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Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa

6 novembre

† Spagna, 1934/39

11 Santi, 1889 Beati e numerosissimi altri Servi di Dio [dati aggiornati al 23 marzo 2019].

La memoria liturgica comune è celebrata in Spagna il 6 novembre sotto la dicitura "Santi Pietro Poveda Castroverde, Innocenzo dell'Immacolata Canoura Arnau, presbiteri, e compagni, martiri".



Vengono designate con questo nome quelle persone (vescovi, sacerdoti, religiosi, suore e laici), a cui fu tolta la vita durante la guerra civile della Spagna del 1936-39 in circostanze e con dei procedimenti che permettono di individuare tutti gli elementi che concorrono a definire il fatto teologico e giuridico-canonico del martirio cristiano. Ad essi possono essere aggiunti quelli che vennero uccisi in circostanze simili nel mese di ott. del 1934, durante la cosiddetta «rivoluzione delle Asturie». Di molti di essi è in corso il processo di canonizzazione come martiri. [...] Scopo di questo articolo è quello di illustrare i fatti nel loro insieme e le ragioni che permettono di attribuire a molti degli uccisi il titolo di martiri cristiani.


I. PREMESSA SUL MARTIRIO
Conviene anzitutto premettere alcune osservazioni su quello che è e significa il martirio nella vita e nel culto della Chiesa. Le parole, di origine greca, martire e martirio significano originariamente testimone e testimonianza orale; ma fin dai primi tempi della Chiesa vennero adoperate col significato di testimone e testimonianza del Cristo, e date le difficili circostanze in cui i primi cristiani ebbero a dare questa testimonianza, fino a sacrificare spesso la propria vita, il nome di martire divenne presto termine tecnico per designare gli uccisi per la loro fede: questo concetto di martire e di martirio, specificamente cristiano, appare ormai fissato negli Atti di s. Policarpo (verso la metà del sec. II) ed è rimasto invariato fino ai giorni nostri. Il martire è quindi colui che viene ucciso per odio alla fede e che accetta la morte per fedeltà a Cristo e alla sua dottrina e a tutto quello che esige la fede in lui, quindi anche le singole virtù (v. gr., la castità, come Maria Goretti, o la carità evangelica, come p. Kolbe): «Tutte le opere virtuose in quanto rapportate o rapportabili a Dio sono una professione di fede; è la fede infatti che ci fa conoscere quello che Dio esige da noi».
Non c'è prova più grande di amore del dare per quello che si ama, aveva detto Gesù (cf. Gv 3, 16; 15, 13), ed è stato lui il primo a dare la sua vita per la redenzione degli uomini; per ciò, il martire, sacrificando la vita per fedeltà a lui, gli dà la massima prova di amore e realizza in sé la più intima unione con lui e raggiungendo la più perfetta configurazione col crocifisso e glorioso, che è la definizione della santità cristiana secondo l'espressione paolina (cf. Rm 8, 29; 2 Cor 3, 18; 4, 6 sgg.). Queste connotazioni del martirio, sottolineate da tutta la tradizione della Chiesa, vengono esplicitamente riaffermate dal Concilio Vaticano II, che lo definisce massima testimonianza di amore e dono esimio di Dio; se a pochi viene concesso, tutti devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo tra le persecuzioni, che mai mancano alla Chiesa, nel cammino della croce (cf. Lumen gentium, 42). Si può dire per ciò col Rahner che «il martirio appartiene all'essenza della Chiesa» (Diz. di teologia, Brescia 1968, p. 374). Il martire, quindi, è stato sempre considerato, fin dai primi tempi del cristianesimo, come il più perfetto modello di carità e di unione con Cristo da imitare, e come il più valido intercessore in quanto più vicino al Figlio di Dio, morto e vivente. Ed è per ciò che i martiri sono stati i primi ad essere oggetto di culto liturgico da parte della Chiesa; i santi non martiri, a cui si è esteso più tardi lo stesso culto, sono assimilati ai martiri in quanto presentano nella loro vita un esempio di fede e di pratica delle virtù cristiane grado eroico, che si avvicina moralmente alla testimonianza suprema del martire. Non a caso il catalogoufficiale dei santi venerati dalla Chiesa viene chiamato ancora oggi “martirologio”.
Non tutte le migliaia di martiri che diedero la loro vita per la fede nei venti secoli di storia ecclesiastica hanno avuto il riconoscimento ufficiale del culto liturgico; anzi, la maggior parte di essi sono conosciuti soltanto da Dio. Sono infatti venerati come martiri soltanto quelli che sono stati riconosciuti tali dalla Chiesa (dalle Chiese locali nei primi secoli e dal Sommo Pontefice fin dal sec. XIII), in quanto nei singoli casi si è dimostrata l'esistenza di tutti gli elementi della definizione teologica del martirio: la morte di un cristiano, inflitta per odio alla fede, accettata o subita pazientemente per amore di Cristo e per fedeltà lui, che si traduce anche, spesso esplicitamente, nel perdono agli uccisori. Il riconoscimento ufficiale della Chiesa, che si esprime con la canonizzazione del martire, con cui viene proposto solennemente all'imitazione e alla venerazione dei fedeli, richiede per ciò una rigorosa indagine previa per appurare, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, che nella sua morte si compiono pienamente le suddette condizioni. Le norme e la procedura per questa indagine, che viene chiamata processo di canonizzazione, sono state via via perfezionate, precisate e codificate per renderle sempre più atte a garantire la sicura conoscenza dei dati richiesti per procedere alla solenne proclamazione del martirio. E’ necessario a tale fine raccogliere tutte le testimonianze, orali e scritte, autentiche e degne di fede, necessarie e sufficienti allo scopo, ed è al riguardo di primaria importanza il contributo dei testimoni diretti (“de visu”) e di quelli più immediati (“de auditu a videntibus”), che offrano piena garanzia di verità. Queste testimonianze, evidentemente, devono essere raccolte in tempo utile, prima cioè della loro scomparsa o della loro inabilitazione (malattia, età avanzata, ecc.). Per ciò i processi devono essere iniziati quanto prima. Non tutti avranno una conclusione positiva, ma ciò significa soltanto che le prove raccolte non sono state giudicate sufficienti ad illustrare, con la completezza richiesta, la realtà dei fatti, senza negare con ciò che si tratti di vero martirio al cospetto di Dio.

II. I MARTIRI DELLA SPAGNA NEL SEC. XX
Cristo fu perseguitato a morte, e continua ad esserlo nella Chiesa: «Io sono Gesù, che tu perseguiti», disse il Signore a Saulo, persecutore dei primi cristiani (At 9, 5). La Chiesa ha avuto martiri in tutti i secoli della sua storia; li ha anche nel nostro secolo, e tra essi si trovano quelli della Spagna negli anni 1934 e 1936-39. Vengono chiamati, anche nell'esponente di questo articolo, martiri della guerra di Spagna; ma ciò è una connotazione cronologica piuttosto che una qualificazione politica: non si tratta di caduti di guerra, ma di persone uccise per la loro fede, in circostanze in cui si ravvisano tutte le componenti del martirio cristiano. Ed è questo l'aspetto di cui si terrà conto qui e nei processi della Chiesa, senza nessun giudizio di valore sulla terribile guerra civile né sulle ragioni delle «due Spagne» contrapposte; anche se è impossibile prescindere dal fatto che soltanto nella zona dominata da una delle parti si ebbe questa manifestazione di ferocia anticristiana. Essa contribuì inevitabilmente a dare alla sollevazione militare la motivazione della difesa della religione, che non era presente nella preparazione e nei primi momenti della guerra; così divenne questa per molti spagnoli una crociata: impura, come tutte le crociate della storia in cui si trovano sempre mescolati ideali religiosi e interessi economici e politici di varia indole, ma come crociata la vissero quelli che andavano sinceramente a combattere «per Dio e per la Spagna» e tutti quei cristiani dell'altra zona, che vivevano, in quanto tali, in regime di catacombe.
I martiri, presunti finché ci sarà il giudizio definitivo della Chiesa, furono uccisi dopo lo scoppio della rivoluzione nelle Asturie nel 1934 e della guerra civile il 18 lug. 1936, ma furono vittime di una persecuzione annunciata, caldeggiata e demagogicamente alimentata negli anni precedenti. Non si tratta di episodi sporadici, ma di una persecuzione generale. La rivoluzione del 1934, una sollevazione di sinistra contro il governo repubblicano, durò soltanto dieci giorni (5-14 ott.): in questo periodo vennero uccisi 12 sacerdoti, 7 seminaristi e 18 religiosi (passionisti, maristi, Fratelli delle Scuole Cristiane, della Missione, gesuiti e carmelitani scalzi), e furono incendiate 58 chiese; altrettanto sarebbe successo nel resto della Spagna, se i focolai della rivolta non fossero stati rapidamente spenti. Furono risparmiate le suore e non si registrano morti di cattolici per la loro fede. Queste limitazioni però non si ebbero dal 18 lug. 1936 in poi; la semplice statistica, incompleta nonostante rigorose ricerche, è sconvolgente: sono stati contati, secondo i calcoli più affidabili, 4.184 sacerdoti diocesani (includendo i seminaristi), 2.365 religiosi e 283 suore, che fanno un totale di 6.832 vittime (non ci sono statistiche dei laici assassinati per il solo fatto di essere cattolici, ma sono anche essi numerosissimi). Queste cifre equivalgono al 13 per cento dei sacerdoti diocesani e al 23 per cento dei religiosi di tutta la Spagna; ma bisogna tenet conto che le vittime appai gono soltanto a una metà della Spagna, per cui le percentuali diventano altissime: limitatamente al diocesano vanno dall'87,8 per cento nella diocesi Barbastro all'1,3 per cento in quella di Leon; questa diocesi però soltanto in piccolissima parte del suo territorio e per pochi giorni si trovò sotto il dominio del terrore.
La maggior parte delle uccisioni ebbe luogo durante il primo anno della guerra. Nel 1936, prima del 18 lug. erano già stati assassinati 17 sacerdoti e religiosi; dal 18 al 31 lug. ne furono uccisi 861; nel mese di ago., 2.077, e tra essi si contavano 10 vescovi (Siguenza, Lérida, Cuenca, Barbastro, Segorbe, Jaén, ausiliare di Tarragona, Ciudad Real, Almeria e Guadix); il 14 sett., quando Pio XI parlò per la prima volta della persecuzione religiosa in Spagna, il numero si avvicinava ormai a 6.500, e si era aggiunto ancora un vescovo, quello di Barcellona (4 dic. 1936). II resto di 332 (incluso il vescovo di Tetuel), fino al numero complessivo di 6.832, trovarono la morte tra il mese di lug. del 1937 e la fine della guerra (mar 1939). Questa netta diminuzione del numero degli uccisi dopo il primo anno si spiega fondamentalmente per un duplice motivo: in primo luogo, perché la maggior parte dei sacetdoti e religiosi erano ormai morti e quelli rimasti erano riusciti a fuggire o a nascondersi, mentre altri erano stati salvati da personalità qualificate, semplicemente oneste, anche ideologicamente contrarie agli insorti, ma inorridite davanti a così ingiusta e inumana persecuzione contro le persone e i valori religiosi; ma un altro motivo, e non fu la causa meno determinante, è il fatto che le autorità repubblicane si impegnarono più decisamente nell'intento di far cessare lo spettacolo orrendo di tante uccisioni ingiustificate, che le screditava e alienava simpatie alla loro causa agli occhi di tutto il mondo. Fu la dettagliata descrizione della persecuzione in atto, che un giudizio sereno e sulla base dell'aplissima documentazione oggi disponibile deve riconoscere pienamente aderente alla realtà, a provocare l’adesione moralmente unanime dell'episcopato mondiale alla lettera collettiva del 1° lug. 1937, pubblicata al loro indirizzo dai vescovi spagnoli, con le sole eccezioni dell’arcivescovo di Barcellona, card. Vidal y Bartaquen, e il vescovo di Vitoria, mons. Mateo Mùgica.

III. I FAUTORI DELLA PERSECUZIONE
Come si spiega questa esplosione generalizzata di accanita persecuzione contro la Chiesa Cattolica in Spagna? Certamente non è stata promossa dall'autorità costituita dal governo della Repubblica; questo si trovò subito scavalcato e annullato dall'incontrollabile rivoluzione anarchica ad opera dei gruppi e partiti più estremisti, che agirono con potete autonomo e arbitrario in ogni regione, e paese, in cui non aveva trionfato la sollevazione militate: forse la più efficace ed amata descrizione di questa anarchia è quella dello stesso presidente della Repubblica, Manuel Azana, nel suo libro Velada en Benicarlò, scritto nel 1937 (cf. M. Azana, Obras compietas, III, Messico 1967, pp. 422-427). Il governo non riuscì mai ad arginare completamente queste potenti forze anarchiche, contrarie al governo e visceralmente nemiche tra di esse; anzi, nei governi repubblicani che successivamente si andarono formando, «alcuni di quelli che entrarono a comandare avevano in parte approvato o promosso i movimenti della rivoluzione» violenta. Erano molte, profonde e inconciliabili le divisioni tra questi gruppi e partiti estremisti sullo scopo e sull'attuazione della radicale rivoluzione sociale e politica perseguita, e questa è una delle cause più importanti della sconfitta repubblicana; ma una cosa era comune a tutti: l'odio alla Chiesa e il proposito di sradicare fino allo sterminio la fede e la religione cattolica in Spagna. La tragica persecuzione religiosa fu opera fondamentalmente di questi gruppi estremisti.
Ma prima di illustrare l'aspetto antireligioso del loro programma, l'opera di indottrinamento e di propaganda delle loro idee e l'attuazione concreta della persecuzione, è necessario ricordare che il tutto si era andato sviluppando con la tolleranza e all'ombra della politica antiecclesiastica praticata dai governi della Repubblica dal 1931 fino al 1936. Il nuovo regime, dopo le elezioni amministrative del 13 apr. 1931, era stato accettato dai vescovi, senza eccezioni, proclamando la dottrina dell'indifferenza delle forme di governo ed esortando i cattolici all'ubbidienza ai poteri costituiti; tra i cattolici stessi si contavano molti repubblicani. Ma dopo un mese cominciarono a sfumare le speranze di pacifica convivenza e collaborazione tra la Chiesa e lo Stato: il primo drammatico episodio (11-12 magg.) fu l'incendio programmato, con l'occasione di un episodio marginale, di un centinaio di chiese e conventi a Madrid, Valenza, Alicante, Murcia, Siviglia, Màlaga e Càdiz. Il governo, sotto l'influsso determinante di Azana, impedì l'intervento delle forze dell'ordine per evitare o far cessare gli atti vandalici, che a Màlaga vennero compiuti addirittura con la partecipazione in prima fila delle autorità governative. Pochi giorni dopo, il 17 magg. veniva espulso dalla Spagna il vescovo di Vitoria, mons, Mùgica, e un mese più tardi (15 giu.) si decretava l'espulsione dell'arcivescovo di Toledo, card. Segura, perché in una lettera pastorale aveva espresso sentimenti di gratitudine e di lode per il deposto re, Alfonso XIII, benché consigliando ai suoi fedeli «rispetto e ubbidienza (alle autorità repubblicane) per il mantenimento dell'ordine e per il bene comune». Ma la politica anticlericale e antireligiosa venne istituzionalizzata dall'art. 26 della Costituzione promulgata il 9 dic. 1931: la redazione definitiva era meno radicale del progetto originario, che avrebbe comportato la totale scomparsa della Chiesa, ma era ancora terribilmente discriminatoria e persecutrice nei suoi confronti. Ciò si manifestò con più evidenza ancora nell'attività legislativa susseguente, che non si può non definire settaria: scioglimento della Compagnia di Gesù, legge del divorzio, soppressione nelle scuole di ogni simbolo religioso, divieto ai religiosi di dedicarsi all'insegnamento, ecc., e infine la cosiddetta «legge di confessioni e associazioni religiose», che rendeva la vita quasi impossibile agli Ordini religiosi e poneva dei limiti al culto cattolico, lasciandolo praticamente all'arbitrio delle autorità municipali.
Non si trattava soltanto della separazione di Chiesa e Stato, il che, in quel momento storico, avrebbe di per sé costituito un grave problema, ma di un laicismo palesemente settario contro la Chiesa e contro la religione, nonostante il principio di libertà ed eguaglianza proclamato come fondamentale dalla stessa Costituzione. Dalla sola enunciazione delle accennate misure legislative si può ben capire il grave turbamento e l'angoscia dei cattolici spagnoli, tra i quali, come si è detto, si trovavano molti sinceri repubblicani, e dei loro vescovi. Ma non si avrà piena consapevolezza dell'atmosfera di persecuzione religiosa che incombeva sulla Spagna, se non si leggono gli infuocati discorsi anticlericali e antireligiosi pronunciati nel parlamento nei giorni, che giustamente sono stati definiti «la settimana tragica della Chiesa» (cf. V.M. Arbeloa, La semana tragica de la Iglesia en España. 1931, Barcellona 1976), in cui si discuteva l'approvazione della Costituzione e delle leggi che la seguirono; a questi discorsi facevano eco gli articoli ancora più violenti, e spesso grossolani, di alcuni giornali: tra questi, El Socialista, uno dei più significativi in quanto organo del partito più forte del parlamento e del governo, scriveva per esempio il 18 ago. 1931: «Bisogna distruggere la Chiesa e cancellare da tutte le coscienze il suo infamante influsso»; e due giorni dopo invitava esplicitamente all'assassinio: «allora (l'11 magg.) furono gli inoffensivi conventi l'oggetto della furia del popolo; siano adesso i loro inquilini le vittime del suo furore».
Tutti gli sforzi compiuti dai vescovi spagnoli sotto la guida del card. Vidal y Barraquer e della Santa Sede, attraverso il nunzio Federico Tedeschini, per stabilire un dialogo proficuo col governo risultarono completamente inefficaci. L'episcopato protestò energicamente per la tragica situazione creata alla Chiesa nel mese di dic. del 1931, dopo la promulgazione della Costituzione; seguì, il 25 lug. 1932, un'istruzione dei metropolitani sul matrimonio civile e canonico, ed intervennero per l'ultima volta collettivamente prima della guerra il 25 magg. 1933, a motivo della «legge di confessioni e associazioni religiose», definita antigiuridica e attentatoria ai diritti dell'uomo. Il 3 giu. successivo, Pio XI pubblicava l'enciclica Dilectissima Nobis sulla grave situazione della Chiesa in Spagna. In nessuno di questi documenti si potrà trovare un invito alla resistenza attiva alla persecuzione in atto, descritta con precisione, ma soltanto, come si legge nell'enciclica, una esortazione all'unione dei cattolici nell'intento di ottenere dai legislatori, usando di tutti i mezzi legittimi a loro disposizione, la riforma delle leggi contrarie ai diritti dell'uomo e ostili alla Chiesa (AASS, 25 [1933], pp. 261-287).
È evidente quindi il carattere settario e persecutorio della legislazione della Repubblica nei riguardi della Chiesa, i cui membri venivano demagogicamente indicati come nemici del popolo e del regime repubblicano, senza voler prendere atto del sincero atteggiamento dei vescovi e della stragrande maggioranza dei cattolici, di rispetto e ubbidienza ai poteri costituiti, proclamato all'indomani dell'instaurazione della Repubblica e mai smentito nella lotta politica dei cattolici, se non da piccoli gruppi estremisti, formatisi in reazione alla crescente violenza degli estremisti di sinistra. Furono questi a portare la persecuzione religiosa dal terreno legislativo, già di per sé gravissimo, a quello della violenza fisica contro le persone e le cose, che le più responsabili personalità del governo e dei partiti repubblicani avrebbero voluto sinceramente, anche se ingenuamente, evitare ad ogni costo. La rivoluzione delle Asturie nel mese di ott. del 1934, contro un governo repubblicano di destra sorto da regolari elezioni politiche, produsse le prime vittime mortali tra i sacerdoti e i religiosi. Le successive elezioni del 16 febb. 1936 portarono di nuovo al potere i partiti di sinistra, coalizzati nel cosiddetto «Fronte popolare», ma la violenza rivoluzionaria andò sempre crescendo, mettendo a repentaglio la stessa stabilità del governo, incapace di controllare l'ordine pubblico. Scioperi selvaggi, soprusi incredibili, incendi e provocazioni di ogni tipo riempiono la cronaca di tutti i giorni e le pagine del diario delle sessioni del parlamento: dal 16 febb. al 16 apr. 1936 si contarono 120 circoli politici, edifici pubblici e privati assaltati e 57 incendiati, 36 case private saccheggiate e 15 incendiate, 76 persone uccise e 346 ferite; nel primo semestre del 1936, prima dell'inizio della guerra, furono assassinati, in diversi luoghi e circostanze, 17 tra sacerdoti e religiosi. Era ormai un clima di terrore e di guerra, in cui la Chiesa veniva presa direttamente di mira; per aizzare le masse contro di essa e le sue istituzioni, si arrivò perfino a far circolare delle accuse mostruose, assolutamente false, che si sarebbero moltiplicate nei primi mesi della guerra: il 14 magg. si propagò a Madrid la voce che le suore salesiane distribuivano ai bambini del loro collegio delle caramelle avvelenate, provocando l'assalto e l'incendio del collegio con violente aggressioni alle suore, alcune delle quali rimasero gravemente ferite, benché il governo cercasse rapidamente di appurare e dichiarare ufficialmente la falsità dell'accusa.
Tutte queste azioni rivoluzionarie e la propaganda demagogica erano opera dei gruppi estremisti di sinistra: gli anarchici col loro sindacato, Federazione anarchica iberica (FAI); i socialisti più radicali, capeggiati da Largo Caballero, che si gloriava del titolo di «Lenin spagnolo» ed era riuscito ad imporsi alle frange più moderate del partito, rappresentate da Indalecio Prieto e Juliàn Besteiro, e a controllare il loro sindacato (CNT); i comunisti, inizialmente poco numerosi, ma con un'influenza che andò sempre aumentando fino a diventare determinante durante la guerra, con ideologia e programmi prettamente stalinisti (cf. G. Maranòn, Liberalismo y comunismo [1937], in Obras completas, IV, Madrid 1968, pp. 378-386); e non si può non menzionare l'influsso della massoneria (cf. N. Alcalà Zamora, Memorias, Barcellona 1977, pp. 201-202), caratterizzata in Spagna da una vera fobia anticlericale e anticristiana. Alcuni rappresentanti di questi gruppi, come abbiamo visto sottolineato dallo stesso Azana, erano anche entrati a far parte dei governi.

IV. L'ODIO ALLA FEDE
Non tutte le vittime dei rivoluzionari, prima e durante la guerra, si possono dire martiri; soltanto quelle che abbiano ricevuto la morte per odio alla fede da parte degli uccisori, causa esclusiva o almeno prevalente, e che l’abbiano accettata o subita per la fede di Cristo o un altro atto di virtù riferito a Dio (Benedetto XIV, De Servorum Dei beatif., libro III, cap. 11, n. 1-2). Quelli in cui si possono riscontrare queste caratteristiche sono non soltanto vescovi, sacerdoti, religiosi e suore, ma anche laici cattolici, uomini e donne, che non avevano altra connotazione che la loro fede. Sono però molto più numerose le persone assassinate perché appartenenti a partiti politici di destra o per altri motivi di carattere sociale, senza nessun riferimento alle condizione di credenti: le classiche vittime di ogni rivoluzione violenta di carattare politico o sociale, la cui morte è un vero crimine, ma affatto identificabile col martirio cristiano. Per i sicari però, anche per i loro ispiratori o mandanti, tutte le vittime venivano accomunate genericamente nella categoria di “nemici del popolo»; si impone, quindi, per discernere i casi di vero martirio, un accurato studio dello svolgimento concreto e di tutte le circostanze che concorrono nei singoli episodi. Ma in una presentazione d'insieme del problema ci si deve limitare ad illustrare l'esistenza di un vero odio alla Chiesa, alle sue istituzioni e ai suoi fedeli, che è motivo determinante dell'eccidio e che permette di definire il fenomeno generalizzato come vera persecuzione religiosa; tenendo però ben presente un dato di fatto: tutte le persecuzioni della storia sono state attuate da autorità e movimenti sociali e politici, ispirati da ideologie incompatibili con la fede cristiana e quindi con la Chiesa e i suoi seguaci, presentati per ciò come nemici della società e delle istituzioni. Mai è stata scatenata una persecuzione esplicitamente contro la fede cristiana in quanto tale, ma con motivazioni, a volte sincere benché erronee, ma spesso completamente pretestuose e false, di carattere religioso, politico o sociale; quelle sociali e politiche sono tanto più necessarie ed efficaci quando lo spirito anticristiano deve essere istillato tra i cristiani stessi, e tale è il caso della Spagna.
Infatti nella Spagna lo spirito antiecclesiastico e anticristiano veniva proclamato e propagandato con tutti i mezzi disponibili e con lo stile più demagogico, fin dal primi tempi dell'instaurazione della Repubblica nel 1931: è impressionante la proliferazione di giornali, nazionali e provinciali, che, ispirati dai citati gruppi estremisti, si fecero portatori di questo spirito, istigando, con violenza verbale incredibile, alla completa distruzione della Chiesa e della religione cattolica. Si aggiunse la creazione di numerose case editrici specializzate nella produzione di pubblicazioni popolari contro Dio e contro la Chiesa; una di esse, col significativo nome di “Biblioteca dei senza Dio”, sfornò titoli come “Cristo non fu cristiano”, “Gesù Cristo cattiva persona”, “Gli apostoli e le loro concubine”, “Origine nefanda dei conventi”, ecc. A queste pubblicazioni si affiancavano dei giornali e dei settimanali con ispirazione esclusivamente anticlericale, come “La traca”, “El frailazo”, ecc., di stile stomachevolmente grossolano, in cui venivano attaccati e ridicolizzati Cristo stesso, il Papa, i vescovi, i religiosi e la religione cattolica, da essi predicata e rappresentata. Questa campagna propagandistica era caldeggiata, programmata e finanziata dai suddetti gruppi rivoluzionari estremisti, che per giustificare le loro invettive presentavano la Chiesa come immensamente ricca e alleata degli oppressori dei poveri, e la religione con lo slogan marxista di «oppio del popolo» coscientemente propinato per tenerlo sottomesso.
La propaganda antireligiosa, con queste caratteristiche e motivazioni, è perfettamente documentata nei giornali dell'epoca, nelle pubblicazioni di alcuni dirigenti e anche in non pochi discorsi parlamentari. Lasciando da parte, ben conoscendone la matrice originaria, la definizione della religione come oppio del popolo, il meno che si può dire dell'accusa alla Chiesa di immensamente ricca, e per ciò alleata degli oppressori, è che si tratta di pura demagogia e che in quanto tale afferma il falso: la ricchezza della Chiesa stava nelle cattedrali e nel tesoro artistico, che sarebbe andato distrutto o gravissimamcnte danneggiato durante la persecuzione, mentre in realtà, fin dal secolo XIX, era veramente povera e i suoi sacerdoti vivevano materialmente al livello delle classi meno privilegiate della società; e accusandola di connivenza con gli oppressori, si dimenticava ad arte il fatto che la stragrande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi consumavano la loro vita nelle parrocchie, nelle istituzioni educative, negli ospedali e nell'attività di assistenza agli anziani e ai bisognosi, al servizio anche materiale del popolo: tutti indiscriminatamente furono vittime della persecuzione. La storiografia posteriore, anche di parte cattolica, riconoscendo la demagogia e la falsità di siffatte accuse, ha preferito sottolineare lo scarso «senso sociale» che aveva dimostrato larga parte dei cattolici più influenti e la stessa gerarchia ecclesiastica; ma non si può passare sotto silenzio, anche ammettendo tutti i suoi limiti, la multiforme attività di quello che è stato chiamato il «cattolicesimo sociale», promosso e appoggiato dai vescovi sulla scia della “Rerum novarum” di Leone XIII.
Gli stessi ispiratori di questa campagna antireligiosa non dovevano essere molto convinti della sufficienza delle suddette accuse per provocare la persecuzione totale, quando ricorsero a quelle veramente mostruose e assolutamente false dei peggiori crimini: le caramelle avvelenate a Madrid dalle suore nel 1934; e dopo l'inizio della guerra, le notizie di bambini, figli di suore e di frati, assassinati e seppelliti nei conventi, con macabre esposizioni pubbliche di poveri resti, certamente non di bambini, dissotterrati dai loro cimiteri; di depositi di armi nei conventi e nelle chiese; di omicidi commessi da sacerdoti contro persone non simpatizzanti verso la Chiesa; di attacchi armati di sacerdoti e religiosi contro i difensori della Repubblica, ecc.
Questa incredibile propaganda fece presa facilmente sulla base dei movimenti rivoluzionari, per i quali l'uso della violenza era strumento programmatico di lotta politica e sociale; la loro azione, incoraggiata, come si è detto, dal carattere persecutorio della legislazione della Repubblica, si tradusse prima negli assalti e distruzione di chiese e conventi e nelle continue molestie e difficoltà alla normale attività pastorale e liturgica; ma, dopo il primo episodio di persecuzione cruenta nel 1934, l'assassinio di preti, religiosi, suore e di semplici cattolici, con lo scopo confessato di totale distruzione della Chiesa, divenne normale subito dopo la sollevazine dei militari, quando l'anarchia rivoluzionaria si instaurò in tutto il territorio della Spagna non dominato dagli insorti. Della portata della persecuzione per quanto riguarda il numero degli uccisi già abbiamo detto; ma bisogna aggiungere l'accanimento con cui si andò alla caccia del sacerdote, del religioso e della suora, e l'inumana ferocia (insulti, percosse, bestemmie, mutilazioni, i più raffinati tormenti fisici e morali), con cui spesso vennero assassinati. E lo furono per il solo fatto della loro condizione di religiosi o di cattolici; ciò si dimostra con assoluta evidenza in moltissimi casi concreti, in cui dai sicari non fu invocato, né poteva esserlo perché totalmente inesistente, nessun motivo politico: quante volte si pronunciarono frasi come queste: è un prete, è una suora, ammazziamoli! (cf. Canonizationis SS. Dei Mariae Pilar a S. Francisco Borgia duarumque sociarum O.C.D. Positio super martyrio, Roma 1983, Summarium, pp. 204-205 e passim). Uno storico al di sopra di ogni sospetto come Salvador de Madariaga, repubblicano convinto e nemico degli insorti e del regime nato dalla loro vittoria, ha scritto che «nessuno che abbia insieme buona fede e buona informazione può negare gli orrori di questa persecuzione», e che «durante mesi e anni bastasse il solo fatto di essere sacerdote per meritare la pena di morire.., è un fatto pienamente dimostrato»; si tratta quindi di una vera «persecuzione sistematica», con «assassinio in massa di sacerdoti per il solo motivo di esserlo, con proibizione del culto e dissacrazionc di chiese» (S. de Madariaga, España. Ensayo de historia contemporanea, Madrid 1979, pp. 218-219). Ma l'odio del sacro si evidenzia ancora di più dal fatto che il semplice possesso di un oggetto religioso (un crocifisso, una medaglia, un messalino) fu motivo sufficiente per l'assassinio di non pochi laici.
Erano dunque esatte le informazioni e l'interpretazione al riguardo di Pio XI nel suo discorso del 14 sett. 1936 a un gruppo di spagnoli profughi dalla zona repubblicana (AAS, 28 [1936], pp. 373-381), e dei vescovi nella loro lettera collettiva del 1° lug. 1937, a prescindere dalla polemica, ancora non sopita, su altri aspetti di questo documento episcopale: era in atto una vera e propria persecuzione religiosa, in cui i membri della Chiesa venivano uccisi in massa per odio alla fede.

V. LE CONDIZIONI DEL MARTIRIO DA PARTE DEGLI UCCISI

Anche le disposizioni soggettive delle vittime, richieste per il vero martirio, sono perfettamente dimostrabili in moltissimi casi; in taluni di essi si raggiunge al riguardo la massima certezza desiderabile, sulla base di testimonianze e documentazione assolutamente inoppugnabili e degne.di fede. Le testimonianze provengono spesso, non soltanto da testi semplicemente oculari, ma dagli stessi uccisori: sono molti quelli che affrontarono la morte con espressioni esplicite di fede e non di rado con parole di perdono per i loro sicari )sacerdoti che chiedono di benedirli prima di essere assassinati; persone che, ferite a morte, riescono a pronunciare le parole di Cristo in croce: «perdonali, Signore, perché non sanno quel che fanno», ecc»; e molti anche quelli di cui si può dimostrare la preparazione remota al martirio, con la loro vita virtuosa e la loro disposizione espressa a dare testimonianza della fede col sacrificio della vita, a volte chiesto a Dio come suprema grazia. Al convincimento che si trattava di veri martiri si deve il sorgere immediato, in cerchie più o meno ampie, della venerazione e delle preghiere a loro indirizzate come intercessori privilegiati presso Dio. Ed è la precisa conoscenza dell'esistenza di tutte queste circostanze che permise a Pio XI, nel citato discorso del 14 sett. 1936, di parlare di «martiri: martiri veri in tutto il sacro e glorioso significato della parola».
Ma tutto ciò non basta per la proclamazione solenne del martirio da parte della Chiesa. L'esistenza delle condizioni richieste da parte delle vittime, così come l'odio alla fede come causa determinante nei persecutori, deve essere investigata e dimostrata nei singoli casi in modo da raggiungere la certezza al di sopra di ogni ragionevole dubbio. E questo lo scopo del processo canonico sul martirio.


SANTI

Canonizzazione: 21 novembre 1999

91625 - Innocenzo dell’Immacolata (Emanuele Canoura Arnau), passionista, ed 8 compagni, lasalliani (martiri di Turon)

90243 - Giacomo Ilario (Emanuele) Barbal Cosàn, lasalliano

Canonizzazione: 4 maggio 2003

91486 - Pietro Poveda Castroverde, sacerdote e fondatore

BEATI

Beatificazione: 29 marzo 1987

91977 91979 91978 - Maria del Pilar di San Francesco, Teresa di Gesù Bambino e Mariangela di San Giuseppe, carmelitane scalze di Guadalajara

Beatificazione: 1° ottobre 1989

90247 - Vincenzo Díez Tejerina e 25 compagni, passionisti di Daimiel

Beatificazione: 29 aprile 1990

90244 - Mercedes del Sacro Cuore Prat y Prat, della Società di Santa Teresa di Gesù

Beatificazione: 25 ottobre 1992

90239 - Braulio Maria Corres Diaz de Cerio, Federico Rubio Alvarez e 69 compagni, religiosi Fatebenefratelli

91098 - Filippo di Gesù Munárriz Azcona e 50 compagni,claretiani di Barbastro

Beatificazione: 10 ottobre 1993

93370 - Diego Ventaja Milán, Manuel Medina Olmos, vescovi, e 7 compagni, religiosi lasalliani, martiri d'Almeria

92553 - Vittoria Díez y Bustos de Molina, dell'Istituto Teresiano

Beatificazione: 1° ottobre 1995

90145 91402 - Anselmo Polanco Fontecha, vescovo, e Filippo Ripoll Morata, sacerdote

91461 - Pietro Ruiz De Los Panos y Angel e 8 compagni, sacerdoti della Fraternità dei Sacerdoti Operai Diocesani del Sacro Cuore di Gesù

94971 - Dionisio Pamplona Polo e 12 compagni, religiosi scolopi

90600 90614 90601 - Carlo Erana Guruceta, Fedele Fuidio Rodriguez e Gesù Hita Miranda, religiosi marianisti

91009 - Angela di San Giuseppe e 16 compagne, suore della Congregazione della Dottrina Cristiana

92552 - Vincenzo Vilar David, laico

Beatificazione: 4 maggio 1997

91742 - Florentino Asensio Barroso, vescovo

90025 - Zefirino Gimenez Malla, laico

Beatificazione: 10 magggio 1998

93969 - Maria Gabriella Hinojosa Naveros e 6 compagne, visitandine di Nuns

91507 - Maria Sagrario di San Luigi Gonzaga (Elvira Moragas Cantarero), carmelitana scalza

91404 91405 - Rita dell’Addolorata del Cuore di Gesù Pujalte y Sánchez e Francesca del Cuore di Gesù Aldea y Araujo, della Congregazione delle Suore della Carità del Sacro Cuore di Gesù

Beatificaazione: 7 marzo 1999

92302 - Vincenzo Soler Munarriz e 7 compagni, agostiniani reccolletti

Betificazione: 11 marzo 2001

91706 - 233 Martiri Spagnoli di Valencia

Beatificazione: 29 ottobre 2005

92247 - Maria De Los Angeles Ginard Martí, della Congregzione delle Suore Zelatrici del Culto Eucaristico

92294 - Giuseppe Tàpies e 6 compagni, sacerdoti diocesani di Urgell

Beatificazione: 28 ottobre 2007

93425 - 498 Martiri di molte diocesi e congregazioni

Beatificazione: 23 gennaio 2010

95559 - Giuseppe Samsó i Elías, sacerdote

Beatificazione: 17 dicembre 2011

95557 - Francesco Esteban Lacal e 21 compagni, Oblati di Maria Immacolata

Beatificazione: 13 ottobre 2013

96151 - 522 Martiri di molte diocesi e congregazioni

Beatificazione: 1° novembre 2014

96311 - Pietro Asúa Mendía, sacerdote

Beatificazione: 5 settembre 2015

96650 - Fidelia (Dolores) Oller Angelats e 2 compagne, Suore di San Giuseppe di Gerona

Beatificazione: 3 ottobre 2015

96651 - Pio Heredia Zubia e 17 compagni, Cistercensi della Stretta Osservanza (Trappisti) e di San Bernardo

Beatificazione: 21 novembre 2015

96789 - Federico Tarrés Puigpelat da Berga e 25 compagni, cappuccini

Beatificazione: 23 aprile 2016

96839 - Valentino Palencia Marquina, sacerdote, e 4 compagni, del Patronato di San Giuseppe

Beatificazione: 8 ottobre 2016

96971 - Gennaro Fueyo Castañón, sacerdote, e 3 compagni, laici

Beatificazione: 29 ottobre 2016

96855 - Giuseppe Antón Gómez e 3 compagni, benedettini

Beatificazione: 25 marzo 2017

97139 - Giuseppe Álvarez-Benavides y de la Torre e 114 compagni, della Diocesi d'Almeria

Beatificazione: 6 maggio 2017

97138 - Antonio Arribas Hortiguela e 6 compagni, Missionari del Sacro Cuore di Gesù

Beatificazione: 21 ottobre 2017

97137 - Matteo Casals, Teofilo Casajús,  Ferdinando Saperas e 106 Compagni, clarettiani

Beatificazione: 11 novembre 2017

97136 - Vincenzo Querlt Lloret e 20 compagni, vincenziani, Figlie della Carità, sacerdoti diocesani e laici dell'Associazione dei Figli di Maria

97456 - Giuseppe Maria Fernandez Sanchez e 38 compagni, vincenziani e laici dell'Associazione dei Cavalieri della Medaglia Miracolosa

Beatificazione: 10 novembre 2018

97766 - Teodoro Illera del Olmo e 15 compagni

Beatificazione: 9 marzo 2019

97788 - Ángel Cuartas Cristóbal e 8 compagni, seminaristi di Oviedo

Beatificazione: 23 marzo 2019

97955 - Mariano Mullerat Soldevila, laico

Beatificazione: 1° giugno 2019

- María del Carmen Lacaba Andia e 13 compagne

SERVI DI DIO

91651 - Eusebio Gomez Gutierrez e 58 compagni, maristi

95893 - Eustaquio Nieto Martin e 465 compagni, della Provincia Ecclesiastica di Toledo

95684 - Joan Roig i Diggle, laico

95794 - Antonio Ferrer Rodrigo, adolescente

95810 - Antonio Molle Lazo, giovane laico

95777 - Juan de Dios Ponce y Pozo, sacerdote

95783 - Juan de Dios Blasco Merino, seminarista

95894 - Juan Cano Solana, seminarista

93917 - Jose Carne Moreno e Maria Dolores Gomez Plaza, sposi

95599 - Jos


Autore:
Justo Fernāndez Alonzo


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2011-12-29

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