causa da parte del vescovo e la confessione della loro colpa. San Cipriano biasimò l'iniziativa temeraria di Luciano, «uomo di fede ardente e di robusto coraggio, ma poco fondato nella Sacra Scrittura»; lodò, invece, la prudenza e la reverenza per la religione che trasparivano dalla lettera di Celerino; quando questi, alla fine del 250 (Tillemont) o al principio del 251 (Ferron), si recò a Cartagine ed espresse a Cipriano, appartato nel suo nascondiglio, l'ammirazione dei cristiani di Roma, il vescovo lo nominò subito lettore della Chiesa cartaginese, forse meditando di conferirgli in seguito gli altri ordini sacri. Celerino, riluttante, accettò, dopo una visione notturna, quell'onore ecclesiastico. Forse una cattiva interpretazione della notifica della nomina, fatta
da Cipriano al clero e al popolo cartaginese, ha indotto gli autori delle notizie su Celerino nei martirologi storici (compreso il Romano) a designarlo erroneamente come diacono.
È dubbio se debba essere identificato col Celerino che papa Cornelio, nella lettera a Fabio vescovo di Antiochia, dice travolto dallo scisma di Novaziano e poi tornato all'ortodossia (PL, III, coll. 759-60a). Fu certo latore della lettera indirizzata da Cipriano a Cornelio, quando questi era esule a Civitavecchia (Tillemont).
Non si sa con quale fondamento i martirologi storici, seguendo Floro di Lione, ne fissino la festa il 3 gennaio, in coincidenza con la commemorazione della nonna e degli zii.


Autore:
Ireneo Daniele


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2011-09-08

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